Alberto Grandi
Denominazione di Origine Inventata
Le bugie del marketing sui prodotti tipici italiani
Edizioni: Mondadori
192 pp. – € 11,00
Il Parmigiano Reggiano più simile a quello creato secoli fa dalla sapienza dei monaci emiliani? È il Parmesan prodotto in Wisconsin, USA. E quella meraviglia dolce e succosa che si chiama pomodoro di Pachino? Un ibrido prodotto in laboratorio da una multinazionale israeliana. Tutto quel gran sbattersi per definire il vino DOC, DOP o IGP in base a millenarie tradizioni dei vigneti? Un nobile intento, che finge di non sapere che nell’800 un parassita distrusse tutte le vigne presenti sul territorio italiano e europeo, obbligando i nostri viticoltori a usare viti non autoctone e innesti vari. Alberto Grandi, dell’Università di Parma, svela il marketing dietro al successo dell’industria gastronomica italiana. I tanti prodotti tipici italiani, gran parte dei piatti e la stessa Dieta Mediterranea sono certo buonissimi, ma le leggende di storia e sapienza che li accompagnano sono invenzioni degli anni ‘70: è in quel momento che imprenditori e coltivatori si alleano per inventare una presunta tradizione millenaria del nostro cibo e il conseguente storytelling per sostenerla. Un libro, questo, che farà arrabbiare, ma, forse, anche ragionare, tutti coloro che sono fideisticamente innamorati del grande mito della tipicità italiana.
Alberto Capatti, Elena Fava (a cura di)
Figurine di gusto
Delizie per la gola e gli occhi dalla natura all’industria
Edizioni: Franco Cosimo Panini
224 pp. – € 25,00
Figurine di gusto affronta il tema del cibo e dell’alimentazione così come è stato raccontato dalle figurine fin dalla metà del XIX secolo. In quegli anni la nascente industria alimentare le sfrutta infatti come veicolo promozionale per illustrare al pubblico alimenti pensati, per la prima volta, per la lunga conservazione, una vasta distribuzione e una facile preparazione. Prodotti come l’estratto di carne liofilizzata, il latte condensato, la tapioca o le tavolette di cioccolato diventano così protagonisti delle figurine, che spiegano le loro proprietà benefiche e principi nutritivi e mostrano gli stabilimenti in cui venivano realizzati e imballati. Ma il rapporto tra le piccole cromolitografie e il cibo non si esaurisce certo qui: i “cibi di strada” e le ricette tipiche spesso oggi dimenticate sono frequentemente stati il soggetto di numerose serie, insieme a panoramiche sulla storia dell’alimentazione dei popoli. Tra le pagine di questo libro, come in un’Esposizione Universale che attraversa i secoli e i continenti, il lettore incontrerà così ghiottonerie e prelibatezze, frutti dei campi e cibi conservati, ricette antiche e tavole imbandite.
Alberto Capatti
Piccolo atlante dei cibi perduti
Storie di cucina dimenticata
Edizioni: Slow Food Editore
192 pp. – € 16,50
Il gioco del cibo dimenticato o ricordato è all’origine di questo piccolo atlante: 80 schede-racconto riportano in vita cibi e ricette del ‘900 (apparentemente?) scomparsi. La seconda parte è dedicata alle nonne, attraverso i ricettari che le vedono protagoniste, prime custodi nell’immaginario popolare di una cucina senza di loro condannata all’oblio. I cibi dimenticati danno continuità alla nostra storia e ci permettono di intuire non soltanto che cosa siamo stati, ma soprattutto che cosa siamo e cosa saremo. Quasi un giallo, un mistero, un elenco di stranezze, della nonna o di qualche ristoratore modaiolo, ma poi neanche tanto strano a bene vedere… Il loro nome attira l’attenzione, perché misterioso come bighelloni e broccioli, o perché esagerato e fantasioso come le uova di pavoncella, suggerite per una cena galante in un ricettario afrodisiaco del 1910. Le fonti sono le più varie: i brustulli, ad esempio, vengono dal Dizionario delle cose perdute di Francesco Guccini. Le schede si susseguono in ordine alfabetico, dall’abalon al pane perduto, nomen omen, fino a uno yogurt usato insolitamente (Ilaria Rattazzi nel 1981: “Vi siete presi una sbronza, mangiate dello yogurt”).
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