La sella della bicicletta e della moto sono oggetti utili per mantenere una comoda postura e rimanere in equilibrio. Ma i guerrieri nomadi dell’Asia Centrale usavano quella equina in movimento per poggiarvi la carne macellata degli animali più vecchi in modo da poterla macinare con l’attrito e poi gustare insaporita da erbe e spezie… inventando così la prima tartare (se a crudo) o hamburger (se cotta) della storia.
Il dorso di un animale era quindi utilizzato come attrezzo di cucina oltre che come cibo. Oggi invece lo destiniamo solo all’alimentazione, ma col tempo abbiamo imparato a preparare ricette sopraffini sia con quelli da selvaggina che con quelli da cortile tipo il coniglio o il maiale. La sella di questi ultimi è, per tradizione contadina, cotta al forno o in padella e insaporita con sugosi intingoli e/o ricche farciture, avvolta o meno da lardo o pancetta.
Il ripieno può variare in molte direzioni a seconda della disponibilità degli ingredienti e della fantasia nell’abbinarli: dalle mele al limone e rosmarino ai funghi e prosciutto crudo, dalle patate e olive nere fino al mascarpone agli agrumi.
La selvaggina, invece, oltre a richiedere una frollatura, ha spesso bisogno di una marinatura e di sughi più corposi e robusti, a base di spezie e vino rosso. Come minimo, perché ad esempio la Sella di lepre con le pappardelle in Toscana è aggiunta pure di gin. Esiste poi una preparazione particolare, detta Grand Veneur, che altro non è se non un trionfo di selle lardellate al cognac, rotolate nel condimento al prezzemolo, arrostite (in forno o, meglio, allo spiedo) e portate in tavola con patate dauphine (ovvero avvolte in pasta choux) e/o marroni brasati, coprendo il tutto con una riduzione ottenuta dagli scarti, insaporita da panna e gelatina al ribes.
E non va dimenticata la Sella alla Orloff, che con la sua salsa mornay (besciamella al formaggio) e soubise (besciamella con cipolla e tartufi) è uno dei vanti della cucina francese — anche se risale alla Russia di metà Ottocento — di cui lo chef Michel Bourdin, uno dei primi ad averla cucinata e proposta per il grande pubblico, non ha mai fornito una copia scritta.
Se vogliamo però discostarci dalle ricette classiche possiamo imboccare due strade. La prima è quella delle cotture originali e degli abbinamenti azzardati. Creare una crosta per la sella: direi di no col sale, ma approvo in pieno l’argilla o il miele. Sostituire il vino con aceto di lamponi. Rosolare quella di cervo con burro ed erbe di montagna e servirla con crema di castagne e indivia belga arrosto (Norbert Niederkofler).
Accompagnare la sella di maialino ai carciofi con una salsa alle fave di tonka (Mich ele Griglia). Marinare 6 ore la sella di cervo nel miele di rosmarino, cuocerla 12 minuti sottovuoto a 65 °C e servirla con purè di sedano rapa e mostarda di bacca di rosa canina (Emanuele Scarello, che avvolge poi il tutto in pellicola trasparente e spruzza con acquavite di miele).
La seconda strada consiste invece nell’impiegare la sella per le ricette di tutti i giorni, ma con un tocco di raffinatezza in più. Metterla cruda in un’insalatone (Matteo Baronetto la mescola con salmone norvegese marinato all’aneto e ginepro e prima di far degustare il piatto fa mettere in bocca una mandorla affumicata). Preparare una fricassea di sella di coniglio (con zabaione) e servirla con puntarelle e fette di limone caramellato. Creare una marinata dai sapori tailandesi.
Farcire il coniglio con pancetta ed erbe aromatiche e presentare il tutto a millefoglie con la polenta.
Ci siamo dunque incamminati. La sella è passata dalla strada alla gastronomia fin verso l’alta cucina.
Sono curiosa di quanto lontano potrà arrivare.
Giorgia Fieni
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