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Sapore di mare

Trattoria Da Romano: 100 anni di cucina schietta di laguna

of Bison G. O.


Resilienza è vocabolo oramai sulla bocca di tutti. Se ne fa un uso smodato, ma se parliamo di una trattoria, la si può definire resiliente? Probabilmente sì. Certamente, se il locale in questione è la secolare Trattoria da Romano a Burano, isola dei colori, dei merletti e dei pescatori nella laguna di Venezia. Un locale che ha saputo resistere alle mode, alle orde crescenti dei turisti, ai cambiamenti degli stili di vita, allo spopolamento dell’isola, alla penuria, rispetto a un tempo, di pescatori e pescato e pure alla burocrazia. Un presidio della buona tavola e della tradizione culinaria di laguna fondato da Romano Barbaro nel 1920 per i clienti del posto e che ancora annovera il Risotto di gò e quello al nero di seppia tra i must più richiesti.
Il boom negli anni ‘50, con lo sbarco in un’isola accogliente, curiosa e piena di umanità degli artisti scartati dalla Biennale che trovavano rifugio da Romano per un fritto misto e un po’ di frutta. «Giovani appassionati, innovativi, disincantati, stanchi dell’andazzo generale — racconta Gigi Seno, marito di Rossella, nipote di Romano — che trovavano nell’isola un rifugio vivace, affascinante, con 7.000 abitanti e zero contatti col mondo. Tra loro, pittori, poeti e letterati e ognuno voleva vedersi esposto da Romano al punto che oggi contiamo 450 quadri di autori tra i quali Emilio Vedova, Filippo De Pisis, Gino Rossi; disegni di Mirò, Matisse, Oscar Kokoschka, Renato Guttuso; pensieri di Hemingway, Ezra Pound e Pirandello». Ma anche ricordi di personalità della musica come Keith Richards, cliente affezionato, dello sport come John McEnroe, Omar Sivori, della scienza come Enrico Fermi e Guglielmo Marconi e del cinema come Robert De Niro, Federico Fellini, Sylvester Stallone. «La nostra forza era ed è rimasta negli anni la cultura e la salvaguardia della tradizione tanto nella materia prima scelta che nelle lavorazioni» continua Gigi. «Abbiamo sempre proposto pescato locale, fritto o alla griglia, con verdura e frutta degli orti lagunari, in particolare Mazzorbo».
I discendenti di Romano sono ancora lì, dopo un secolo e quattro generazioni, contenti e convinti di portare avanti una lunga tradizione culinaria e contribuire così a mantenere viva un’isola piccola e distante da Venezia città. «Ci piace pensare di essere un baluardo di storia e di memoria — sottolinea Gigi — espressione di uno tra i pochi locali ancora in mano ad una famiglia e non ad una società che potrebbe fare ristorazione qui come in qualsiasi altro luogo turistico. E anche che la nostra proposta rifugga, per certi aspetti, il turismo di massa, mordi e fuggi.
Prima del Covid Venezia era invasa dai turisti con numeri impressionanti. E parecchi di questi poi arrivavano a Burano. Ma la fragilità di Venezia e la delicatezza dell’isola richiederebbero un approccio più attento e rispettoso e bisognava intervenire prima. Adesso dobbiamo tutti rimboccarci le maniche perché il Covid e le restrizioni conseguenti hanno peggiorato le cose. Speriamo almeno possa essere l’occasione per salvaguardare di più e trattare meglio la città, creando economia e quindi occupazione di qualità».
Tutto questo vale anche per la cucina. «Noi partiamo dal presupposto che la migliore sia sempre stata quella della mamma e della nonna e proseguiamo su questa strada: cucina tradizionale senza troppi fronzoli. Mi amareggiano quei ristoranti che ambiscono a stelle e pianeti ignorando gli usi e i costumi gastronomici tipici del luogo dove si lavora. E poi, quando si va a mangiare, si va perché si ama stare in convivio con la famiglia, con gli amici, con le persone care e al giusto prezzo. In certi locali sembra quasi regnare un silenzio deferente per le stelle. Ci sono mille prudenze all’etichetta, alla cornice e magari manca l’aspetto gioviale, felice, del desco e della compagnia dei commensali. Si perde la rilassatezza e c’è quasi un’ansia da prestazione».
Il menu di Romano attinge a piene mani nella tradizione gastronomica lagunare. Gli antipasti variano, secondo la stagionalità, dalle canocchie ai garusoli (murici), schie (gamberetti grigi di laguna), granceola, granchi (moeche e mazenete), baccalà e saor di sardine.
Tra i primi svetta appunto il famoso Risotto di gò, preparato con il ghiozzo di laguna, pesce povero che si pescava in abbondanza e che oggi si fatica a reperire mancando i pescatori. Altri primi celebrati sono il risotto al nero di seppia, gli spaghetti ai frutti di mare e i tagliolini alla granceola. Fritture miste, moeche in stagione e la monumentale grigliata fatta alla brace di legna a base di branzini, rombi, orate, sogliole, anguille, San Pietro e seppie.

Cent’anni in mostra
I cent’anni della trattoria sono stati ricordati con una pubblicazione che doveva essere presentata e divulgata nel 2020. Poi è arrivata la pandemia che ha scompaginato le agende di tutto il mondo. A fine 2021, negli spazi della Fondazione Querini Stampalia a Venezia, è stata inaugurata una mostra curata da Giandomenico Romanelli e Pascaline Vatine: “Le Tre Stelle di Romano”. Un centinaio di opere in tutto, solitamente ospitate in trattoria. «Il rimpianto più grande che abbiamo avuto per la mancata celebrazione del 2020 — ricorda Gigi — è stato non aver potuto festeggiare con mia suocera Linda Memo, 88 anni, mancata più di un anno fa. Col marito Orazio gestiva la trattoria dal 1965 e adesso, da Romano in poi, siamo alla quarta generazione. Siamo lanciati verso il prossimo secolo del locale, riconosciuto storico, convinti che saranno ancora la nostra famiglia e i nostri piatti a raccontare cos’era e cosa sarà la Trattoria da Romano».


Gian Omar Bison


>> Link:
www.daromano.it



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