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Formaggio

Latteria turnaria di Pejo e Casolét

of Lagorio R.


Una volta rappresentavano l’impalcatura economica dei piccoli centri di montagna, garantivano lavoro e reddito ai contadini e, nel contempo, esprimevano in maniera tangibile il senso di solidarietà delle comunità. Nei migliori dei casi le sedi dei caseifici turnari sono state oggi trasformate in museo, ma alcuni di questi simboli di un passato tanto diverso resistono. Uno di questi si trova a Pejo paese, in provincia di Trento.
Nel sistema turnario il numero delle caserade, ovvero l’insieme dei prodotti lavorati in un determinato giorno, a cui ciascun socio aveva diritto, era proporzionale al latte conferito. Si prevedeva inoltre che ogni caserada, fosse, a turno, proprietà di uno dei soci del caseificio. Il sistema consentiva alle famiglie di trasformare collettivamente ridotte quantità di latte e si manifestava adatto a sistemi produttivi di piccola scala.
Il caseificio turnario si distingue chiaramente dal modello cooperativo perché i soci conferitori non vendono il latte alla cooperativa, ma ricevono un servizio per cui viene riconosciuto loro un certo quantitativo di prodotto in base al latte apportato. Il calcolo utilizza un sistema di debiti e crediti di latte maturati nell’arco di un determinato periodo. Un’organizzazione efficiente e votata al bene comune che si rinveniva in molte borgate alpine. Il Caseificio di Pejo che mantiene questa impostazione è costituito da una sala con tre caldaie in rame, un locale con le vasche ad acqua per l’affioramento della panna di latte, un ambiente dedicato all’immissione dei formaggi in salamoia, alcune cantine per la stagionatura e uno spazio per la vendita. Il piccolo negozio è affidato alle cure di Ilaria Della Giovanna, che lavora qui in veste di conferitrice (possiede 8 vacche) e dipendente. Collabora anche con il casaro, il giovane Daniele Caserotti, nella produzione del formaggio. «I soci sono 4 e salgono a 8 in estate e in giorni normali lavoriamo da 4 a 12 quintali di latte» rivela Riccardo Casanova, presidente del consesso. «Ma nel 1959, quando il caseificio turnario fu fondato, i conferitori erano oltre 100».
Qui a 1585 metri, nel Parco Nazionale dello Stelvio e accanto alla chiesa di San Giorgio con il suo campanile che raffigura San Cristoforo, Patrono dei pellegrini, è facile ripetere innumerevoli viaggi dopo avere conosciuto la bontà del Casolét. «Si tratta di un formaggio a latte crudo e la sua artigianalità comporta la variabilità del peso delle forme, che va da 700 grammi a 2 kg» chiarisce Daniele Caserotti, poco più che ventenne ma già con grande esperienza acquisita. Un tempo il Casolét si produceva solo in autunno, quando le mandrie erano già scese dagli alpeggi e le mungiture erano scarse; ora si tende a renderlo disponibile per buona parte dell’anno. «La preparazione avviene portando la temperatura del latte intero di una o due munte a una temperatura tra 35 e 39 gradi. Dopo l’aggiunta del caglio e l’opportuna attesa, si procede alla grossolana rottura della cagliata e uno o due successivi scuotimenti per liberare il più possibile i granuli dal siero» continua. Dopo aver lasciato riposare la massa, si travasa negli appositi stampi compattandola opportunamente. Il casaro rivolta più volte nello stesso giorno le forme a temperatura ambiente, continuando a salare le forme a secco per 3 giorni sulle assi della casera. La stagionatura si protrae per almeno 20 giorni. Durante il periodo estivo si può trovare anche il Casolét con aggiunta di latte di capra.
Altro prodotto identitario della latteria è il Pegaes, un formaggio a pasta dura che si consuma a partire dal quarto mese dopo la produzione, ma che stagiona anche oltre un anno. In questo caso il formaggio rimane nelle vasche di salamoia per una settimana circa. Il burro si ottiene dalla panna di affioramento, possiede colore giallo paglierino, profumo intenso, sapido all’inizio, pieno e unto dopo pochi istanti da quando si mette in bocca. «Siamo rimasti gli unici, ma i problemi sono tanti. Ad iniziare dai problemi degli spazi che ci impongono i veterinari dell’azienda sanitaria locale, perché dovremmo seguire le stesse regole dei grandi caseifici industriali. In cima ai loro desideri il fatto che noi si pastorizzi il latte, ma ciò renderebbe il nostro formaggio uguale a tanti altri». L’ira antibatterica di questi ayatollah in camice bianco, si sa, non si ferma di fronte a nulla. Col pretesto di abbattere i microrganismi sono riusciti nell’intento di sterminare buona parte di patrimonio della cultura materiale del nostro Paese: la latteria turnaria di Pejo intanto resiste.


Riccardo Lagorio



Caseificio turnario di Pejo
Via San Giorgio 2 – 38024 Pejo (TN)
Telefono: 3339612140


Nota
Photo © Marco Simonini.



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