Il mercato europeo dei suini è sotto pressione a causa dello squilibrio tra l’offerta abbondante e il rallentamento della domanda soprattutto da parte della Cina, che continua a rappresentare la principale destinazione delle carni suine comunitarie. La buona disponibilità di prodotto cinese, dovuta sia ad un aumento della produzione nazionale sia a un elevato livello degli stock di carni congelate, potrebbe determinare un ulteriore rallentamento delle importazioni nei prossimi mesi, facendo registrare, a fine anno, una variazione negativa dell’export — stimata tra il 10% e il 20%1 — rispetto ai livelli record del 2020. Ciò potrebbe imprimere ulteriore pressione al ribasso dei prezzi della carne suina sui mercati dei principali player esportatori determinando una redistribuzione degli scambi di prodotto nel mercato globale.
Sui mercati europei, i prezzi medi dei suini sono progressivamente diminuiti negli ultimi mesi, sollevando preoccupazioni per la marginalità degli allevatori di suini: dopo il picco raggiunto a giugno, a partire dal mese di luglio i listini della carne suina sono costantemente diminuiti, portando la media dei primi nove mesi del 2021 a 151,2 e/100 kg peso carcassa (–11,2% rispetto a un anno fa, per i suini categoria S-E). Nel mese di ottobre, sulla base delle ultime quotazioni disponibili, si registra un ulteriore ribasso, con i prezzi scesi in media a 133,7 e/100 kg (–8,4% nel confronto su base annua). Il calo delle quotazioni europee sta interessando, in misura anche più accentuata, i suinetti, che nei primi nove mesi hanno mediamente raggiunto i 45 e/capo, con una variazione del –18% rispetto ad un anno fa. Anche per questa categoria, la flessione non sembra arrestarsi con le ultime quotazioni del mese di ottobre attestatesi sotto i 30 e/capo (–17% su base annua).
La produzione di carne suina dell’UE è aumentata di 375.000 tonnellate nei primi sette mesi del 2021 (+2,8% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente), ma nel confronto bisogna tener conto delle interruzioni dell’attività di macellazione verificatesi nel corso del 2020 a causa dell’emergenza Covid.
Dopo il fermo dovuto al Covid le macellazioni sono in ripresa in tutti i principali produttori UE (+3% nei primi sette mesi del 2021)
La ripresa delle macellazioni ha interessato tutti i principali paesi produttori (Spagna +2,7% rispetto a gennaio-luglio 2020, Polonia +5,0%, Paesi Bassi +7,1%, Danimarca +9,3%, e Italia +7,4%), ad eccezione della Germania, dove la PSA (Peste Suina Africana) ha determinato la perdita del mercato cinese e il conseguente calo dei prezzi; l’impatto sulle macellazioni è già visibile con una flessione della produzione pari all’1,6% nei primi sette mesi del 2021.
Di fronte al crollo dei prezzi dei suini e al contemporaneo aumento dei costi dei mangimi, il settore delle carni suine dell’UE dovrebbe reagire con una frenata della produzione e, secondo le previsioni della Commissione europea2, il 2021 dovrebbe chiudersi con un aumento dell’1,7% rispetto all’anno precedente. Questa tendenza potrebbe continuare nel 2022, con una previsione di crescita del +0,6% su base annua.
Se da un lato il calo dei prezzi ha impattato negativamente sui margini degli allevatori di suini dell’UE, dall’altro lato la carne suina comunitaria ha acquisito un vantaggio competitivo sui mercati mondiali. Nel complesso le esportazioni UE di prodotti suinicoli sono aumentate dell’8,7% nei primi otto mesi del 2021, soprattutto le carni congelate (+12,3%) che rappresentano quasi i due terzi dei volumi complessivamente diretti verso Paesi terzi (Regno Unito escluso).
