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Brevi storie di cibo lento a velocità  contemporanea

Quando l’oste è sull’uscio, l’osteria è vuota

of Morabito A.


Quando i locali preferiti sono geograficamente lontani diventa un problema. Metti adesso, per esempio, due mesi di lavoro matto e senza sosta e, quando finalmente mi posso fermare, vorrei andare a passare una serata e ricaricarmi a 300 km di distanza. Sogno il tavolone condiviso dell’Osteria More e Macine a La Morra (CN), nelle Langhe, tra le colline ordinate del Piemonte. E no, non posso proprio andarci perché casa è diventata un magazzino caotico e devo riportarla alla decenza prima di diventare pazza.
Sotto l’etichetta generalizzata della ristorazione di sempre, abbiamo tutta una serie di sottocategorie specifiche a coprire i bisogni fisici e mentali anche del viandante contemporaneo: locanda, taverna, trattoria, osteria, enoteca, quante sfumature! E ognuna di queste attività è entrata di diritto tra le mie preferite quando ad aspettarmi, che fossi in compagnia o in solitudine, c’erano un tavolo comune o un bancone con gli sgabelli e un oste, non sempre di buon carattere.
Dalla cucina pochi piatti fatti bene, salumi e formaggi scelti tra i buoni, alla mescita bottiglie di vino scacciavoglie tra le quali scegliere o da condividere con l’oste e gli altri clienti. Il servizio informalissimo, prevalentemente serale, ma questo dipende dalla vocazione di ogni gestore. In questi locali si entra da estranei e si esce da amici, non è più il tempo del discorrere di politica o poesia ma ancora può succedere, oppure si mette un punto alla giornata di fronte ad un bicchiere, il bravo oste non chiede, parli tu quando e se ne hai voglia.
In Toscana si dice “Quando l’oste è sull’uscio, l’osteria è vuota”. I miei osti preferiti son sempre affaccendati. Nei miei anni grossetani, finito il lavoro in cucina, prima di andare a letto, scappavo al bancone di Bea e Roberto: è dal loro locale che la mia curiosità per il vino è cresciuta di vita propria rivendicando indipendenza dal cibo strutturato e cucinato tipico della mia professione, mi mancano molto.
Dopo anni mi son sentita allo stesso modo nel tavolo comune del locale di Ito e Steve. Li avevo incontrati in una enoteca “chic” della mia attuale città, ho provato subito grande simpatia e forte curiosità per il loro locale. Sono arrivata a More e Macine durante una vacanza vera, col mio compagno. Sediamo, sorrisi. Per convenevoli Steve ci sceglie un vino e ci porta due fette spesse di salame rosa, tagliato al coltello: è salame cotto.
Il salame cotto, “salam cheuit”, è l’istituzione gastronomica popolare del Piemonte, era il “cibo pronto” per far cena dei contadini, lo scheletro portante della “merenda sinoira”, una sorta di apericena (parola tremenda) ante litteram.
Rifilature di maiale, grasso di gota o gola, aglio macerato nel vino e spezie dolci come cannella, chiodi di garofano e noce moscata ne tradiscono la radice molto antica. La procedura vede la carne macinata, salata e pepata, drogata, poi insaccata nel budello detto tascone e subito cotta (vapore o bollitura). Ce n’è una versione che si mangia calda e svariati fratelli in tutta Italia come la mortadella di Prato IGP o il salame rosa bolognese. È riconosciuto come prodotto agroalimentare tradizionale italiano (PAT) ed è in via di riconoscimento quello del Monferrato come futura IGP.
Il profumo è delicato e dolce, il sapore morbido ma di personalità, lascia la bocca pulita e risulta molto digeribile. Il mio abbinamento preferito è col peperone in agrodolce e un’acciughina dissalata, così, in contrappunto.
Penso che il successo vero di un locale sia la nostalgia e la voglia di tornarci, più che la soddisfazione dell’esperienza d’esserci stati una volta. L’oste è un mestiere potente ed io amo i posti che possono diventare un’abitudine. Oggi che sono a casa in burnout, di fronte ad un cumulo di vestiti da stirare, i grembiuli ingarbugliati, i libri per i corsi mollati all’ingresso, fatture e preventivi da inviare, guardo il vetro della finestra e la immagino bicchiere, con lo sguardo disegno linee astratte per colline al posto dei condomini, sogno Ito e Steve che mi versano Pinot nero e mi porgono fette di salame cotto volteggiando come farfalloni. Giovanni, apri un vino e facciamo merenda.


Alessia Morabito


Illustrazione di
Alessia Serafini



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