Storia e legame col territorio
Nelle colline e montagne umbre l’allevamento ovino ha sempre avuto un’importanza notevole nell’economia rurale, ad integrazione delle colture vegetali. Tradizione vuole che nella ricorrenza di Sant’Antonio i pastori offrissero a tutte le famiglie la cosiddetta “quagliatella”, un prodotto ottenuto dalla fermentazione di latte e caglio di consistenza molto cremosa, sui cui stampi veniva praticata una croce con un bastone in modo che restasse impressa sulla forma in onore del Santo protettore degli animali1.
Oltre al prodotto freschissimo consumato in quella occasione era tipico realizzare anche caciotte di media e lunga stagionatura. Attualmente se ne produce una versione classica, detta “del pastore”, ed una che viene denominata “del caseificio”: la differenza risiede nel fatto che la prima è fatta con latte crudo di pecore allevate al pascolo con minima integrazione di foraggi verdi o mangimi prodotti nell’alta montagna mentre la seconda prevede l’impiego di latte proveniente da pecore solo in parte alimentate al pascolo e con una quota prevalente di foraggi e mangimi della media e alta valle, sottoposto a termizzazione2. Altre differenze stanno nella metodologia di caseificazione, più caratteristica e variabile per la versione classica rispetto a quella più standardizzata in caseificio, come più avanti descritto. I comuni interessati dalla produzione sono Norcia, Cascia, Sellano, Preci, Monteleone di Spoleto, Cerreto di Spoleto, Poggiodomo, Vallo di Nera, Sant’Anatolia di Nacco, Scheggino, Montefranco, Polino Arrone, Ferentillo.
Descrizione del prodotto
Il prodotto stagionato per circa sessanta giorni viene considerato fresco; se la stagionatura si prolunga per 8 fino a 12 mesi si ottiene un prodotto da grattugiare. Ha forma cilindrica con facce piane di diametro da 15 a 24 cm, scalzo diritto da 8 a 14 cm e peso generalmente di circa 3 kg quando fresco mentre diminuisce via via con il prolungamento della stagionatura.
La crosta, più o meno “abbucciata” a seconda della durata della stagionatura, è di colore giallo per divenire scura nel prodotto a circa un anno, soprattutto nella caciotta “del pastore”; la pasta è di colore tra il bianco e il paglierino; il sapore è piccante e tende a crescere con la stagionatura. Viene prodotto da gennaio a dicembre nella versione del caseificio mentre quella “del pastore” si produce da gennaio-febbraio sino ad agosto. La versione classica si distingue da quella più moderna per vari fattori che vanno a caratterizzarne profumo, sapore e struttura: i ricchi pascoli della conca di Norcia e delle montagne tutto intorno, il caglio che viene prodotto da ogni singolo pastore, dandogli una leggera affumicatura perché fatto asciugare vicino al camino, che viene poi trasmessa ad ogni formaggio, l’uso di far cuocere le forme nel siero per irrobustire la crosta e dare una consistenza maggiore alla ricotta, specie quella salata, l’esigenza di riscaldare la caldaia solo con fuoco a legna. Infatti nella lavorazione tradizionale il latte crudo viene filtrato e messo a scaldare sulla caldaia in rame stagnato a fuoco diretto finché raggiunge una temperatura di circa 37-40 °C; quando si fredda (si sente con la mano), si aggiunge il caglio naturale proveniente dagli agnelli dall’allevamento dell’azienda stessa. Trascorsi 15-30 minuti si procede alla rottura della cagliata che viene poi prelevata e messa negli stampi o cerchi di legno (formatura). Le forme del peso di 3 kg circa vengono lisciate a mano esercitando una certa pressione che permette la fuoriuscita del siero, ed in seguito si ricoprono di sale (salatura a secco). Dopo 24 giorni, le forme si lavano e si dispongono su tavole di legno in locali freddi dove avviene la stagionatura (da 60 giorni sino ad 1 anno). Durante questo periodo il formaggio viene periodicamente lavato e girato.
Abbinamenti gastronomici ed enologici
Il pecorino fresco è perfetto per l’abbinamento con frutta secca, miele e composte di frutta o di cipolla di Cannara, accompagnato con sedano nero di Trevi. Fino a media stagionatura viene piacevolmente degustato da solo, insieme a una semplice fetta di pane, per apprezzarne al meglio l’intensità gustativa. Si può consumare come antipasto insieme ad altri formaggi locali (pecorino di fossa, pecorino stagionato in botte, ravaggiolo) e ai salumi per i quali questa zona è rinomata, dal prosciutto di Norcia IGP al capocollo, al guanciale, ai salami, accompagnato con la torta al testo o crescia umbra. Nella versione fresca è ottimo utilizzato come ripieno di ravioli di magro con erbe aromatiche quali timo e maggiorana.
L’abbinamento col vino del territorio può trovare un buon compagno in vini bianchi come l’Orvieto classico DOC Rupestro della cantina Cardèto3 o nel Grechetto Colli Martani DOC Sassi d’Arenaria della cantina Di Filippo, che matura sei mesi sui lieviti4; con stagionature superiori ai 6 mesi è consigliabile anche un rosso con tannini eleganti come il Montefalco rosso DOC della cantina Adanti, a base di uve Sangiovese con un moderato contributo di uve Sagrantino e altri vitigni (Barbera, Merlot, Cabernet)5.
Roberto Villa
Note
Catanelli L. (1987), Usi e costumi nel territorio Perugino agli inizi del ‘900, Ed. dell’Arquata.
INSOR (1990), Atlante dei prodotti tipici: I formaggi, Franco Angeli.
www.cardeto.com
vinidifilippo.com
www.cantineadanti.com
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