Di nuovo ci troviamo a trattare un tema in evoluzione di ora in ora, che genera l’imbarazzo di scrivere, oggi, cose che tra qualche giorno potrebbero apparire desuete. Eppure questa nostra difficoltà aiuta a mettere in evidenza tutto il pericolo e la destabilizzazione che può emergere da una condizione nazionale ed internazionale di così forte precarietà. Quello dei costi delle risorse energetiche non è grave solo perché divenuto ormai insostenibile per famiglie e aziende, ma anche e soprattutto perché non sembra trovare un punto d’approdo. Il timore — più che fondato — è che non abbiamo ancora visto il peggio. La situazione è gravissima, ma la condizione di incertezza è persino un’aggravante e genera di per sé di tensioni nei mercati.
Il problema è noto anche ai non addetti ai lavori. D’altronde qual è la persona che non abbia a che fare con una bolletta di energia elettrica o del gas completamente fuori controllo da tempo, sia essa di casa o dell’azienda? Nei primi 7-8 mesi del 2022 i costi energetici sostenuti dalle imprese sono triplicati, in certi casi quadruplicati, a parità di consumi, rispetto allo stesso intervallo temporale del 2021; l’incidenza media dei costi energetici in un’azienda oscilla oggi tra il 5% e il 15%.
Un problema, tra l’altro, non circoscritto ma trasversale, che falcia tutte le tipologie produttive e tutte le filiere e che genera a sua volta l’aumento dei prezzi, ripercuotendosi a cascata sui portafogli del consumatore finale.
Le imprese del comparto agroalimentare, dalla produzione pri-maria al trasformato, non solo non sono estranee alla questione, ma nell’affrontarla e nell’ipotesi di ritoccare i propri listini devono anche spesso fare i conti con i risvolti sociali ed etici del rincaro del cibo. Si pensi a pane, latte, pasta, carne, pesce: prodotti di prima necessità di cui nessuno dovrebbe mai essere costretto a privarsi per mancanza di denaro. Anche di questo, gli imprenditori del settore sono consapevoli.
Tuttavia il caro bollette è ormai una variabile fuori controllo per la condizione contingente, ma anche in prospettiva. Distrugge bilanci, redditività, competitività aziendale e patrimoni costruiti nei decenni. E, soprattutto, pone di fronte all’annoso dilemma tra continuare a lavorare — magari in perdita — o chiudere.
Se da una parte gli operatori che vendono direttamente al pubblico possono valutare aumenti proporzionati di prezzo, ma fanno i conti con una clientela già provata finanziariamente, chi si interfaccia con le insegne della Distribuzione Moderna fatica a modificare gli accordi presi in tempi non sospetti. Tuttavia, se alcuni mesi fa la GDO si era mostrata particolarmente riottosa alla richiesta dei più di adeguare i listini, oggi anche le grandi catene commerciali — essendo imprese e a loro volta vittime del problema — tendono ad assecondare le richieste dei fornitori, oggettivamente stremati dagli aumenti delle materie prime, dei materiali per imballaggi e delle risorse energetiche.
Il dramma però è anche generato dalla consapevolezza che non si possano far ricadere completamente sul consumatore finale i costi di un meccanismo schizofrenico e completamente fuori controllo.
Si cerca di distribuire gli oneri un po’ su ogni anello della filiera, nella certezza che il mercato non sia in grado di sopportare tutti gli aumenti senza subire contraccolpi pesanti.
Molte imprese stanno operando con estrema difficoltà anche nella convinzione che in momenti come questi sia necessario mantenere quel patto col cliente che ogni produttore fa e tenere saldi rapporti costruiti negli anni, talvolta decenni, che sono il bene più prezioso per un’azienda.
La situazione è difficile e lo è diffusamente al punto che il tema ha dominato la recente campagna elettorale. Alcune azioni sono state messe in campo dal Governo, ma non appaiono sufficienti, soprattutto per imprese che si confrontano con aziende straniere nei mercati globali dove “combattono” con le armi spuntate.
L’ultimo segnale che arriva dalla politica, nel momento, in cui scriviamo è il cosiddetto Decreto Aiuti Ter. Prevede un aumento della platea dei beneficiari del credito d’imposta sulle bollette, includendo le imprese più piccole e non solo quelle fortemente energivore; incrementa le percentuali del credito e proroga fino a novembre la possibilità di beneficiarne.
Le aliquote sono state elevate sino al 40% per gli energivori e al 30% per chi impiega oltre 4,5 kw. Si stempera dunque il requisito relativo alla potenza minima che precedentemente era di 16,5 kWh. Inoltre l’agevolazione è riconosciuta anche alle imprese energivore che producono per l’autoconsumo l’energia elettrica.
Per le imprese agricole e della pesca e per quelle agro-meccaniche, il decreto prevede l’estensione al quarto trimestre 2022 del credito di imposta per acquisto di carburante, a parziale compensazione dei maggiori oneri effettivamente sostenuti per l’acquisto di gasolio e benzina, pari al 20% della spesa nel quarto trimestre solare del 2022.
