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Rarità a tavola: l’Umbria ci fa sognare con Il Cicotto di Grutti

of Papotti C.


A nord di Perugia, tra Gubbio e Città di Castello, si entra in un’Umbria chiusa e segreta, una terra di confine ferrigna che già profuma di Toscana, di Marche e di Romagna. Il paesaggio si lascia alle spalle la fiorente dolcezza umbra per diventare poco a poco più spoglio e severo. Città fortificate e castelli medievali si alternano alle grandi abbazie benedettine, mentre le prime vette dell’Appennino trovano slancio dietro le colline che circondano la Valle del Tevere.
Le monocolture di queste zone dipingono di colori inediti le campagne, senza alterare il retaggio di rustica semplicità. Funghi e tartufi, formaggi freschi e stagionati, salsicce e salumi, porchetta e carni, olio e vino, sono i sapori forti attraverso i quali questa regione esprime un legame antico con la cultura contadina.
Proseguendo verso sud, si arriva in un piccolo borgo medioevale, Grutti, frazione di Gualdo Cattaneo, in cui si porta avanti una secolare tradizione gastronomica tutelata dal presidio Slow Food: il Cicotto, una gustosa porchetta ottenuta da diversi tagli del maiale. La prima menzione ufficiale del cicotto risale al 1570, quando Bartolomeo Scappi, cuoco dei papi Paolo III e Pio V, dà alle stampe l’Opera, un imponente ricettario in sei volumi in cui, con questo termine, identifica il cosciotto e la zampa del maiale. Storicamente ogni famiglia, a Grutti, lo preparava, cuocendolo nel forno comunale — tuttora esistente ma in disuso —, dal quale si spandeva continuamente una fragranza che invadeva la piazza e le stradine del paese.
La sua lunga e paziente preparazione si è tramandata di padre in figlio, dagli anziani fino agli attuali produttori. In paese oggi ci sono solo due produzioni di cicotto, gestite da eredi di questa tradizione e produttori di porchetta per professione: il laboratorio di Enrico Natalizi e dei figli Rosella e Fabrizio (www.laporchettadigrutti.it), e nella norcineria di Luca e Mauro Benedetti (www.porchettadigrutti.it). Portano avanti la tradizione degli abitanti della zona, lavorando in strutture ammodernate, ma senza aver cambiato la tecnica di lavorazione originale.

A differenza di altre zone dell’Umbria, dove si tramandano preparazioni simili, fatte solo con lo stinco del maiale, la tradizione di Grutti prevede la cottura molto lenta, dalle 9 alle 12 ore, ad una temperatura di circa 200 °C, di orecchie, zampetti, stinco, lingua, trippa e altre interiora del maiale.
Le carni così miscelate sono poste al naturale dentro una vasca e quindi nel forno sotto la porchetta, in modo da raccogliere il grasso e le spezie usate in cottura, una miscela di rosmarino fresco, aglio rosso della vicina Cannara, pepe nero e finocchio. Terminata la cottura, si lascia raffreddare, si scolano grasso e liquidi di cottura in apposite ceste e il cicotto è pronto per il consumo.
I Gruttigiani lo utilizzano per dare sapore alle zuppe di legumi, soprattutto ceci e fagioli, o in un insolito abbinamento con le lumache, particolarmente diffuse nel Ternano.
E siccome la tradizione contadina insegna che nulla deve essere gettato, il grasso colato — detto ‘ntocco in dialetto — alcuni lo impiegano ancora per condire la pasta e dare sostanza a sughi, minestre e piatti poveri.
Il cicotto è da considerarsi un’autentica rarità, tanto che Slow Food dal 2012 si impegna a promuoverne la conoscenza e la vendita nei mercati regionali. La materia prima per la produzione arriva da allevamenti della media Valle del Tevere e i suini sono allevati in condizioni di benessere animale e alimentati con cereali coltivati in azienda, senza l’utilizzo di organismi geneticamente modificati.
Morbido, succoso, speziato, con un irresistibile sentore di affumicatura che avvolge prima l’olfatto e poi il palato, il cicotto di Grutti è un presidio, come del resto tutti i prodotti tutelati da Slow Food, che ha la fortuna di essere protetto concretamente e moralmente dai territori, oltre a garantire un valore economico fondamentale per il funzionamento delle microrealtà imprenditoriali.
Eccellenze di altissimo livello, espressione di piccoli o medi territori che hanno compreso l’utilità di riprendere a coltivare e realizzare prodotti che stavano perdendosi, sino a rischiare la scomparsa. È bello sapere che resistono sul mercato, per quanto di nicchia essi siano. Ma non per forza una cosa buona e fatta bene deve essere per tutti o bisogna trovarla facilmente, anzi. Nel caso del cicotto di Grutti godiamoci il lusso della sua rarità.


Chiara Papotti


In foto Gualdo Cattaneo (PG), di cui Grutti è una piccola frazione.



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