Con l’irruzione della Peste Suina Africana nel nostro Paese l’intero settore suinicolo nazionale è entrato in uno stato di fibrillazione e in un più che giustificato allarme. Sono 28, al momento di andare in stampa con questo numero della Rivista, le carcasse di cinghiale risultate infette: 14 in Piemonte e altrettante in Liguria, a fronte delle 160 rinvenute e monitorate nel periodo immediatamente successivo alla scoperta del primo caso avvenuto il 6 gennaio scorso. Attualmente, nella zona infetta, sono inseriti 114 Comuni. Lo conferma Angelo Ferrari, nominato dal Mipaaf Commissario per la gestione dell’emergenza Psa nei territori infetti di Piemonte e Liguria che sottolinea: «Il nostro obiettivo è l’eradicazione del focolaio. Non sarà semplice perché la zona interessata, situata in territorio appenninico, è abbastanza impervia, ma la posta in palio è troppo alta per non mettere in campo tutte le energie di uomini e mezzi necessarie a scongiurare un’evoluzione che se l’epidemia dilagasse metterebbe in ginocchio l’intero settore suinicolo italiano». Sì, perché la Psa non è una malattia contagiosa per l’uomo, ma lo è in maniera devastante per i maiali. E là dove si è manifestata o si sta manifestando tuttora con numeri decisamente molto importanti rispetto ai nostri lo sanno bene.
Quadro europeo
La Cina, dove tutto ha avuto inizio alcuni anni fa, ha dovuto fare i conti con decine di milioni di abbattimenti e la conseguente scomparsa di migliaia di allevamenti che con l’aiuto dello Stato, in realtà, oggi stanno sorgendo nuovamente; per non parlare della situazione che ancora si registra nel Nord-Est dell’Europa con una diffusione purtroppo molto estesa, o della Germania che dal 2020 lotta per eradicare la malattia senza riuscirci. Cosa che invece è avvenuta in Belgio, dove l’insorgenza del primo focolaio ha fatto scattare un rigoroso Piano di controllo grazie al quale oggi il Paese può essere definito indenne dalla Psa.
Ma torniamo all’Italia. La scoperta della prima carcassa di cinghiale infetta è avvenuta il 6 gennaio scorso a Ovada, in provincia di Alessandria. Un luogo di ritrovamento che si potrebbe definire anomalo, perché lontano sia dalle regioni come il Friuli Venezia Giulia che per vicinanza ai Paesi del Nord-Est Europa potrebbero essere più facilmente raggiunte da animali infetti, sia perché lontano dai territori come il Cuneese, la Lombardia, l’Emilia-Romagna, il Veneto o lo stesso Friuli Venezia Giulia dove si concentrano i maggiori allevamenti di suini presenti in Italia.
«Non è facile stabilire come mai il rinvenimento di carcasse di cinghiali infette sia avvenuto proprio in quelle zone — sottolinea Angelo Ferrari — purtroppo la popolazione di questi animali ha ormai raggiunto numeri fuori misura e la loro circolazione un livello di diffusione preoccupante. Occorre pensare a un riequilibrio di questi numeri».
Soluzioni sul tappeto
Secondo alcune indicazioni una delle strade scientifiche da adottare in questa direzione potrebbe essere la immunocontraccezione dei cinghiali, su cui è stata avviata di recente una sperimentazione. «In effetti se ne sta parlando, ma i risultati finora ottenuti evidenziano non poche contraddizioni che non depongono, almeno per il momento, verso un parere unanimemente positivo. In ogni caso qui stiamo parlando di futuro, mentre ora siamo chiamati a intervenire con tempestività ed efficacia in una situazione immediata, che oltre alla tutela degli allevamenti suinicoli sul territorio deve prevedere anche la possibilità di continuare a macellare i maiali presenti in quelle strutture che si trovano loro malgrado nella zona infetta e che hanno raggiunto il peso richiesto per la macellazione.
La situazione è molto complessa, ma sono moderatamente fiducioso che si possa risolvere senza gravi contraccolpi per il nostro settore suinicolo. Anche i 50 milioni di euro stanziati dal governo a sostegno delle imprese danneggiate solo perché inserite nell’area infetta sono un primo segnale di grande vicinanza da parte delle istituzioni».
Dopo un iniziale risalto alla notizia anche da parte della stampa generalista, i riflettori sulla presenza del virus della Psa nel nostro Paese si sono abbassati.
