it en
Risultati
Slalom

Crescita sì ma anche possibili rischi

of Sorrentino C.


L’importante conferenza delle Nazioni Unite sul commercio e lo sviluppo (UNCTAD) a settembre ha previsto l’incremento per l’economia globale più rapido da circa mezzo secolo ad oggi. Nel suo ultimo rapporto, l’istituzione prevede infatti una crescita del 5,3% per quest’anno e del 3,6% per il prossimo, giustificando il calo ad incognite legate alla pandemia, che sta continuando a dettare anche le scelte di politica economica. Esiste certamente un timore di un eventuale ritorno alla deregolamentazione ed alla conseguente austerità, che finora ha, più e più volte, fatto ritardare sviluppo e maggiore benessere e che potrebbe ora frenare il citato rimbalzo dopo l’ultima recente dolorosa crisi. Di fronte ad un’evidente ripresa dei Paesi sviluppati, viene comunque evidenziata la situazione che caratterizza i Paesi in via di sviluppo, in una fase ancora di sofferenza, facendo emergere il divario tra queste due economie. In tale quadro l’Europa
mostra la situazione migliore poiché ha recuperato più celermente rispetto alle attese, col 5% nell’area euro per quest’anno, e promette di tornare a livelli pre-Covid. La nostra Italia è addirittura quasi in prima fila per la ripresa, tanto che la stessa presidente della BCE prevede il ritorno al pre-Covid entro l’anno. Anche l’agenzia di rating Fitch ha alzato le stime del nostro Paese aspettandosi, quest’anno, una crescita del 5,7%, a fronte del 4,8% previsto lo scorso giugno. La stessa agenzia prevede, altresì, un ritorno dell’economia a livelli pre-pandemia nel secondo trimestre del 2022, quando il PIL dovrebbe crescere del 4,3% per poi frenare al 2,2% nel 2023.

L’ottimismo che abbiamo sopra descritto rischia, però, di essere offuscato da alcuni problemi che si agitano sul piano mondiale. Infatti, l’inflazione sta mostrando segnali di risalita ben oltre le percentuali (2%), considerati come segnali positivi anche a causa delle pressioni sui prezzi e della scarsità delle materie prime, soprattutto per i microcomponenti, insieme ai rincari energetici; questi fattori non sono solo il motore dell’inflazione, ma determinano anche una frenata della produzione in molti settori nell’ambito del campo manifatturiero, indebolendo così anche la spinta del Recovery Plan.

Altre cause possono influire ad oscurare il ciclo della ripresa, considerando soprattutto le tre grandi economie mondiali e le loro interconnessioni. Gli Stati Uniti, pur facendo riscontrare un boom di Wall Street, ma con un’inflazione al 5,4%, potrebbero subire un crollo dei valori di mercato tali da indurre la Banca Centrale Americana ad uno slittamento dell’intervento sui tassi di interesse. E non è un caso che il Fondo Monetario Internazionale abbia ammonito di attuare riforme sostanziali per rafforzare i fondi di investimento e prevenire nuove turbolenze sui mercati finanziari.
Più preoccupante, a nostro avviso, la situazione della Cina, che, dopo le prime proiezioni di inizio anno, considerate da quasi tutti gli osservatori ottimistiche, mostra ora una crisi demografica, con l’aggiunta di un debito privo di controllo. La Banca Statale Huarong, chiamata a gestire molti crediti problematici degli istituti finanziari, ha subito perdite per circa 14 miliardi di euro nel 2020, richiedendo una forte azione di salvataggio pubblico. Un altro gruppo, indicato come Baoneng, mostra un’esposizione di oltre 26 miliardi con chiara criticità, mentre un altro grosso complesso in ambito immobiliare (Evergrande) presenta una passività di circa 260 miliardi di euro. E tutto ciò nella realtà registrata di una svalutazione delle azioni del 70% in un solo anno ed una diminuzione dei profitti di quasi il 30%.
È pur vero che il governo cinese ci ha abituato a far apparire il non chiaro orientamento su interventi pubblici, quasi incontrollati, ma la situazione può diventare oltremodo meno allegra e spericolata ed una probabile propagazione di tali nega- tive attività al resto del mondo può generare incertezza ed instabilità.

Anche in Germania è stata ritoccata al ribasso la previsione sull’espansione economica tedesca e infatti la crescita del PIL è stimata al 2,5% e, solo per il prossimo anno, è atteso il raggiungimento del 5,1%. La causa va individuata nell’arrancare del settore manifatturiero: in sintesi, le imprese tedesche si confrontano con una domanda forte alla quale non sono in grado di tener testa a causa della scarsità di alcuni beni intermedi. In parti- colare si è ridotta globalmente la domanda di servizi ed è aumentata quella dei beni di consumi durevoli e di prodotti medicali, così come è aumentata una crescita insufficiente di lavoro qualificato.

La situazione tedesca non è buona notizia per l’Italia, tenuto conto che la Germania assorbe circa il 12% del valore delle esportazioni italiane. Tra l’altro, anche per l’Italia l’inflazione rischia di lasciare qualche traccia nelle scelte di consumo e investimento di famiglie e imprese. Infatti, il dato definitivo di agosto fornito dall’Istat fotografa un indice dei prezzi al consumo in crescita del 2% rispetto ad un anno prima, anche se il dato va riferito soprattutto ai fattori energetici ed è armonizzato a livello euro zona. Presto potrebbe toccare anche ai beni di consumo e, se le tensioni continuano, è difficile che esse non si propaghino a tutta l’economia (e l’incremento dei prezzi al consumo potrebbe portarsi anche oltre il 3%).
Speriamo che il governo tenga conto della situazione descritta ora che è alle prese con la nota di aggiornamento al Documento di Economia e Finanza, non trascurando il tema delle materie prime e degli effetti dei prezzi al consumo che si presentano come rischi al ribasso insieme ai fattori sanitari.


Cosimo Sorrentino





Activate your subscription

To subscribe to a Magazine or buy a copy of a Yearbook