Borgo sospeso sulle rive del Grande Fiume, Pomponesco è un piccolo comune della Bassa Montovana. Una grande piazza ne domina la struttura e l’identità, i portici e le case color pastello tutto intorno, l’ombra di un castello che fu dimora principesca e che ora si può soltanto immaginare, l’argine in lontananza con la scalinata che conduce alla Riserva naturale della Garzaia e poi al Po. Un paese non noto a molti forse ma molto amato da Cesare Zavattini e Mario Soldati, Bernardo Bertolucci, che lo scelse per girare alcune scene di Novecento, o ancora Mario Girotti-Terence Hill, che dopo aver girato qui il remake di Don Camillo è stato insignito della cittadinanza onoraria. Nel mio piccolo, invece, io lo conosco e l’ho scelto come meta per una gita a carattere gastronomico grazie al lüadèl, un pane “focaccioso sfogliato”, come viene perlopiù descritto da queste parti, che in passato i contadini nelle cascine usavano preparare per controllare che il forno avesse raggiunto la giusta temperatura, prima di cuocere il cosiddetto “pane grosso” per la settimana.
Un pane di prova insomma: il nome sarebbe infatti etimologicamente riconducibile ai verbi sollevarsi, alzarsi, e quindi al lievitare, ma potrebbe essere legato anche al termine dialettale del lievito madre. «Fino agli inizi del ‘900, prima che nascessero i panifici, ogni famiglia tra Pomponesco e Viadana aveva la sua ricetta del lüadèl. Quello di Viadana però — un prodotto che oggi si trova abbastanza facilmente in quasi tutti i forni del comune mantovano — resta basso, perché non viene usato il lievito, e quindi risulta molto più unto. Più simile al nostro invece era quello prodotto da un unico fornaio di Villastrada, ma alla fin fine, quando siamo andati a ricercare l’origine di questo pane, tutto e tutti ci hanno sempre riportati qui a Pomponesco».
A raccontarmi “vita, mancata morte e miracoli” del lüadèl è Mentore Negri, titolare con la moglie Virna della Panetteria Il Cesto e uno dei protagonisti della riscoperta e della rinascita del panino sfogliato. I due hanno aperto il loro negozio 18 anni fa e da 16 propongono questa specialità. Prima solo la domenica, oggi tutti i giorni. «Possiamo dire tranquillamente che è il nostro prodotto di punta» prosegue Mentore. «C’è gente che fa anche 30-40 km per venire a comprarlo, soprattutto nel week-end, considerandolo il pane della festa». La domenica, infatti, Mentore e Virna ne producono una cinquantina di chili, sei/sette chili in tutto il resto della settimana.
Per la ritrovata notorietà del lüadèl bisogna ringraziare il grande lavoro fatto da Slow Food e in particolare dalla condotta dell’Oglio-Po, di cui Mentore Negri fa parte, ma non si può certo dimenticare Luigi Saltini, dell’omonimo ristorante attualmente gestito dal figlio Danio. Fu infatti lui a suggerire alla moglie, Gilda Azzi, di riproporre per i clienti del proprio locale il lüadèl, che lei aveva imparato a fare da bambina seguendo le indicazioni della nonna sulla base di una ricetta di famiglia tramandata oralmente. Si deve quindi ai Saltini e alla loro volontà di mantenere viva questa ricetta la sopravvivenza stessa del lüadèl che, nel ristorante che affaccia sulla magnifica piazza XXIII Aprile, resta fisso in menu, servito caldo insieme ad una selezione di salumi grassi: spalla cotta, salame o pancetta, tagliati belli spessi, che si sciolgono al suo contatto.
«Il 31 maggio 2019 abbiamo costituito ufficialmente anche la Confraternita degli amici del lüadèl — continua Mentore — per portare avanti la tradizione di questo prodotto e farci conoscere sempre di più al di fuori dei nostri confini, a livello nazionale. Inoltre, quest’anno il lüadèl dovrebbe “salire” sull’Arca del Gusto di Slow Food insieme agli altri quattro prodotti già presenti provenienti dal territorio dell’Oglio-Po ovvero il Lambrusco, quello scuro tipico di queste zone, il melone antico, lo spallotto e i gnòc a la mulinèra, gli gnocchi alla mugnaia preparati soltanto con acqua e farina (una ricetta da assaggiare al Caffè La Crepa di Isola Dovarese, Cremona). Infine, puntiamo ad ottenere la Denominazione Comunale (De.Co.)».
La sfogliatura morbida e croccante al tempo stesso del lüadèl rimanda immediatamente al croissant, la sua forma al pain au chocolat ma… senza chocolat, avendo al posto del cioccolato un buon 30% di strutto (farina, lievito, sale gli altri ingredienti), il cui sapore si sente al primo morso e che resta la base che fa la differenza del prodotto.
Gaia Borghi
>> Link: www.panetteriailcesto.it
Nota
Da vedere su Vimeo il video LÜADÉL di Riccardo Alessandri.
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