“Il bianco per il pesce, il rosso per la carne”: se questo è l’assioma di partenza per chi si accomoda da neofita tra i banchi di una degustazione guidata da un sommelier del vino, con la voglia e la curiosità giusta per andare a scoprire e praticare le mille sfumature che verranno, “un filo di olio a crudo” è lo slogan che ci apre le porte e ci inizia al mondo dell’abbinamento cibi-oli, con una differenza sostanziale: spesso l’olio è anche nella pietanza, ne è parte integrante attraverso le tecniche di cottura.
Oggi parliamo di CARNE
Io parto dalle note sensoriali di base, dei miei piatti e degli extravergine potenzialmente abbinabili — il fruttato leggero, il medio e l’intenso —, senza trascurare la regione di provenienza della ricetta. Mi spiego. Partendo dai gusti fondamentali, amaro, acido, dolce e salato (tralasciando momentaneamente l’umami, il kokumi e tutti i derivati nipponici...), aggiungerei il grasso, che ritroveremo presto in tema di griglia.
La tecnica di abbinamento è semplice, le carni dal sapore delicato si abbinano con oli delicati, dal flavour (odore, gusto e aroma retronasale) fruttato leggero; usando altro ne copriremmo il gusto: una battuta al coltello di carne rossa, che sia servita semplice o in tartare, piuttosto che un carpaccio, vanno in armonia con una Taggiasca ligure, una Casaliva di Riva del Garda, una Biancolilla di Sicilia, ma se il crudo è di cacciagione, azzarderei una Favolosa dalle note di erba, cardo e pomodoro verde piuttosto che un’Ascolana tenera con note di mela e banana acerba, sedano e lattuga. Mi tengo buono l’olio fruttato leggero anche per le lavorazioni in frittura ma, soprattutto, in oliocottura. Nata in Francia, la tecnica del confit è passata da metodo di conservazione a metodo di cottura. Un coscio di faraona piuttosto che un petto di anatra immerso in olio a bassa temperatura (tra i 40° e gli 80° per il tempo necessario, a seconda della pezzatura) permetteranno alle carni di conservare i loro succhi all’interno mantenendole tenere e morbide.
Per i lessi ed i bolliti (la differenza è che nei primi la carne viene inserita a freddo, nei secondi quando l’acqua già è in ebollizione), ragionerei su due corsie. Considerando il sapore un po’ scarico della pietanza, in quanto parte di questo è stato ceduto all’acqua dando vita ad un ottimo brodo, se il commensale la gradisce soltanto con olio, sale e pepe, consiglierei un olio fruttato medio intenso, magari una Itrana piuttosto che una Caninese, cultivar laziali dalle note fenoliche riconoscibili ma non invasive, armonia di piccante e amaro a supporto del piatto. Se invece l’ospite gradisce le classiche salse quali i bagnetti verde, rosso e bianco, la senape, le mostarde di frutta, io il giro d’olio lo gradirei più delicato, magari una Dolce di Rossano piuttosto che una Nostrana di Brisighella.
Per gli arrosti e gli stracotti dobbiamo lavorare sulle marinature, oli sapidi, profumati capaci di equilibrare il gusto della preparazione. Una Tonda Iblea, una Nocellara del Belice, piuttosto che una Semidana o una Peranzana con note erbacee e fruttate, struttura, equilibrio e persistenza.
Siamo arrivati a lei, sua maestà la bistecca alla griglia. E qui mi riaggancio al discorso del grasso. Per i tipi di carne che presentano la loro marezzatura importante come il Wagyu giapponese, la Fiamminga o il Black Angus, piuttosto che il loro grasso giallo quale la Rubia gallega… io tenderei a rispettarlo, nel senso che in cottura, sciogliendosi, il grasso donerà alla fibra magra il suo condimento naturale, fornendo al morso i richiami di pascolo, erba fresca, fieno e grano, soia e riso.
Se invece lavoriamo una carne più magra, una scottona di Chianina, di Fassona o di Limousine (chiariamo una volta per tutte: le ultime tre sono razze, mentre il termine scottona identifica semplicemente sesso ed età del capo: una femmina tra i 15 e i 18 mesi che non ha avuto gravidanze), ci dobbiamo organizzare per un abbinamento con oli fruttati intensi, al fine di accompagnare le nostre costate o entrecôte o fiorentine, con la nota piccante e amara in sintonia con la cottura esterna e in bilanciamento con la nota ematica all’interno. Io abbino una Coratina pugliese piuttosto che una Toccolana abruzzese, una Carboncella sabina ma, soprattutto, per rimanere in Toscana, mi affido alla triade del Centro Italia Leccino, Frantoio e Moraiolo, che uniti in blend o serviti in monovarietali creano con la griglia quel “matrimonio carnal” che un fiocco di sale Maldon affumicato, un buon bicchiere di Chianti e un tramonto in Val di Chiana benediranno.
Chiudo con due pillole di promemoria ed una citazione dello chef Salvatore Tassa: “l’olio extravergine di oliva non è un condimento ma è un alimento. L’olio extravergine di oliva non si beve, si mangia. Il famigerato giro di olio finale non è affatto obbligatorio, al contrario, spesso e volentieri la preparazione ne esce addirittura danneggiata. L’olio ha un suo carattere e un suo valore che vanno rispettati. Usarlo con parsimonia, con raziocinio, vale a dire nelle giuste situazioni e proporzioni, equivale a nobilitarlo”. Un caro saluto dal vostro Chef dell’olio.
Fabrizio Bertucci
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