Acciughe, un generoso quantitativo di aglio, olio extravergine di oliva della vicina Liguria. Ecco fatto uno dei simboli della gastronomia piemontese, dove si tuffano fresche verdure dell’autunno, come il cardo gobbo di Nizza Monferrato, verdura simbolo della cittadina e ideale abbinamento per un intingolo. Stiamo parlando della “Bagna cauda”, un vero rito, prima che una ricetta, dalla storia antichissima, che affonda le radici nel tardo Medioevo.
Cucinata tipicamente dagli uomini, la Bagna cauda si preparava nelle cantine per festeggiare un evento molto atteso, la spillatura del vino nuovo, che segnava la fine del lavoro duro nei campi. Piatto povero per eccellenza, ma allo stesso tempo ricercato per l’impiego di ingredienti inusuali per il Piemonte, è ancora richiestissimo nei mesi più freddi nei ristoranti, soprattutto per celebrare il piacere di stare a tavola in famiglia o con gli amici.
La storia che lega le acciughe al Basso Piemonte ci ha rapiti e per questo abbiamo voluto saperne di più. Per scoprire le ragioni della presenza delle acciughe in questo angolo all’estremo Nord-Ovest della nostra Penisola si può leggere “Il salto dell’acciuga” di Nico Orengo, che racconta storie e leggende, verità storiche e miti popolari capaci di richiamare una bellezza perduta, o almeno dimenticata, sugli “acciugai” (ancióaire in lingua piemontese), commercianti ambulanti che, con il tipico carro trainato da cavalli o buoi, portavano le acciughe in barili e botticelle di legno casa per casa. La domanda, dunque, sorge spontanea: ma perché proprio in Piemonte, una regione priva di sbocco sul mare, si diffuse il commercio dell’acciuga come ingrediente della cucina popolare?
Si narra che il merito dei rifornimenti di pesce azzurro fosse dei contrabbandieri di sale; un racconto affascinante che, tuttavia, rimane privo di fondamenta. Anticamente, infatti, i piemontesi si rifornivano di sale presso le saline della Provenza e delle foci del Rodano, attraverso una serie di rotte commerciali sui passi delle Alpi Marittime, note come “vie del sale”.
La leggenda vuole che, per evitare di pagare dazi elevati, i contrabbandieri coprissero le superfici dei barili di sale con le acciughe, ma in realtà in tutto il Piemonte d’antico regime la gabella del sale era una tassa obbligatoria non legata al consumo, oltre al fatto che l’acciuga era per l’epoca un alimento costoso e altolocato. In un’indagine semiseria, che mescola notizie storiche, racconti privati, storie di paese, ricordi e chiacchiere, la spiegazione sulla diffusione dell’acciuga in Piemonte è il risultato di un intreccio tra il mondo dei pescatori e quello dei contadini.
È grazie agli acciugai, impagabili venditori occitani della Val Maira, che l’acciuga a poco a poco divenne ingrediente insostituibile della cucina di montagna e di valle; sotto la maestria commerciale dei discendenti dei Saraceni conquista Lombardia ed Emilia-Romagna, acquista valore e dignità, entra nella cultura e nel paesaggio di montagna.
I carretti blu degli acciugai di Dronero si impossessarono lentamente di tutto il Nord Italia, tirati da lavoratori instancabili, che si assentavano per mesi da casa, percorrendo anche quaranta chilometri a piedi al giorno, con il fine di vendere il “singolare” pesce conservato sotto sale.
È impossibile, approfondendo la storia del commercio dell’acciuga, non cogliere con malinconia i segnali di un mondo che è cambiato completamente e che non è più possibile riconoscere e ritrovare. Una civiltà contadina fatta di radicamento, di sussistenza, di povertà dignitosa e solidale, che ha contribuito a cambiare la nostra società e ci ha portati a diventare ciò che oggi siamo.
Ecco, dunque, che la preparazione della Bagna cauda diventa occasione per riscoprire e rivivere i ritmi lenti di una società passata, quando ci si sedeva intorno alle braci del camino per affogare nella pentola con la Bagna cauda le verdure tagliate a pezzetti e la grissia, tipico pane piemontese dalle origini Cinquecentesche.
Chi va in cerca di cultura gastronomica può ancora gustarla nelle locande, servita in scodelle di terracotta, chiamate in dialetto piemontese fuìot, e mantenute calde da un lumino. Le prime ricette prevedevano un largo consumo di aglio e acciughe; è raro osservare gli stessi quantitativi nella cucina contemporanea, ma c’è ancora chi la prepara coraggiosamente con una testa intera e un etto di pesce a persona. C’è chi cuoce gli spicchi di aglio nel latte per attenuare l’afrore, chi li trita finemente e chi li aggiunge a fette. Alcuni, poi, per ingentilirne il sapore, aggiungono del burro o un po’ di panna. Ma il vero segreto per l’ottima riuscita è la cottura, lentissima, che permette ad aglio e acciughe di sciogliersi, senza mai arrivare al bollore.
Chi la cucina ancora in casa, rimanendo fedele alla tradizione, la cuoce a bagnomaria, con la pentola di terracotta posta sopra ad un altro tegame in cui bolle l’acqua, ma chi la preferisce con pezzi di aglio e acciughe più grossolani può adagiarla direttamente sul fuoco, a fiamma bassa, o su una piastra. Le verdure da intingere nella Bagna cauda sono sempre state reperibili nella storia di questo piatto; anche l’aglio non è mai mancato anzi, i bandi campestri dell’epoca lo inscrivevano addirittura tra le colture obbligatorie per i proprietari terrieri.
Quelle che vengono ancora proposte con l’intingolo sono principalmente quelle invernali, raccolte quando il freddo intenso e le prime gelate le hanno rese croccanti e ottime da consumare crude: topinambur, verze, peperoni, sedano, finocchi, rape, porri. Alcuni aggiungono anche ortaggi cotti, come barbabietole, cipolle e peperoni al forno o messi sotto le vinacce, patate e carote bollite. Prima di chiudere il pasto, si può strapazzare un uovo nella terrina, unendolo alla salsa rimasta e i più raffinati possono concedersi una grattata di tartufo sul tutto, per rendere la Bagna cauda un piatto da gourmet e non da poveri, come lo era nel Dopoguerra. Usuale anche che compaia tra le salse di accompagnamento del celebre Bollito misto piemontese, un altro piatto della tradizione che, da solo, vale il viaggio.
Chiara Papotti
To subscribe to a Magazine or buy a copy of a Yearbook
From traditional advertising to digital tools such as Newsletter and Direct Email Marketing. Let's build together the most effective communication strategy for your growth.
Find outFrom traditional advertising to digital tools such as Newsletter and Direct Email Marketing. Let's build together the most effective communication strategy for your growth.
Find out