Il credito di imposta riguarda anche l’utilizzo per il riscaldamento delle serre e dei fabbricati produttivi impiegati per gli allevamenti animali. Viene inoltre innalzato l’importo massimo dei finanziamenti garantiti Ismea, con copertura 100% sino a 62.000 euro, per mutui in favore delle imprese agricole, della pesca e dell’acquacoltura che abbiano subito un incremento dei costi energetici.
Anche per le imprese gasivore e non il decreto apre ad un aumento del credito dal 25 al 40% per i consumi non termoelettrici.
Tra le altre misure incluse nel provvedimento si registra la proroga della riduzione di accisa e IVA sui carburanti fino al 31 ottobre 2022 e la concessione di garanzie gratuite, da parte di SACE e del Fondo PMI, per i finanziamenti concessi dalle banche alle imprese per esigenze relative al pagamento delle bollette, con un incremento della percentuale di garanzia dal 60 all’80% dell’importo finanziato. Le erogazioni del “bonus trasporti” sono inoltre incrementate di 10 milioni di euro per il 2022.
Questi crediti d’imposta potranno essere utilizzati in compensazione e in quanto tali non concorrono alla formazione del reddito imponibile ai fini Ires, Irpef e alla base imponibile Irap. Sono inoltre cedibili a soggetti terzi compresi istituti di credito e intermediari finanziari, a patto che siano accompagnati dal visto di conformità e vengano corrisposti per l’intero.
Era un provvedimento molto atteso questo e di cui si riconosce l’importanza poiché mostra uno sforzo del Governo per sostenere il mondo produttivo. Ma è anche un’azione che non si può che considerare un palliativo.
Il nuovo decreto ha però certamente il merito di “aprire” alle imprese più piccole, sinora escluse da qualunque tipo di sostegno; pertanto anche le microaziende che — non dimentichiamolo — costituiscono l’ossatura del nostro tessuto produttivo, possono ora contare su un sostegno, seppur minimo e molto limitato nel tempo. Si conta che tra bar, ristoranti e pizzerie, per fare un esempio, saranno 2 milioni gli esercizi a rischio chiusura che potranno fruirne. Le imprese salutano con favore i pochi interventi governativi, pur nella consapevolezza che non saranno sufficienti.
Il nostro Paese deve affrontare più problemi: da una parte sostenere famiglie e imprese e tentare di mantenere una competitività già traballante a livello internazionale, introducendo misure che implicano uno sforzo economico importante e che andrebbero ad incrementare ulteriormente il debito pubblico. Dall’altra ripensare completamente la politica energetica e la patologica dipendenza dell’Italia da Paesi Terzi. Non è più rinviabile un dibattito serio e responsabile sulle modalità di approvvigionamento, trattando il tema della tutela ambientale al di là di sterili ideologie e con la consapevolezza che tutti, ognuno per il proprio ruolo, debbano fare la loro parte.
Serve un cambio di passo, servono misure di carattere strutturale anche dolorose e impopolari, ma che — pur non dimenticando che l’ambiente è il dono più prezioso e va quindi tutelato e protetto — ne prevedano un certo utilizzo funzionale alla vita moderna.
Nel frattempo si potrebbe usare maggior enfasi nell’applicazione del cosiddetto Decreto Milleproroghe 162/2019 che, recependo la Direttiva Europea RED II (2018/2001/UE), ha introdotto le cosiddette comunità energetiche rinnovabili. La diffusione massiccia di fonti energetiche rinnovabili, grazie alle comunità energetiche, potrebbe incidere positivamente sulle piccole realtà locali, limitando l’impennata dei costi e la dipendenza da Paesi Terzi.
Andrebbe in sostanza accelerato quel processo, già in atto da qualche anno, che ha visto la produzione di energia da fonti rinnovabili, acquisire un’importanza sempre maggiore e oggi ancor più preziosa. Si tratta infatti di associazioni tra cittadini, attività commerciali, pubbliche amministrazioni locali o piccole e medie imprese che decidono di unire le proprie forze per dotarsi di uno o più impianti condivisi per la produzione e l’autoconsumo di energia da fonti rinnovabili.
Il vantaggio sarebbe quello di rispondere in tempi rapidi ad una situazione drammatica e senza precedenti. Se la realizzazione dei progetti di infrastrutturazione prevede infatti anni o decenni, la diffusione di impianti FER si realizza con maggiore celerità e prevede altresì il coinvolgimento di una platea molto più ampia di soggetti (privati cittadini, imprese, amministrazioni pubbliche).
Inoltre, grazie al principio dell’autoconsumo, i benefici sarebbero immediati per i portafogli dei consumatori. Ultimo ma non ultimo, lo sviluppo delle comunità energetiche avvierebbe progetti di sviluppo economico di cui beneficerebbero le imprese del mondo delle costruzioni e dell’impiantistica e tutte le attività collaterali. In questa direzione va anche il PNRR con delle linee di intervento dedicate.
Sebastiano Corona
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