Da dove cominciamo? Dall’inizio, ovviamente, come tutte le storie di questo mondo. Anche se, in questo caso, non è così semplice individuare una data d’inizio vera e propria, ma piuttosto un crescendo di eventi e di comunicazioni attraverso i media e i social contro l’imballaggio in plastica, in seguito ai quali esso è stato condannato in via definitiva e senza appello, come responsabile dell’inquinamento dei mari e dell’aumento delle emissioni di gas serra. Per far fronte allo tsunami mediatico dilagante, pertanto, bisognava fare qualcosa: per una buona parte della GDO e non solo, l’importante era dare subito un segnale forte di discontinuità (parola molto di moda oggi) che rassicurasse i consumatori sull’impegno attivo per lo sviluppo dell’economia circolare e della sostenibilità, quantomeno per fermare la crescita inarrestabile dei rifiuti di plastica che continuano a devastare l’ambiente, contribuendo, secondo i detrattori della plastica, alla crescita del riscaldamento globale del pianeta.
In questo contesto, i nostri cugini francesi, naturalmente, non hanno perso l’occasione di farsi sentire: così, il 21 febbraio 2019, è nato il Pacte National Emballages Plastique, con tanto di marchio e dichiarazioni d’impegno, una iniziativa che riunisce “tutti gli attori volontari della catena del valore della plastica (produttori, trasformatori, marchi nazionali, distributori, operatori della gestione dei rifiuti), la società civile ed il Ministero della Transizione Ecologica, uniti da una visione comune dell’economia circolare, in cui la plastica non diventa mai un rifiuto”. Il Patto nazionale, infine, come associazione, è anche membro del Plastics Pact Network della Ellen MacArthur Foundation, che riunisce più di 1.000 organizzazioni di tutto il mondo.
Ma come fare affinché gli imballaggi in plastica non diventino più un rifiuto? Elementare Watson! Basta eliminarli. Ed ecco che i firmatari del Patto nazionale si impegnano immediatamente ad eliminare, entro il 2025, il PSE (Polistirolo Espanso) e non solo, perché facente parte, secondo loro, degli “imballaggi problematici e inutili”.
Definire “problematica ed inutile” una tipologia d’imballaggio che ha permesso da 50 anni a questa parte lo sviluppo dell’industria alimentare e della GDO europea, garantendo sicurezza alimentare, funzionalità, praticità, sostenibilità ed economicità a tutti gli operatori della filiera, compresi naturalmente i consumatori finali, è a dir poco sconcertante, ma questa è un’altra storia e la vedremo dopo. Parliamo ora di noi in Italia.
Anche nel “Belpaese”, in qualche modo, è stata presa una posizione — più politica che altro — soprattutto da parte della GDO; bisognava dare un segnale di discontinuità, questo è certo, segnale diretto soprattutto ad un modello di consumatore che avrebbe potuto indirizzare le proprie scelte su quelle aziende o quelle insegne della GDO che avrebbero preso posizioni chiare sui temi dell’economia circolare e della sostenibilità, supportate da azioni concrete, come sostituire ad esempio l’imballaggio in plastica con i cosiddetti materiali sostenibili, escludendo il nostro imballaggio da questo circolo ristretto.
A questo punto una domanda sorge spontanea: perché eliminare la vaschetta in XPS? Elementare Watson, perché era ed è ancora, al di là degli annunci, la soluzione d’imballo più diffusa, soprattutto per confezionare gli alimenti freschi all’interno della GDO, in Italia, in Francia, come in altri Paesi europei e non solo.
In pratica, nella corsa alla sostituzione dei contenitori in polistirolo espanso con i cosiddetti materiali sostenibili, fatto salvo qualche sporadico inserimento con soluzioni in cartoncino laminato con films plastici, per il confezionamento della carne o del pesce e test fallimentari con contenitori in bagassa o giù di lì, si è semplicemente utilizzato un altro contenitore in plastica trasparente PET o PP per sostituire il vassoio in XPS.