La performance complessivamente positiva dell’export UE, in realtà, è frutto di dinamiche contrapposte che hanno interessato i vari mercati di sbocco. Nel corso del 2021 sono diminuite, infatti, le esportazioni dirette verso la Cina (–5,1% nel periodo gennaio-agosto), a fronte di una crescita sostenuta della produzione interna (+38% nei primi nove mesi del 2021). Allo stesso tempo, carni e preparazioni dell’UE hanno trovato sbocco in altre destinazioni dell’Asia (Filippine +170%, Vietnam +33%, Corea del Sud +10% nei primi otto mesi del 2021) in cui la PSA ha ridotto significativamente la produzione interna, negli Stati Uniti (+37%), in Australia (+41%) e in Ucraina (+11%). Con l’obiettivo di diversificare i mercati in alternativa a quello cinese, anche l’America Latina (soprattutto Cile) sta diventando una destinazione importante per le esportazioni di carne suina comunitaria, di quella spagnola in particolare.
Nel complesso le esportazioni UE di carni suine dovrebbero rimanere dinamiche, con un aumento del +6% a fine 2021, ma la situazione del settore suinicolo comunitario sarà fortemente influenzata dagli sviluppi del mercato cinese, che sembra dirigersi verso una sempre maggiore autosufficienza anche grazie a un incremento del patrimonio e soprattutto del numero di scrofe da riproduzione.
Il settore suinicolo nazionale
A partire da metà anno, con le progressive riaperture dei mercati esteri e la ripresa dei flussi turistici in Italia a seguito dell’allentamento delle misure anti-Covid, la richiesta da parte dell’industria nazionale di trasformazione è cresciuta, determinando una certa ripresa delle macellazioni. Nei primi otto mesi del 2021 in Italia sono stati complessivamente macellati 7,5 milioni di capi (di cui circa i ¾, pari a 5,5 milioni, all’interno del circuito Dop), facendo registrare un incremento produttivo dell’1,6% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente (+1,3% per le Dop).
Il mercato suinicolo italiano, pur non essendo ancora direttamente coinvolto nei flussi verso la Cina, a fine estate ha iniziato a risentire negativamente delle dinamiche internazionali che hanno interessato la carne suina fresca e i suinetti da ingrasso — di cui l’Italia è importatrice netta — con un ripiegamento dei listini dei capi vivi. Secondo l’Indice Ismea dei prezzi all’origine, dopo i recuperi registrati nei mesi estivi, le quotazioni medie dei suini sono risultate in calo del 6,2% a settembre 2021 a causa delle flessioni che hanno interessato sia i capi da macello (–5,5% rispetto al mese precedete) sia quelli da allevamento (–11%).
Rimane positivo il confronto col 2020 (rispettivamente +5,4% e +2%), ma si deve sottolineare che lo scorso anno il settore stava attraversando una profonda crisi causata da molteplici fattori legati all’emergenza Covid-19: da un lato la chiusura del canale Ho.re.ca. disposta ai fini del contenimento dei contagi in Italia e in tutti i principali mercati di sbocco delle produzioni tipiche nazionali aveva determinato un eccesso di disponibilità di prodotto e un calo della richiesta di capi vivi da parte dell’industria di trasformazione, dall’altro la necessità di adeguamento alle disposizioni sanitarie aveva determinato il rallentamento dell’attività di macellazione con conseguente allungamento dei tempi di permanenza dei suini negli allevamenti da ingrasso e relativo sforamento dei limiti di peso ammessi in base ai disciplinari di produzione dei prosciutti Dop.
