“Mettemmo sulla brace questi budelli di capra, per cena, li mettemmo dopo averli riempiti di grasso e di sangue”, scrive Omero nell’Odissea (Libro XVIII, versi 43-44), testimoniando che circa 2800 anni fa, nella reggia di Itaca, i Proci mangiassero sanguinacci cotti alla brace. I sanguinacci sono un’usanza molto remota: nell’antica Roma sono mangiati in onore di Fauno, dio della fertilità e dei boschi in occasione della festa dei Lupercalia, e li troviamo citati nella letteratura latina da Petronio ad Apicio. Nel primo Medioevo questo insaccato è più volte vietato a causa del suo rapporto con le tradizioni pagane e, attraverso le diverse età, arriva fino a noi diversificandosi a livello regionale, come dimostrano le numerose denominazioni locali. Oggi però le preparazioni a base di sangue, che per comodità espositiva si possono riunire nella denominazione generica di sanguinacci, non trovano un grande apprezzamento. Certamente i gusti sono cambiati e le generazioni più giovani in particolare, con una maggioranza della parte femminile, sempre più propendono verso un immaginario alimentare dove predominano le carni bianche del pollame e il suino leggero e dove hanno successo salumi con sapori e aromatizzazione leggeri.
Anche se in regressione, preparazioni culinarie e salumiere a base di sangue, variamente composte e preparate, salate o dolci, sono ancora diffuse in tutta Italia e, quasi come cibi etnici, hanno un certo successo in sagre e feste popolari dove estimatori e curiosi possono ancora goderne nelle loro due principali tipologie: i sanguinacci veri e propri, insaccati in budello, vescica o stomaco, e i migliacci, ovvero torte, frittelle, pasticci a base di sangue.
Tra divieti e regole
Tra i sottoprodotti della macellazione degli animali e i componenti del quinto quarto il sangue è forse quello che fin dall’antichità pone dei problemi che si manifestano in tabù, divieti e regole che riguardano il suo uso alimentare e che si manifestano anche nelle denominazioni attribuite ai piatti e alle preparazioni stesse. Alcune religioni proibiscono di bere e di mangiare sangue o cibo a base di sangue. Nell’Islam il consumo di sangue è proibito perché considerato impuro, per gli Ebrei perché la vita dell’animale è nel sangue. Anche ai partecipanti della Iglesia in Cristo e ai Testimoni di Geova è proibito mangiare o bere il sangue. Ai Cristiani dei primi secoli è ordinato di astenersi dal consumare il sangue, ma poi la prescrizione cade in disuso.
In alcune culture il sangue è un alimento tabù, in molte altre il sangue è cibo di per sé o combinato con la carne sotto forma di salsiccia o insaccato, come addensante per salse, polimerizzato in forma salata per periodi di scarsità di cibo o in zuppa o altra forma (sangue fritto, torta con sangue, ecc…), tenendo conto che ha bisogno di essere rapidamente consumato o trasformato.
Salumi contenenti sangue
Già in raffigurazioni medievali si vede la raccolta del sangue dall’animale appena macellato. Il sangue è il sottoprodotto più importante di macellazione, considerando che rappresenta dal 10 al 13% del peso dell’animale. Il sangue è prevalentemente costituito da acqua e proteine e talvolta è stato chiamato carne liquida, perché la sua composizione è simile a quella della carne magra. Alcune popolazioni si nutrono col sangue da animali in vita, ad esempio i cammelli, prelevandolo e bevendolo direttamente dalla loro vena giugulare. Frazioni di sangue animale sono utilizzate in medicina umana.
Molte popolazioni hanno sviluppato salumi per la conservazione e l’utilizzo del sangue dei diversi animali e abbondanti sono le ricette per l’uso del sangue in cucina, ma in questa esposizione daremo solo cenni sui salumi italiani esclusivamente o prevalentemente preparati con sangue di maiale.
Abbiamo numerosi esempi naturalmente anche in altri Paesi, come il Blutwurst tedesco, la morcilla spagnola, la morcela portoghese, il black pudding britannico, il mustamakkara finlandese, il blodpudding svedese e il sundae coreano.
Piemonte-Val d’Aosta, Bodin piemontese, Boudin valdostano, Birölt valtellinese
In Piemonte e nell’area alpina dell’Alta Valtellina il sangue del maiale è mescolato con pane, o patate o riso, barbabietole e spezie e consumato cotto insieme alla polenta o insaccato per farne salsicce.