Non si è invece mai fermato il lavoro degli esperti che fanno capo all’Unità di crisi convocata immediatamente dai Ministeri della Salute e delle Politiche Agricole, al pari dell’attività delle regioni confinanti con le zone dove le carcasse sono state via via rinvenute: in Emilia-Romagna, oltre alle linee guida istituite anche in Lombardia e in Piemonte, sono stati attivati sull’Appennino della regione dei droni dotati di termocamere per individuare la presenza di carcasse o resti di cinghiali morti.
«Il contagio tra suini della Psa non si caratterizza per un andamento molto veloce — spiega Vittorio Guberti, medico veterinario presso l’istituto superiore per la ricerca e la protezione ambientale (Ispra) — il vero problema è che non smette mai di correre, il che la rende se possibile ancor più pericolosa perché non è mai concesso abbassare la guardia».
L’assenza di un vaccino, al quale gli scienziati di tutto il mondo stanno lavorando da anni, il monitoraggio, l’isolamento e soprattutto l’adozione di scrupolose misure di biosicurezza in allevamento restano allora e al momento le sole vie da seguire.
Non solo biosicurezza
Isolamento degli allevamenti che prevede la loro delimitazione con apposite recinzioni per impedire ai cinghiali di entrare in contatto con i suini, esattamente come hanno fatto in Belgio che con un investimento di 3 milioni di euro sono riusciti a eradicare la malattia. Cosa che non hanno mai fatto in Polonia, dove l’infezione tuttora dilaga e dove da anni, ogni anno, lo Stato spende qualcosa come 10 milioni di euro per effettuare test che consentano la movimentazione dei maiali all’interno del Paese, soluzione estremamente costosa che oltretutto non si rivela in grado di sconfiggere la malattia.
Ma le recinzioni, che in un territorio impervio e vasto come quello ligure e piemontese dove sono state rinvenute le carcasse di cinghiale pongono seri problemi di installazione, non possono essere le uniche soluzioni.
Dalla biosicurezza non si può prescindere. E se al riguardo sull’adozione delle misure più rigorose i pareri non sempre concordano tra chi afferma che molto è stato fatto e chi ritiene che molto sia ancora da fare, non vi è alcun dubbio che recinzioni e biosicurezza rappresentino al momento le uniche armi a disposizione contro il rischio che il virus entri in porcilaia, dove le conseguenze che ne deriverebbero sarebbero disastrose sia ovviamente per gli allevatori e l’intera filiera produttiva sia per l’economia nazionale, che dall’export dei nostri prodotti di salumeria Dop e Igp ottiene valori molto importanti.
A fare due conti su cosa questo scenario diciamo pure apocalittico potrebbe provocare ci ha pensato ASS.I.CA., l’Associazione degli Industriali delle Carni afferente a Confindustria, che in uno studio ha stimato in 20 milioni di euro mensili la perdita derivante dal blocco delle esportazioni di prosciutto e salumi per ogni mese di sospensione.
Iniziativa che peraltro alcuni Paesi come Cina, Giappone, Taiwan e Svizzera hanno già adottato, penalizzando un intero settore senza considerare che diverse regioni come la Lombardia, l’Emilia-Romagna, il Veneto, il Friuli Venezia Giulia e la Toscana non hanno registrato la presenza di alcun focolaio di Psa.
Ecco perché gli esperti puntano alla regionalizzazione, che di fatto salverebbe le produzioni di quei territori non colpiti dall’infezione. In un quadro in costante evoluzione, dove ogni soggetto coinvolto, da quelli istituzionali ai produttori passando per i veterinari è a vario titolo coinvolto, il fattore “fortuna” può giocare un ruolo non indifferente.
Uno sguardo al futuro
Non si tratta di una considerazione semplicistica bensì reale. Da anni il virus della Psa circola come abbiamo letto in Europa. La capacità del Belgio di essere riuscito ad eradicarlo grazie ad un Piano di controllo efficace ma anche costoso, rimane purtroppo un fatto isolato dal momento che non solo nei Paesi dell’Est-Europa il virus dilaga, ma in altri come la Germania, che sicuramente vanta sistemi di allevamento all’avanguardia, pur adottando tutte le misure previste non si riesce a spegnere i focolai.
Quindi sì, un briciolo di fortuna è indispensabile. Come lo è ancor di più una sempre maggiore sensibilizzazione degli allevatori e della popolazione affinché i primi investano sempre più in biosicurezza e in sistemi di protezione, mentre i cittadini devono imparare a non disperdere rifiuti alimentari che potrebbero richiamare i cinghiali favorendo il loro avvicinamento alle porcilaie esistenti sul territorio.
Almeno fino a quando non si deciderà per un Piano di controllo e contenimento della popolazione di questi animali e la scienza non troverà un vaccino in grado di scongiurare un’epidemia da Psa.
Anna Mossini
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