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Brevi storie di cibo lento a velocità  contemporanea

Soffrire di vertigine

of Morabito A.


Oggi aspetto un collaboratore nel cantiere di un ristorante che conduco all’apertura, dobbiamo mettere a punto la carta dei vini ed improvvisiamo un picnic. Ho preso pane, ricotta di pecora e ventricina, non la mangio da tanto tempo. Gli operai sono in pausa, ci sono ponteggi e scale ovunque. La cucina no, quella è pronta. Guardo le sale del ristorante ancora divelte e ho le vertigini. Mi siedo e aspetto.
Si definisce la vertigine “fisica” come una percezione di movimento in assenza di reale movimento, sulla definizione filosofica non trovo nulla di soddisfacente, nemmeno delle vertigini relative al tempo
Soffro convenzionalmente di vertigini. Dall’alto verso il basso, dal basso verso l’alto, ogni tanto da ferma, a volte da sdraiata prima di addormentarmi. Ricordo di averne preso consapevolezza in gita alle elementari: nel camminamento tra due torrioni di un castello tardo medievale, in totale sicurezza, nonostante la bellezza disarmante, sentivo il senso di disorientamento ed un panico sconosciuto. Mia madre giura che ne soffrissi anche da infante, in braccio a lei, mentre, dal terrazzo di casa, aspettavamo che tornasse mio padre.
Nella vita quotidiana bastano tre scalini sospesi a ridarmi quella sensazione eppure ho smontato lampadari, spolverato librerie, lucidato cappe da cucina perché non ho mai accettato che qualcosa potesse limitare la mia libertà. Ho preso aerei per ovunque, ho guidato su strade impervie ed autostrade sopraelevate, son salita sulle Cliffs of Moher, sulle scogliere di Dover, sulla Sagrada Familia, la torre di Pisa e la Ghirlandina, mi son goduta paesaggi e compagnia e smaltito il panico lentamente.
Alle volte ho semplicemente scelto di non salire.
Esiste però una circostanza dove non sono riuscita a dominarmi, dove la tripla sollecitazione altezza/movimento/inattività mi è stata fatale: in auto, al posto del passeggero, su un viadotto. Una settimana di Pasqua di fine anni ‘90, sono ad Agnone in visita al padre del mio primo amore. Ci carica in auto direzione Vasto. Saliamo sul viadotto Sente Longo, ad oggi chiuso: 200 m di altezza per 1200 metri di lunghezza, tra il Molise e l’Abruzzo, siamo sospesi nel vuoto, nell’abisso.
La guida è lenta e in mezzo alla strada, sono silenziosa, in tachicardia e con le lacrime che scendono a fiotti, credo mi stiano parlando ma non sento niente, C. allunga una mano perché gliela possa tenere, dice a suo padre di fermarsi appena può, questo lo sento e quel lasso di tempo sembra eterno.
Usciamo dalla strada principale, siamo in un paese, scendo per prendere una boccata d’aria e svengo a terra come un sacco. Ho ripreso conoscenza che qualcuno mi sta porgendo acqua e un cartoccio, “mangia, forse hai la pressione bassa” sento dire, “forse non sono una nuvola e neanche un uccello”, penso.
Il cartoccio contiene uno dei salumi più deliziosi che abbia mai mangiato, la Ventricina dell’Alto Vastese.
Tocchi di carne magra ricavati sacrificando prosciutto, lonza e spalla, pochi grasselli, abbondante peperoncino dolce e leggermente piccante, poco finocchietto, un leggero profumo agrumato per l’abitudine di lavare lo stomaco o la vescica dove viene insaccata, con acqua e arance amare, legata e appesa ad asciugare. In seguito protetta da uno strato di strutto e messa a stagionare 7/8 mesi.
Non è ancora una Dop ma è riconosciuta come presidio Slow Food.
Era il salume delle grandi feste della comunità, la vendemmia, la mietitura e del celebrare il lavoro assieme, dei giorni lieti, delle persone care, delle nascite e dei matrimoni. Nelle cronache storiche la troviamo in una versione senza peperone e solo a metà ‘800 codificata per come si presenta oggi.
Ho fame. Spalmo un pezzetto di pane con la ricotta, posiziono una fetta di ventricina fragrante e lo addento aspettando E.
Il cantiere è all’interno di un immobile simbolo della nostra comunità. Con oggi delineiamo ulteriori aspetti della personalità della sua rinascita.
La vertigine che provo è una doppia percezione della realtà che mi fa sentire contemporaneamente il travaglio dell’inizio dei lavori e il futuro di una sala piena di clienti felici. Quella del creare è l’unica vertigine piacevole che conosco.


di Alessia Morabito

Illustrazioni di Alessia Serafini



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