I tempi per ottenere il riconoscimento di una DOP o una IGP, si sa, non sono mai brevi. A maggior ragione i produttori sardi stanno festeggiando un risultato che è costato anni di lavoro e l’impegno di tutti, ma che oggi porta uno dei prodotti più caratteristici del patrimonio gastronomico isolano nell’Olimpo delle eccellenze mondiali. Non poteva essere diversamente per una specialità le cui origini si perdono nel tempo, frutto del connubio tra le tre filiere più importanti della produzione zootecnica e agricola regionale. Un piatto della tradizione pastaria che tuttavia si serve oggi come dolce e che della pasta mostra tutta la versatilità e la varietà nelle occasioni di consumo. Una leccornia divenuta ormai d’obbligo in qualunque menu tipico che, stranamente, non era stata ancora riprodotta fuori regione.
Dopo un lungo lavoro di predisposizione dell’istanza, un iter amministrativo impegnativo e complesso che ha visto il coinvolgimento e l’esame della richiesta da parte della Regione Autonoma della Sardegna, del Ministero dell’Agricoltura, della Sovranità Alimentare e delle Foreste e, infine, il vaglio puntuale della Commissione europea, si è finalmente giunti ad una tutela che, oltre ad essere meritata, era anche fortemente auspicata da più parti, nel timore di usurpazioni del nome.
E a proposito di denominazione, essendo presenti sull’isola declinazioni linguistiche differenti, da zona a zona, talvolta anche da comune a comune, il nome registrato comprende diversi sinonimi: oltre a Sebadas troviamo infatti anche Seadas, Sabadas, Seattas, Savadas e Sevadas.
Immancabile nei menu di tutti i ristoranti isolani, complice anche la facilità e la velocità di cottura, nasce come prodotto di autoconsumo nelle case dei pastori, ma oggi è disponibile in molti canali commerciali, dai laboratori di produzione artigianale di pasta fresca ai panifici e le pasticcerie, ma anche nelle piccole superfici di vendita e nella Grande Distribuzione Organizzata, da qualche tempo anche del “Continente”, come i Sardi chiamano qualunque regione italiana oltre Tirreno.
Ha un prezzo accessibile ad ogni portafoglio, trattandosi di un prodotto di pasta fresca ripiena, e garantisce un’ottima figura con i commensali, avendo un’immagine decisamente invitante ed esotica ed essendo oggi proposta da molti chef anche con abbinamenti diversi e scenografici, oltre a quelli classici del miele o dello zucchero bianco, come tradizione vuole.
Non delude nel sapore: questo grande raviolo tondo, nella frittura sviluppa bolle, colori e una friabilità gradevolissimi, ma in più al taglio lascia erompere un ripieno filante dove dolce, salato e acidulo si sposano, in un sodalizio insolito e sorprendente. Il contenuto è infatti un formaggio pecorino, vaccino o caprino, in alternativa tra loro e — nella stragrande maggioranza dei casi — scorza di agrumi, limone o arancia.
Il Disciplinare, nel rispetto delle consuetudini locali che presentano differenze a seconda della zona di produzione, lascia spazio a piccole variazioni, tanto nel ripieno quanto nella sfoglia e nelle dimensioni. Nata infatti come pietanza unica e salata, un tempo veniva servita grande come un piatto piano, per essere poi tagliata a pezzi e divisa in famiglia. Solo in un secondo momento è andata riducendosi nelle dimensioni, sino a ridursi ad una monoporzione che oggi è richiesta sempre più piccola, soprattutto perché si tratta di un dolce che, normalmente, si consuma a fine pasto.
Con le Sebadas di Sardegna IGP giungono a sei le specialità pastarie a denominazione in Italia, a tre quelle di pasta fresca ripiena IG e a due quelle sarde. Un lista che comprende i Maccheroncini di Campofilone, la Pasta di Gragnano, i Cappellacci di Zucca Ferraresi, i Culurgionis d’Ogliastra e i Pizzoccheri della Valtellina. Tutte IGP.
Le sebadas, come anticipato, racchiudono il fulcro di tre filiere locali, quella cerealicola, quella ovina, bovina e caprina e quella suina, quest’ultima in ragione dello strutto che viene aggiunto nella sfoglia per renderla friabile. Le varianti ammesse dal Disciplinare, nel pieno rispetto della tradizione, non sono che il perfetto riflesso di un’economia che si differenzia leggermente da zona a zona e dove possono quindi prevalere degli elementi anziché altri. Dove era più diffusa la pastorizia, per esempio, le sebadas venivano fatte con formaggio ovino. Dove invece era prevalente l’allevamento bovino, si utilizzava il formaggio vaccino. In zone come il Montiferru vengono tuttora realizzate con Casizolu, in una variante tanto sorprendente quanto pregiata. In passato, dove possibile, si utilizzavano anche più formaggi in contemporanea, soprattutto perché l’antica ricetta prevede che il ripieno, prima di essere deposto sui dischi di pasta, venga fatto sciogliere in una padella con la scorza di limone o arancia. Questo procedimento così complesso e ormai purtroppo in lento declino è oggi prevalentemente limitato ai pochi ambienti domestici in cui la produzione avviene ancora per l’autoconsumo.
La prassi, anche nei pastifici di piccole dimensioni, è ora quella di utilizzare per il ripieno dischi di formaggio precedentemente preparato per l’uso, ma non cotto e con risultati ugualmente eccellenti, soprattutto se si impiegano materie prime di qualità.
Le imprese che lo compongono e che per anni hanno operato per il raggiungimento di questo importante obiettivo sono la pasticceria La casa della nonna di Bolotana, il Laboratorio di pasta fresca e pasticceria di Richard Marci di Cardedu, il pastificio Contini Srl di Santa Giusta, il pastificio Calitài di Cagliari, il Pastificio Antonio Cossu Srl di Iglesias, la ditta I Sapori d’Ogliastra di Vito Arra, il panificio La fornarina di Marco Orru di Cagliari, il Biscottificio Demelas di Stintino e La Sfoglia d’Oro di Sassari. Aziende che vantano la maggior produzione e che, in certi casi, per la qualità del loro prodotto, sono state insignite di riconoscimenti importanti. Aziende che tramite l’ufficialità del comitato promotore fanno sapere: “l’acquisizione di questa denominazione porterà grandi soddisfazioni sul piano commerciale, ma questo riconoscimento è innanzitutto uno strumento di tutela del consumatore”.
Non ci sono dati ufficiali sulla reale produzione di sebadas, ma si stima che circa 250 pastifici nell’isola producano questa specialità che viene anche realizzata nei panifici, nei ristoranti, nelle aziende agrituristiche e nelle pasticcerie. La produzione complessiva media è di 2 milioni di pezzi annui, pari a circa 1.600 quintali per oltre 2.500.000 euro di fatturato e un numero di dipendenti di circa 150, mentre quello degli addetti, che comprende anche titolari, soci e coadiuvanti, è di 250. Dati che — si spera — possano incrementarsi ulteriormente grazie alla IGP.
Guido Guidi
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