Potrà forse sembrare sorprendente, ma Napoli e Vienna sono unite più di quanto non sembri… E un piccolo elemento gastronomico lo dimostra ancora oggi: le graffe. Le graffe napoletane devono infatti il loro curioso nome non al fatto che possano assomigliare nella forma ad una fantasiosa elaborazione di una parentesi graffa, come molti credono, bensì alla loro diretta parentela con il più conosciuto krapfen di area germanica.
La graffa napoletana, a chiarimento di chi ancora non avesse avuto il piacere di gustarla, è uno dei dolci più tipici della tradizione partenopea, diffusissima anche nei chioschi all’aperto e, in particolare, sul meraviglioso lungomare cittadino.
È una ciambella fritta dall’aspetto caratteristico ottenuto sovrapponendo le parti terminali di una striscia di pasta, abbastanza lunga ma non troppo sottile, a base di farina e patate. Questo composto viene ottenuto schiacciando nel burro le patate appena lessate e aggiungendo gradualmente dapprima latte e poi farina, zucchero, uova, lievito di birra, un po’ di sale e una grattugiata di buccia di limone. Si impasta rigorosamente a mano.
Una volta fritta nell’olio di semi, la graffa viene asciugata con cura, ricoperta abbondantemente di zucchero e consumata preferibilmente quando è ancora calda, croccante all’esterno e morbida dentro. Risultato, quest’ultimo, che si può ottenere nel miglior modo grazie alla lievitazione dell’impasto, che dura due ore.
Soltanto rispettando tale tempistica si riesce ad ottenere questo prodotto che ogni napoletano verace conserva nel cuore e che onora con un consumo che non conosce flessioni, anche perché le graffe sono reperibili durante tutto l’anno, nonostante il periodo tradizionale di preparazione sia quello carnevalesco.
L’arrivo di questi dolci in Campania si fa risalire al periodo della dominazione austriaca, in seguito al Trattato di Utrecht del 1713, con il quale terminò definitivamente il dominio della Spagna su parte del territorio europeo, tra cui il Regno di Napoli. Quest’ultimo, insieme con il Regno Lombardo-Veneto, passò sotto il dominio dell’imperatore Carlo VI del casato austriaco degli Asburgo. Con gli Austriaci arrivarono a Napoli anche usanze e tradizioni, comprese quelle gastronomiche e, in particolare, il tondo krapfen ripieno di confettura di albicocche. Le graffe, infatti, sono una rielaborazione dei krapfen austriaci, originari della città di Graz, in Stiria, e anch’essi tipici del periodo carnevalesco.
Pur differendo per l’assenza nelle graffe del ripieno, i due dolci hanno comunque in comune non soltanto il fatto di essere entrambi a base di patate e farina (anche se nel krapfen le patate sono poi state abbandonate) e di essere fritti e ricoperti di zucchero, ma soprattutto di avere una stessa origine etimologica. Secondo alcuni dizionari (DELI e Gradit), il termine graffa (o grappa), così come krapfen, deriverebbe dal longobardo krapfo (krappa in gotico), che significa uncino e che nel tedesco antico era utilizzato per indicare l’aspetto che la frittella di pasta dolce assumeva in origine.
Aspetto ad uncino che la graffa napoletana, a differenza del krapfen germanico, mantiene tuttora, conservando così, insieme con la sua bontà, anche un pezzetto della storia più antica.
Nunzia Manicardi
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