Principe dei salumi, il prosciutto crudo è apprezzato per le sue doti di gusto e leggerezza. Le fasi di lavorazione dei prosciutti in genere sono comuni, le differenze tra un prosciutto crudo e l’altro dipendono dalle caratteristiche della materia prima, dall’ambiente di stagionatura e da alcune diversità tecniche nella conduzione del ciclo produttivo.
Semplice in apparenza, la lavorazione del prosciutto è, invece, molto delicata e si fonda su una perfetta armonia di fattori umani e ambientali. Nei territori montani della media Valle del Serchio e della Garfagnana è radicata da più di un secolo la tradizione di produrre il prosciutto bazzone, riconosciuta dal Presidio Slow Food. Il nome bazzone deriva dalla caratteristica forma di questo prosciutto, particolarmente allungata e con una distanza tra l’osso e la parte inferiore che varia dai 12 ai 18 cm, una particolarità che ricorda alla vista il bazzo (o bazza), parola usata nel dialetto locale per indicare un mento molto pronunciato.
In quest’area geografica, già dalla fine del 1800 si allevavano maiali dal mantello grigio allo stato semi-brado. Tradizionalmente i suini erano, e sono ancora oggi, alimentati con prodotti naturali, in particolare sfarinati provenienti dalla lavorazione del farro, cereale tipico della Garfagnana, da mele e pere cadute a terra, castagne, ghiande e dalla scotta, scarto di lavorazione dei piccoli caseifici presenti in zona.
Il Presidio riunisce tre produttori, che hanno raccolto la sfida di ricostruire un’intera filiera produttiva, così da garantire sia la provenienza dei maiali utilizzati, sia la loro alimentazione.
I maiali vengono macellati al raggiungimento di 180-200 kg di peso, dopo circa 15 mesi di vita, trascorsi in gran parte all’aperto. Dopo la macellazione, la coscia viene isolata dalla carcassa e subito raffreddata, per farla rassodare e fermare lo sviluppo microbico. Segue la rifilatura, ossia l’eliminazione di parte del grasso, del muscolo e della cotenna, per arrotondarne il profilo.
Si passa, quindi, alla salagione, dove il prosciutto riposa sotto sale per 2/3 mesi, durante i quali è massaggiato varie volte per favorire l’assorbimento del sale e la perdita di umidità. Terminata la salatura, il bazzone viene fatto riposare in condizioni di temperatura e umidità controllate, quindi, dopo le operazioni di lavaggio e asciugatura, viene stuccato per ricoprire la parte scoperta della coscia con un impasto di grasso e pepe. La stagionatura dura almeno due anni, in alcuni casi si raggiungono anche i cinque, per ottenere un inconfondibile equilibrio di aroma, sapore e consistenza.
La lavorazione del bazzone, unita all’alimentazione naturale dei suini, dona a questo prosciutto una morbidezza incomparabile e un aroma dolce e ricco, unico nel suo genere. Anche se viene impiegato in alcune ricette tipiche, non c’è dubbio che il miglior modo per apprezzarlo sia quello di gustarlo al naturale. Anche perché si abbina alla perfezione con una quantità di altri alimenti che, oltre ad armonizzarsi nel gusto, ne completano il valore nutritivo.
La tradizione vuole venga tagliato esclusivamente a coltello: non solo per la sua dimensione, ma anche per esaltarne le caratteristiche organolettiche. I profumi prevalenti sono di tipo vegetale, dalla ghianda al muschio, dalla castagna alla noce. Il sapore penetrante e delicatamente aromatico, unito ad una buona persistenza, ne fanno l’ideale accompagnamento del pane casereccio toscano tagliato a fette, senza sale, servito a temperatura ambiente o appena tostato.
Chiara Papotti
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