Lombardia – Marzapane, Sanguinaccio lombardo
In Lombardia il sangue del maiale mescolato con pane o patate e spezie è denominato Marzapane mentre nell’Alta Val Camonica il sangue è insaccato con una pasta simile a quella del cotechino, denominato Sanguigni o Sanguignino, e consumato in due modi: lessato insieme ad altri salumi (come il cotechino) e patate, oppure seccato in cantina e mangiato dopo qualche mese di essiccazione. Nel sanguinaccio lombardo il sangue di maiale è unito a pane o patate e spezie varie con inesauribili varianti, a seconda del luogo di produzione; il sapore è dolciastro e speziato.
Liguria, Beroldo
In Liguria il sangue serve per la preparazione di un insaccato unitamente a pinoli, sale, latte non scremato e cipolle.
Toscana, Mallegato o Biroldo, Buristo
In Toscana la ricetta del Mallegato o Biroldo prevede il sangue con l’aggiunta di varie spezie tra cui i semi di finocchio selvatico. Nel Senese è preparato un insaccato chiamato Buristo. Il Biroldo della Garfagnana, prodotto in diversi comuni delle province di Lucca, Carrara e Pistoia, è composto da cuore, lingua e cotenne di maiale cotti in una caldaia per circa un paio d’ore; si aggiungono poi piccoli pezzi di lardo, naturalmente il sangue e le spezie (sale, pepe, cannella, noce moscata, coriandolo e chiodi di garofano). Il Mallegato di San Miniato vede mescolati con il sangue crudo lardelli, sale, noce moscata, cannella, pinoli e uva passa. Il Buristo di Chiusdino è composto da tutte le parti della testa del maiale disossate, qualche lardello a cubetti e sangue filtrato e per regolare la sapidità limoni, bucce d’arancia, salvia e aglio il tutto insaccato nello stomaco dell’animale.
Calabria, Sangiari
Il Sangiari è preparato con sangue di maiale, ricotta o vino cotto. Nell’area di Sibari si prepara una crema cotta a base di sangue fresco di maiale, cacao in polvere, noci e o uva passa.
Basilicata, Sanguinaccio dolce, Ru Sanguanatu o Le Sanghenàte
In Basilicata il sanguinaccio dolce è conservato in barattoli come per la marmellata. Nella zona del Vulture il sanguinaccio dolce è preparato con l’aggiunta di cioccolato fondente, vaniglia, cacao amaro e cannella. Nella cucina del Nord della Campania e in quella molisana il Ru Sanguanatu, o Le Sanghenàte, è preparato aggiungendo al sangue, riso, cacao, pinoli, bucce d’arancio, uva passa.
Puglia, Lu sangunazz, Ù sangùnét
Per la preparazione de Lu sangunazz il sangue è unito all’intestino e il tutto è cotto e insaccato per essere poi tagliato a fettine e mangiato. Ù sangùnét è composto di intestino e sangue, cotti e poi serviti, a fette, sul mitico pane.
Sicilia, Sangeli
In Sicilia il sangue è usato per una preparazione salumiera simile a quelle pugliesi.
Sanguinacci dai molti nomi
Molte sono le denominazioni italiane dei sanguinacci che sono state oggetto di accurate e dettagliate ricerche da parte di linguisti, e tra questi anche da Michele Burgio (Burgio M., Quando la lingua si colora di rosso. Il sanguinaccio. Sanguinacci e migliacci, in: Arcangeli M., a cura di, Peccati di lingua, Le 100 parole italiane del Gusto, Rubbettino Editore, 2015), che dimostrano l’antichità di questi alimenti e quindi il loro valore culturale oltre che alimentare e gastronomico.
Un rapido esame dell’origine dei nomi aiuta a comprendere meglio il vasto e complesso mondo alimentare dei sanguinacci. Sanguinaccio ha un’etimologia trasparente e costruita sul latino sanguine (m) con l’aggiunta del suffisso -aceus, con l’antico valore neutro indicante in questo caso la qualità.
Boudiun, bodin, budino
L’etimologia del termine “budino” deriva dal latino botellus (peraltro termine non propriamente romano, ma di origine osca), le budella di animale che si usano per preparare ancora oggi salsicce o budini di conserve salate. Dal diminutivo volgare botellinus deriva il francese boudin, che in origine indicava una preparazione che ora definiamo di salumeria, termine quest’ultimo che fino al 1700 era quasi esclusivamente riservato al pesce salato.
