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Attualità 

Qualità e consapevolezza: un binomio possibile?

of Meroni E.


In un tempo in cui la qualità di un prodotto si misura con il numero di like, diventa difficile distinguere un buon prodotto da uno scadente. Purtroppo siamo ormai da decenni avvezzi ai vari infiocchettamenti pubblicitari, che trasformano un prodotto di media qualità nel non plus ultra del bene. Tuttavia, l’attuale direzione rende le cose ancor più complicate.
In primo luogo perché diventa difficile per il consumatore comprendere la reale qualità del prodotto che vorrebbe acquistare e, in secondo luogo, perché consente a qualsiasi esercente, e dunque non solo ai colossi che possono pagare costosi spot pubblicitari, di far leva su tutta una lunga serie di elementi che permettono di vendere il fumo al posto delle schiacciate. Ne sono un esempio le inserzioni su Instagram o Facebook da parte di professionisti — spesso del web marketing più che di macelleria — che permettono loro di promuovere prodotti alla moda, di tendenza e troppo spesso a buon prezzo, senza che vi sia la concreta possibilità di comprenderne il reale valore.
È sacrosanto che il consumatore desideri assaggiare il Wagyu (letteralmente tradotto: manzo giapponese), ma non è possibile che glielo si propini di continuo ad un prezzo semplicemente ridicolo in rapporto a quello che sono le effettive caratteristiche e peculiarità del bene. Un bovino allevato con certi canoni, che deve passare tutta una serie di controlli di qualità per essere appellato tale e che, oltretutto, viene dall’altra parte del mondo, come fa a costare quelle cifre abbordabili che spesso si vedono nelle inserzioni pubblicitarie di cui sopra?
È evidente che in questi casi qualcosa non torna: sarebbe come pensare che il culatello di Zibello in Germania costasse come un qualsiasi altro prosciutto crudo. O non è culatello o è completamente impazzito il fornitore. E siccome la seconda opzione potrebbe essere vera solo in un ristrettissimo numero di casi, dobbiamo per forza supporre che ci sia qualcosa di strano e, ancor peggio, qualcosa che mette il consumatore nella condizione di non capire mai il vero valore delle cose. Ed è proprio questo il nocciolo della questione.
Purtroppo al giorno d’oggi vediamo sempre più l’accostarsi della qualità alla quantità: ti piace il Kobe? Ben venga! Da noi con 100 euro ne puoi avere a sazietà! Questo per qualsiasi serio allevatore, contadino o macellaio sarebbe impensabile: o qualità o quantità, le vie di mezzo sono pressoché impossibili. Peraltro, questo scempio produce almeno due reazioni che io personalmente considero negative: in primo luogo mette il con­sumatore nella difficile posizione di non riuscire più a comprendere l’alto valore di tutta una serie di prodotti; in secondo luogo soffoca le piccole realtà che, a causa di una concorrenza sul filo della slealtà, non possono più permettersi di mantenere dei prezzi competitivi su delle materie prime che sono del territorio e maggiormente controllate, col risultato che vengono loro preferiti perlopiù prodotti modaioli esteri di cui non si capisce come possano essere a quei prezzi.
La mia personale soluzione, forse becera nella sua semplicità, è di ritornare alla saggezza contadina, che è costituita da tre capisaldi:
per far le cose bene ci vuole il suo tempo; la sostanza è sempre meglio della forma; e, soprattutto, la qualità si paga.
Su questi tre punti è fondamentale che si strutturi il rapporto di fiducia tra macellaio e consumatore. Indirettamente, senza il bisogno che l’acquisto di una fettina di vitella diventi una lezione di economia agroalimentare, ma con costanti e puntuali attenzioni alle somministrazioni di prodotti di qualità, con brevi commenti circa il costo del tempo per la genesi del prodotto.
Pian pianino penso che ogni consumatore possa comprendere il senso che sta dietro al termine qualità. A quel punto potrà finalmente comprare in modo consapevole anche del manzo giapponese, rendendosi veramente conto delle differenze con una scottona di Limousine e, soprattutto, accettando con serenità il maggior prezzo, perché ne capisce le motivazioni.
Protendersi veramente in direzione della qualità permette al macellaio di interpolarsi tra produttore e consumatore in modo che la distanza tra i due sia sempre minore. Qualità, in fondo, significa consapevolezza.


Edoardo Meroni



Edoardo Meroni si presenta

Inizia con questo numero di Eurocarni la collaborazione con Edoardo Meroni. Nasce a Fiesole, in provincia di Firenze, nel dicembre del 1992. Nonostante una laurea magistrale in Psicologia clinica e numerose collaborazioni in campo editoriale e di formazione, ha sempre portato avanti la sua passione per la carne. Lavora attualmente come macellaio a Firenze, ma, nei ritagli di tempo cerca di portare avanti collaborazioni con allevatori, norcini, esperti nel campo della carne e, ultima in ordine di tempo, la nostra Rivista.


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