Scendendo nel dettaglio delle quotazioni degli animali vivi, si evidenzia come il mercato nazionale sia stato sostenuto fino all’estate dalla straordinaria ripresa delle esportazioni, poi a partire da settembre il prezzo dei suini pesanti (160-176 kg) — principale specializzazione degli allevamenti italiani, destinata a prodotti trasformati di qualità certificata (Dop) — ha iniziato a calare, arrivando nel mese di ottobre a 1,53 e/kg peso vivo e posizionandosi al medesimo livello di un anno fa. Andamento simile per il prezzo dei suini leggeri (90-115 kg), destinati alla produzione di carni fresche, che ad ottobre ha toccato il valore medio di 1,27 e/kg peso vivo. Per entrambe le categorie, come già anticipato, il dato medio da inizio anno presenta uno scostamento positivo rispetto al 2020, rispettivamente +7,5% e +5,9% per il cumulato gennaio-ottobre.
La situazione degli allevamenti nazionali si presenta attualmente critica, non solo sul fronte dei ricavi, ma anche sul fronte dei costi di produzione, considerando la spinta inflazionistica che ormai da diversi mesi sta interessando i prezzi delle materie prime destinate all’alimentazione dei suini (mais e soia in primis).
I listini degli alimenti zootecnici sono cresciuti sensibilmente a partire dall’inizio del 2021, arrivando a toccare livelli tra i più alti degli ultimi dieci anni: i prezzi del mais ad uso zootecnico hanno superato i 301 e/t nel mese di ottobre (+60% rispetto ai livelli di un anno fa) e per la soia sono arrivati a quasi 608 e/t (+57%).
Nel complesso l’Indice Ismea dei prezzi degli input produttivi per gli allevamenti suini segna un incremento del 6,6% nei primi nove mesi del 2021, proprio sotto la spinta dei mangimi (+6,4%) e dei prodotti energetici (+5,5%). A partire dall’autunno gli annunciati rincari dei prodotti energetici — carburanti ed energia elettrica — potrebbero ulteriormente aggravare i bilanci delle aziende zootecniche italiane.
Mercato all’ingrosso in controtendenza, ma solo per i tagli destinati all’industria
I cali di prezzo che stanno interessato il mercato del vivo non si sono trasferiti nella fase all’ingrosso, in cui i prezzi dei tagli di carne suina industriale continuano la progressiva risalita cominciata a inizio 2021. Prosegue l’aumento delle quotazioni delle cosce fresche destinate alla stagionatura sia per il circuito Dop che non (rispettivamente +16% e +18% rispetto a gennaio-ottobre 2020), in particolare grazie al balzo delle esportazioni dei prosciutti e alla ritrovata domanda da parte degli operatori dell’Ho.re.ca.
In dettaglio, i prezzi delle cosce fresche destinate al circuito Dop sono arrivati a 4,5 e/kg nel mese di ottobre, registrando un aumento del 24% rispetto ai livelli di dodici mesi prima; per le cosce fresche del circuito non tutelato l’apprezzamento rispetto a un anno fa è stato del 28%, raggiungendo mediamente i 3,9 e/kg a ottobre 2021.
In sofferenza, all’opposto, i tagli freschi che stanno risentendo del crollo della domanda domestica dopo gli straordinari aumenti delle vendite nella GDO registrate nel 2020: per il lombo taglio Padova, in particolare, i prezzi risultano assestati a ottobre 2021 su un livello di 3,2 e/kg, con un calo dell’11% rispetto a un anno fa. La flessione dei prezzi su scala internazionale dei capi vivi e dei tagli destinati al consumo fresco sta determinando nel corso del 2021 una significativa riduzione del deficit della bilancia commerciale del settore suinicolo italiano, considerando la strutturale dipendenza dall’estero sia di carni che di animali da ristallo.
