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Il turtèl sguasaròt mantovano

of Villa R.


Storia e legame
con il territorio

La provincia di Mantova è da sempre luogo di confine, stretta com’è tra Brescia e Cremona a occidente e a settentrione, Verona lungo tutto il confine orientale, Reggio Emilia, Modena e Ferrara a meridione. Indipendente per quattro secoli, nel 1708 cadde nelle mani degli Asburgo — casata con la quale i Gonzaga erano imparentati per vincoli matrimoniali sin dal 1549, quando Francesco III sposò Caterina d’Austria, figlia dell’Imperatore Ferdinando I nonché nipote del glorioso Carlo V — sino all’unità d’Italia. L’autonomia di cui godette nel periodo rinascimentale e barocco si riflette nell’eclettismo dell’arte culinaria sviluppata presso la corte dei Gonzaga, da molti definita “di prìncipi e di popolo”, a sottolinearne la caratteristica commistione tra cibi raffinati e contadini. Oltre ai celeberrimi e pluricelebrati tortelli di zucca alla mantovana vi sono molti altri piatti eredità di quell’epoca storica, che non andremo qui a richiamare: tra quelli meno noti vi è appunto il Turtèl.
La ricetta originale del Turtèl sguasaròt è attribuita a Bartolomeo Stefani, cuoco bolognese al servizio della corte mantovana, autore del manuale di cucina “L’arte di ben cucinare et instruire i men periti in quella lodevole professione”, edito a Mantova nel 1662 e poi più volte ristampato a Milano, Bologna, Venezia1. Nel tomo il sapiente chef include anche il “banchetto ordinato per la Maestà della Regina Cristina di Svezia dal Serenissimo di Mantova” da lui stesso preparato alla fine di novembre del 1655 per accogliere l’illuminata sovrana nordica con piatti ad effetto. Sebbene nella silloge non sia riscontrabile2, la paternità del tortello ripieno di purea di fagioli e insaporito con cacio ed erbe aromatiche, avvolto in una sfoglia senza uova e cotto in un brodo di fagioli viene correntemente data allo Stefani. Questa ricetta venne poi diffusa nell’ambito del Ducato, dove subì modifiche popolari sino a stravolgerne l’originaria creazione come “primo piatto” secondo i nostri canoni, poiché la cucina dell’epoca era assai diversa e poteva cominciare con un piatto dolce ove abbondavano zucchero, marzapane, frutti sciroppati.

Descrizione del prodotto
Alla formulazione del cuoco di corte vennero aggiunti ingredienti tipici del contado mantovano, che ne mutarono l’ordine tra le portate secondo il gusto moderno sebbene mantennero quel connubio dolce-salato che caratterizzò la cucina rinascimentale gonzaghiana. Il nome deriva dal fatto che il tortello letteralmente deve “sguazzare” nel sugo di accompagnamento. L’impasto (sfòl) prevede di amalgamare farina, acqua, olio di mais o di riso, infine zucchero e sale in egual proporzione sino ad ottenere una pasta piuttosto soda, che va tirata col mattarello ad uno spessore di un millimetro. Con la rotella si ricavano rettangoli di circa 12x7 centimetri al centro dei quali si mettono 25 grammi di ripieno. Il ripieno (pist) è fatto per un terzo con fagioli borlotti lessati, per un terzo con castagne lessate (si possono impiegare quelle secche fatte rinvenire) e per il rimanente terzo con mostarda sgocciolata dallo sciroppo, il tutto viene tritato finemente e mescolato sino a risultare omogeneo e compatto.
Dopo aver piegato la pasta in due per racchiudere il ripieno, eliminando accuratamente l’aria, si frigge in olio caldo e, una volta scolato e raffreddato, si cosparge col condimento (pavràda) fatto di conserva di prugne, vino cotto, spremuta di mandarino e arancia.
Il “tortello” si può consumare caldo ma gli intenditori consigliano di mantenerlo in frigorifero per qualche giorno prima di consumarlo, in modo da renderne il sapore più intenso.
Ne esiste anche una versione lessata, il cui impasto, oltre a farina e sale, prevede anche le uova, per il resto la preparazione del ripieno e del condimento non differisce.

La rinascita e la Confraternita del Turtèl sguasaròt
La preparazione complessa, il mutamento dei gusti, la rapida scomparsa della cultura contadina a partire dalla seconda metà del Novecento erano tutti elementi a sfavore della sua permanenza sulle tavole del giorno d’oggi; fino a qualche anno fa veniva cucinato quasi esclusivamente da poche persone anziane. Questo piatto rischiava invero di scomparire per sempre quando un gruppo di benemeriti si diede da fare per ravvivarne i secenteschi fasti: nel 2008 un gruppo locale di appassionati ed esperti di cucina, capitanato dallo scomparso Maurizio Santini, ha fondato la Confraternita dal Turtèl Sguasaròt, grazie alla quale la ricetta è stata studiata per individuare quella più aderente alla tradizione e infine registrata.
Nel 2010 il prodotto, anche per la preziosa collaborazione con l’Accademia Italiana della Cucina, è stato inserito dalla Regione Lombardia nell’elenco ufficiale dei Prodotti Agroalimentari Tradizionali. La sua presenza oggi è attestata prevalentemente in cinque paesi dell’Oltrepò Mantovano — Borgofranco sul Po, Carbonara di Po, Felonica, Magnacavallo e Sermide — tuttavia la Confraternita si sta impegnando per inserirne la ricetta nei menù di agriturismi, trattorie e ristoranti della zona ed anche oltre i cinque comuni; promuove inoltre ogni anno sin dal 2008 un concorso per premiare il migliore turtèl e si adopera in iniziative volte a diffonderne la conoscenza sul territorio e fra i turisti.


Roberto Villa



Nota

1. Per gli appassionati di storia dell’arte culinaria il testo integrale dell’edizione stampata a Venezia nel 1685 si può leggere in: books.google.it/books?id=J6M_AAAAcAAJ&pg=PA231&hl=it&source=gbs_selected_pages&cad=2#v=onepage&q&f=false.
2. Da una lettura accurata sebbene non completa del testo sopra citato, che comprende anche un’appendice rispetto all’edizione originale mantovana, non si evince una ricetta simile a quella citata da più parti come originale. Ciò non esclude che Bartolomeo Stefani ne fosse l’inventore, semplicemente potrebbe aver reputato di non includerla tra le preparazioni meritevoli di pubblicazione.



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