it en
Risultati
Prodotti tipici

Ma perché il Tiròt è così buono?!

of Papotti C.


A Sermide e Felonica, l’ultimo comune del Basso mantovano, ad un centinaio di chilometri di distanza dal Delta del Po, al confine tra Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto, trova origine un presidio Slow Food che merita di essere difeso dalle imitazioni. Accanto ai celeberrimi “tortelli di zucca”, al “risotto alla pilota” (il famoso riso condito con un pesto di carne di maiale), agli “agnolini in brodo”, al “luccio in salsa”, agli stracotti e alla “torta sbrisolona”, sfila il “tiròt”, una focaccia con cipolla, tipica della terra dei Gonzaga, che arricchisce la cultura del mangiar bene. Il Grande Fiume ha reso i terreni di queste zone fertili e argillosi, perfetti per la coltivazione di una cipolla dolce e dorata. Un’antica leggenda vuole che sotto il fiume scorra una vena d’acqua leggermente salmastra, capace di dare alla cipolla di Sermide il suo caratteristico sapore; per questo, viene anche chiamata “figlia del Po”. La cipolla ha una storia antica, è presente sulle tavole delle famiglie più povere già nel Medioevo, ma solo nel Rinascimento riesce a guadagnarsi un posto di tutto rispetto sulle tavole nobiliari, soprattutto perché considerata un potente afrodisiaco.
La sua coltivazione tra Sermide e Felonica risale a due secoli fa e rappresentava una delle principali fonti di reddito della popolazione. Durante il secondo Dopoguerra molte famiglie del paese affittavano piccoli appezzamenti di terreno per dedicarsi a questa coltura. La raccolta coinvolgeva tutta la famiglia, dai bambini agli anziani; si lavorava insieme per integrare con il raccolto i magri stipendi dell’epoca. In paese c’erano magazzini per la lavorazione, una fabbrica per la produzione di cassette di legno e un sistema di spedizioni che la inviava in treno verso l’estero, specialmente in Francia, in Germania e in Svezia. Alla fine degli anni ‘70, però, la produzione entrò in crisi, la tradizione familiare man mano si perse e i forni comuni cessarono la loro attività, mettendo a rischio la preparazione della gustosa focaccia.
Per portare avanti la tradizione di questo straordinario prodotto, Slow Food ha voluto fortemente mettere in campo azioni per il recupero della varietà di cipolla bionda di Sermide e Felonica, promuovendo una filiera locale che collega i fornai alle aziende agricole, al fine di recuperare i terreni dismessi e creare nuovi posti di lavoro. È grazie agli impegni presi dalla Fondazione e alla volontà della gente che vive questa amabile terra che la cipolla di Sermide resiste e viene ancora piantata in autunno come si faceva un tempo. Il suo colore giallo paglierino è inconfondibile, così come il suo sapore. Purtroppo, però, è un bulbo dalla vita breve, dato che dura solo tre mesi e questo ha portato molti coltivatori a preferire altre varietà ibride, a scapito di quella di Sermide, che rimane una produzione molto limitata.
La “bionda” di Sermide è la regina del tiròt, la focaccia che deve il suo nome al fatto di essere tirata a mano direttamente nella teglia. Tradizionalmente era consumata o durante il lavoro nei campi o a fine giornata, quando le famiglie si riunivano nelle aie delle fattorie. Di primo mattino, le donne preparavano l’impasto a base di farina di grano tenero, cipolla, strutto, un poco di lievito, acqua e sale, per poi recarsi ai forni collettivi del paese per la cottura.
Ancora oggi per preparare le focacce è necessario alzarsi molto presto. Le cipolle, tagliate finemente, vengono aggiunte al resto degli ingredienti. L’acqua rende l’impasto soffice ed elastico, quasi liquido, ed è dalla sua morbidezza che nasce l’esigenza di tirarlo direttamente dentro alla teglia. Non si riuscirebbe altrimenti a stenderlo come si fa in genere con gli impasti più consistenti dei classici prodotti da forno.
Il tiròt viene lasciato lievitare almeno un’ora, poi cotto in forno per altri sessanta minuti. Il risultato è straordinario: tagliata tradizionalmente in forme rettangolari, la focaccia ha colore paglierino dorato e uno spessore di pochi millimetri. Ciò che la caratterizza è l’aroma intenso della cipolla, che al palato si presenta dolce ma sapido. Della bontà di quello che oggi è tutelato come presidio Slow Food parlavano già i testi culinari dei Gonzaga e alcuni trattati dell’Ottocento, oltre a comparire nel dizionario del letterato mantovano Francesco Cherubini del 1827.
Nelle calde domeniche d’estate, da giugno a settembre, un fragrante tiròt viene distribuito agli abitanti del paese e ai borghi vicini per trasmettere la memoria della tradizione anche ai più giovani e scongiurarne l’estinzione. I volontari della Pro Loco cominciano ad impastare di buon mattino, sbucciano le cipolle tutti insieme perché la preparazione della focaccia diventa occasione per condividere ricordi e commemorare il passato.
Il tiròt racconta la storia del Basso mantovano meglio delle pagine di un libro. Ci sono tutti gli elementi che la caratterizzano: il periodo della coltivazione, lungo e paziente, la semplicità della vita dei suoi abitanti, la capacità di condividere i momenti di fatica con quelli di festa. Questi gli ingredienti di una ricetta preziosa che, come tale, non conosce lo scorrere del tempo. Non esiste una stagionalità per preparare il tiròt: è buono sempre. Tutto l’anno, in tutti i modi.


Chiara Papotti



Activate your subscription

To subscribe to a Magazine or buy a copy of a Yearbook