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Formaggio

Erborinati, dai grandi classici alle novità di Cheese 2023

of Papotti C.


Un blu intenso, in alcuni casi brillante, che si mischia ai riflessi leggeri, sfumati tra le tonalità di verde e azzurro. Non è il mare cristallino della Sardegna o quello che circonda l’isola di Favignana. È, piuttosto, il mare dei sapori che regalano al palato le muffe protagoniste dei formaggi erborinati. Dolci o piccanti, cremosi o asciutti, stagionati o freschi, gli erborinati ci offrono esperienze gustative originali, con molteplici possibilità di accostamenti. Gorgonzola e il Castelmagno sono senza alcun dubbio tra i più conosciuti nel panorama nazionale, ma anche i Bleu francesi e i Blau spagnoli, oltre allo Stilton anglosassone raccontano storie e tradizioni diverse sotto un unico denominatore comune: la qualità.
La categoria degli “erborinati” prende il nome da “erborin”, ovvero “prezzemolo” nel dialetto lombardo. Osservando, infatti, il Gorgonzola, si capisce perfettamente perché gli si attribuisca questo appellativo. La presenza delle muffe non caratterizza soltanto l’aspetto, però, ma soprattutto la ricchezza degli aromi e dei sapori che distinguono questi formaggi. Le muffe hanno necessità di nutrirsi delle proteine e dei grassi del latte, li degradano e li trasformano nei composti che conferiscono agli erborinati quelle note tipicamente intense e più o meno pungenti a seconda del prodotto che si vuole ottenere.
Il re degli erborinati, il Gorgonzola, pare essere il frutto di una casualità. Secondo un’antica leggenda, sarebbe infatti nato per negligenza di un giovane casaro innamorato, il quale trascurò di lavorare la cagliata, che rimase all’aria aperta tutta la notte, perché doveva incontrarsi con la sua bella. Il mattino dopo, per correggere il malfatto, lavorò l’impasto con una cagliata fresca e la lasciò stagionare. Dopo qualche mese, però, si ritrovò con una forma striata di muffa verdastra. Il disappunto iniziale si trasformò ben presto in godimento quando, assaggiando il suo formaggio, scoprì che aveva un sapore nuovo e delizioso: era appena stata scoperta l’erborinatura. La scoperta fu un vera e propria rivelazione per il settore caseario: mescolando due cagliate preparate in tempi diversi, in genere una serale e una mattutina, le differenze di temperatura e di acidità portano alla formazione di un impasto poco amalgamato, nei cui spazi vuoti possono infiltrarsi le muffe. Questa lavorazione, anche nota come “a due paste”, è ancora la base per la versione più classica del Gorgonzola DOP. Prodotto esclusivamente con latte di vacca intero, con aggiunta di muffe del genere Penicillium, presenta una consistenza morbida ed un profumo deciso, a cui risponde un sapore più o meno piccante. Il formaggio prende il nome dall’omonima cittadina lombarda in provincia di Milano, ma il territorio delimitato dalla Dop comprende altri 15 comuni limitrofi.
Il secondo erborinato italiano è sicuramente il Castelmagno DOP, prodotto nell’omonimo comune di Castelmagno, in provincia di Cuneo, e nei due vicini comuni di Monterosso Grana e Pradleves. Viene prodotto con latte vaccino crudo, eventualmente addizionato a piccole quantità di latte ovino e caprino. I pochissimi produttori portano avanti una tradizione antica, che si tramanda di generazione in generazione. La stagionatura nelle grotte umide, grazie al particolare microclima di queste zone, favorisce la formazione di un gusto caratteristico, senza necessità di inoculare muffe specifiche.
Al di là del Gorgonzola e del Castelmagno, la pattuglia degli erborinati italiani non conta molti rappresentanti. I pochi che ci sono, spesso poco conosciuti e piuttosto rari, vantano comunque ottime caratteristiche e meritano di essere valorizzati. Nell’area del Moncenisio, in Piemonte, si producono ad esempio due erborinati minori: il Blu e il Murianengo. Si tratta di formaggi di alpeggio, in cui le migliori punte di qualità sono disponibili solo in alcuni periodi dell’anno. Il Murianengo è ottenuto dopo una lunga stagionatura che produce una marcata erborinatura naturale. Oggi è prodotto solo da pochissimi eroi rimasti fedeli alle tradizioni e riuscire a procurarsene una forma, o almeno una porzione, è impresa assai difficile.
Anche sui Piani di Artavaggio, in Lombardia, si fabbrica, in piccolissime quantità, un formaggio dal gusto antico che ha ottenuto la DOP, chiamato Strachitunt (stracchino tondo). Si tratta di un erborinato a latte crudo appartenente alla famiglia degli stracchini, coi quali condivide origini e tradizione.
Ma i nostri occhi erano tutti puntati sulle novità che presentate nell’edizione 2023 di Cheese, l’evento organizzato da Slow Food e Città di Bra con il supporto della Regione Piemonte, andato in scena dal 15 al 18 settembre scorsi. Tra i formaggi più curiosi presentati, trovavano infatti spazio due curiosi erborinati.
Spicca per il colore bluastro e il sapore intenso e pungente il Muschio vaccino, tra i più apprezzati del Caseificio Rabbia (www.caseificiorabbia.it), gestito da Francesco e Giorgio Rabbia, casari di terza generazione. Nata nel 1890 come bottega artigiana per la produzione di tome, l’azienda di Rabbia (CN) valorizza al meglio la biodiversità del territorio, dalle erbe dei pascoli situati ai piedi del Monviso ai profumi della Valle Grana, dove le forme vengono lasciate stagionare. Preserva, inoltre, antiche tecniche della tradizione casearia: i formaggi, rigorosamente a latte crudo, vengono ancora prodotti utilizzando caldaie in rame e fasciature manuali con tele di lino, che permettono di delineare un’impronta unica a ogni lavorazione.
Oltre i confini nazionali, ma sempre presente alla rassegna piemontese, Joe Schneider, casaro nel Nottinghamshire, una contea dell’Inghilterra, produce da più di dieci anni lo Stichelton a latte crudo (stichelton.co.uk), un formaggio vaccino blu dalla tipica forma allungata tra i più antichi d’Inghilterra. Nel 1996 lo Stichelton ottenne la Dop, con un Disciplinare di produzione che prevedeva la pastorizzazione obbligatoria del latte. Tutti i sei caseifici certificati Dop, che ne producono oltre un milione di forme l’anno, praticano infatti il trattamento termico che uccide la flora batterica originaria, privando il formaggio di ricchezza aromatica e di identità.
Joe è rimasto l’unico a produrlo con la tecnica tradizionale, che prevede l’uso del latte crudo. Proprio per questo non può far parte della Dop, e quindi non può chiamare il suo formaggio con il nome che gli spetta. Slow Food ha, quindi, deciso di sostenerlo con un presidio e di aprire un dibattito e una campagna sulla necessità di lavorare latte crudo al fine di preservare le produzioni casearie storiche.


Chiara Papotti



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