Il Ménagier de Paris, manoscritto di economia domestica del XIV secolo e considerato il maggior trattato culinario francese del Medioevo — d’interesse storico e linguistico oltre che culinario —, descrive ricette per un boudin blanc (salsiccia) e un boudine noir (sanguinaccio), che nella cucina inglese diventa il black pudding.
Solo durante il XVIII secolo vi sarebbe stata l’evoluzione nelle tipologie oggi conosciute di budini dolci.
Il termine italiano budino è un adattamento dell’inglese pudding (pudino o puddingo), sul quale in seguito influisce probabilmente anche il francese boudin; in italiano per la prima volta appare nel 1808 la forma bodino e nel 1892 quella attuale. Nel Dizionario Moderno (1905) di Alfredo Panzini troviamo la seguente definizione: budino, dolce col sangue.
Biroldo, beroldo
Forse per metatesi dal latino birotulus (donde birotilo, birotolo, birolto, biroldo), formato da bi(s), due volte, e rotulus, da rotulare, volgere in giro, e propriamente rotolo di salsiccia, budello ripieno di sangue e altri ingredienti e cotto nell’acqua. Discutibile è un’origine del termine per metatesi da bilordo (doppiamente lordo).
Buristo
Buristo (buristio, burischio, buricco) è parola in uso in toscana e probabilmente di origine germanica, ma le circostanze esatte della sua diffusione sono oscure. I linguisti Carlo Battisti e Giovanni Alessio suppongono una derivazione dal Trentino, o da brust, adattamento del tedesco wurst (salsiccia, salume) e soprattutto da blutwurst (sanguinaccio), mentre Giacomo Devoto propende per un’origine diretta dal tedesco.
Barbusti e Brigaldo sono denominazioni venete. Nel Vicentino i barbusti sono salsiccioni preparati con sangue, interiora e scarti di seconda scelta, mentre nel Veronese il sanguinaccio dolce di sangue, latte e zucchero è detto brigaldo o brigaldolo, voce antica e registrata nel 1450, da accostare a biroldo.
Busecchin contenente sangue è denominazione che deriva da busecca, voce regionale di più ampio significato entrata nell’uso e da ricondurre all’arabo Būzaqq, con significato di pancione.
Boldóne è voce regionale d’area lombardo-veneta per diversi tipi di sanguinacci, per lo più dolci, come il veneziano Boldón, che forse deriva dal latino botulum.
Marzapane
Odiernamente il termine marzapane indica una pasta dolce di mandorle pestate e zucchero, alla quale viene data consistenza con albume d’uovo. L’etimologia della parola, massepain in francese, marzipan in tedesco, da tempo ha posto interrogativi e ha un’origine ancora contestata e tra le altre quella di Pane di San Marco. Una delle ipotesi più accreditate è una derivazione dall’arabo marṭabān, originariamente nome di una moneta, poi di una misura di capacità e, in seguito, del contenitore in cui si conservava il dolce, dal nome della città indiana di Martaban. Negli anni Quaranta del secolo XIV si trova traccia del termine, forse d’origine araba, in varie forme romanze, in Italia e in Provenza, per designare una scatola per dolciumi e i dolciumi stessi. Misterioso è il passaggio della parola per definire un salsicciotto contenente sangue.
Mallegato, termine noto sin dal XVIII secolo, è composto da male e legato perché, a differenza del salame, non è legato fisso. Sambudello è parola dell’area appenninica tosco-romagnola (zambudèl in romagnolo) e composta da sangue e budello. Sangiere è termine presente nelle regioni italiane meridionali giungendo fino alla Sicilia per sanguinacci di sangue di porco e la voce è forse da ricondursi al francese antico sanglier, da cui anche il termine di cinghiale.
Sanguinacci a rischio di estinzione
I salumi e le ricette tradizionali contenenti sangue fin dai tempi più remoti sono parte della dieta italica e sono rarità in via di estinzione da salvare. Anche per questo è nata l’Associazione dei Sanguinacci di San Miniato che ha lo scopo di preservare dall’oblio gastronomico nello specifico il mallegato, salume nobile e povero allo stesso tempo.
Prof. Em. Giovanni Ballarini
Università degli Studi di Parma
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