Qualche “malpensante” ha ipotizzato, sarcasticamente, che sia stata una strategia per rendere meno “visibile” al consumatore l’imballaggio, vista la trasparenza del materiale…
A parte questa provocazione, in sintesi, quello che è emerso chiaramente è che la distribuzione doveva dare un segnale di discontinuità. La “cruda” realtà del confezionamento sul pdv degli alimenti freschi ha dimostrato ancora una volta che non è così semplice e soprattutto indolore sostituire il vassoio in polistirolo espanso. Se è utilizzato da oltre 50 anni un motivo ci sarà. Ma allora, come si può coniugare innovazione e sostenibilità con la sicurezza alimentare, la funzionalità, il miglioramento della sostenibilità, la riciclabilità e il costo?
Il nuovo contenitore in polistirolo espanso R-XPS coniuga perfettamente le istanze prima elencate e rappresenta pertanto una soluzione moderna, sicura e funzionale. Il vassoio in polistirolo espanso è una soluzione d’imballo “testata” da oltre 50 anni di utilizzo da parte della GDO, dall’industria alimentare e dai consumatori di tutto il mondo; oggi, nella nuova versione R-XPS, è più che mai Sostenibile, Riciclabile e Circolare, con un contenuto di riciclato post-consumo fino al 50%.
Stiamo parlando, pertanto, di un imballaggio innovativo, che riduce drasticamente la quantità di materia prima vergine impiegata (con una conseguente riduzione dell’impatto ambientale in termini di GWP – Global Warming Potential – del 54%), utilizzando polistirene da post-consumo, ma con le stesse garanzie di sicurezza alimentare e funzionalità ben note agli addetti ai lavori e ai consumatori.
Un risultato straordinario, reso possibile solo dalla collaborazione di tutte le aziende di PROFOOD, gruppo merceologico appartenente ad Unionplast, il COREPLA, ENI Versalis, Foreverplast, Fraunhofer Institute e CSI Gruppo IMQ, che sta incontrando sempre di più il favore della distribuzione e dell’industria italiana, che ne ha compreso il contenuto innovativo come soluzione veramente green, senza sacrificare la sicurezza e la funzionalità e non in ultimo la sostenibilità economica.
Ma in Francia, alla fine, cos’è successo? Le associazioni di categoria Sindifrais e Célene, che rappresentano rispettivamente i principali produttori lattiero-caseari ed i produttori di carne, gli stakeholder della catena del valore degli imballaggi come Plastics Europe France, Elipso, ma anche Michelin e Valorplast, impegnati nel riciclo degli imballaggi in plastica e la stessa Citeo, che rappresenta le aziende del settore dei consumi di massa e della distribuzione, impegnata per la riduzione dell’impatto ambientale dei prodotti dei loro associati, promuovendo l’Ecodesign e l’economia circolare, hanno preso una posizione precisa e documentata per la creazione di una efficiente filiera del riciclaggio del polistirolo rigido ed espanso in Francia, dimostrando l’importanza di questo materiale per l’industria alimentare francese, sia in termini di sostenibilità che di economicità. In particolare, per quanto riguarda i vassoi in polistirolo espanso (XPS/EPS), la posizione è molto precisa: “essi presentano vantaggi innegabili per la commercializzazione della carne nei punti vendita. Leggeri, ma rigidi, rappresentano più del 60% della quota di mercato, garantendo la qualità sanitaria dei prodotti”.
E ora? Pensiamo a Tancredi, il nipote di Fabrizio, principe di Salina, nel Gattopardo: “Se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi”. Nel nostro caso, giusto per rispondere a Tancredi, non deve essere così. Un cambiamento vero, reale, non fatto di annunci, per un mondo più sostenibile, occorre veramente; uno scossone, di certo, ci voleva proprio, per tutti: per la Gdo e l’industria alimentare, ma anche per i consumatori, a cui è servito per chiarire che l’imballaggio sostenibile, sicuro, riciclabile ed economico è sempre stato lì davanti ai nostri occhi da almeno 50 anni. Ma è servito anche a noi produttori, perché abbiamo acquisito consapevolezza, finalmente, del fine vita dei nostri imballaggi, valorizzandolo e non ignorandolo. Possiamo così realizzare prodotti ancora più performanti ambientalmente, ma anche più attuali, in linea coi fondamenti dell’economia circolare, senza cercare soluzioni improbabili che di sostenibile hanno solo l’aggettivo.
Quindi, caro Tancredi, se non vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che qualcosa cambi.
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