Il disavanzo è diminuito di 238 milioni di euro nei primi sette mesi del 2021, come conseguenza di un calo degli acquisti dall’estero (7% in valore) e un contemporaneo aumento delle esportazioni (+14% in valore), principalmente da attribuire alle “preparazioni e conserve suine” — che incide per l’82% sul valore dell’export totale del settore — che hanno fatto registrare un aumento su base annua del 12% in valore. L’aumento, sia in volume che in valore ha riguardato tutte le principali categorie di prodotti esportati, con la sola eccezione dei “prosciutti stagionati con osso”. Per quanto riguarda i “prosciutti disossati, speck e culatelli”, i principali mercati di sbocco si confermano Francia e Germania, generando complessivamente circa il 37% del valore delle esportazioni italiane. Ma, nel 2021, il recupero più evidente, dopo le difficoltà connesse alla situazione pandemica, è quello realizzato negli Stati Uniti (+46% in volume e +37% in valore). Grande ripresa pure per le esportazioni di “salsicce e salumi stagionati” (+16% in valore e +22% in volume), con risultati molto positivi anche nel Regno Unito, che dopo la Germania, si conferma tra le principali destinazioni.
Dopo gli straordinari andamenti dello scorso anno, i consumi domestici di carne suina tornano a calare
A livello nazionale l’andamento dei consumi di prodotti alimentari sta progressivamente ritornando alla normalità e, mano a mano che ci si allontana dai momenti più critici dell’emergenza Covid-19, sembrano riconfermarsi molte delle dinamiche pre-pandemia. In particolare, stanno risalendo gli acquisti per i piatti pronti e le pietanze che richiedono tempi ridotti di preparazione. Dei mesi del lockdown, però, gli Italiani hanno tenuto alcune abitudini, continuando a spendere di più per cibi gourmet, per soddisfare il gusto o da consumare nei momenti di ritrovata convivialità e per prodotti legati alla salute e al benessere personale. Tutto ciò per i consumi domestici dei prodotti della filiera suinicola si sta traducendo in una variazione negativa sia per la carne fresca (–4% in quantità nei primi nove mesi del 2021) sia per i salumi (–1% in quantità). Per i salumi, tuttavia, è da sottolineare una dinamica assai variegata per le singole categorie, con una variazione positiva di spesa e quantità soprattutto per i prosciutti crudi. Il prodotto più venduto resta il prosciutto cotto, sebbene in calo.
I consumatori tornano al banco del fresco
Da rilevare, inoltre, un ritorno al banco del fresco per i consumatori, segnato da una ripresa degli acquisti di salumi a “peso variabile” e da un contemporaneo calo delle preferenze per gli affettati confezionati in vaschetta (rispettivamente +1% e –2% in volume nei primi nove mesi del 2021).
Le prospettive
Il graduale allentamento delle misure di contenimento e le conseguenti riaperture — non solo in Europa ma anche nei principali big a livello mondiale — stanno dando slancio alla domanda e una ritrovata vivacità agli scambi mondiali. Ma nei prossimi mesi gli effetti positivi sulla filiera, e soprattutto sugli allevamenti nazionali che già denotano una situazione di criticità sul fronte della marginalità, potrebbero assottigliarsi sotto la pressione inflazionistica che sta interessando le materie prime per l’alimentazione dei suini e i prodotti energetici, in particolare energia elettrica e carburanti, con effetti non trascurabili sui processi di trasformazione e sui costi di trasporto. Tutte queste questioni vanno ad aggiungersi ad altre problematiche di ordine economico e sociale, derivanti in parte da un atteggiamento sempre più diffidente da parte della società nei confronti dei consumi di carne e sulle modalità di gestione degli allevamenti dall’altro da questioni di carattere organizzativo e strutturale della filiera. Da non trascurare, infine, l’orientamento sempre più pregnante da parte delle istituzioni comunitarie in termini di benessere e sostenibilità degli allevamenti.
Fonte: Direzione Servizi per lo Sviluppo Rurale
Redazione a cura di: Mariella Ronga
www.ismeamercati.it
www.ismea.it
Note
1. Stime Rabobank, research.rabobank.com
2. Commissione UE, EU Agricultural Markets Short-Term Outlook, Autumn 2021 (ec.europa.eu/info/food-farming-fisheries/farming/facts-and-figures/markets/outlook/short-term_en).
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