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Sostanze perfluoroalchiliche nei prodotti della pesca e nei molluschi bivalvi: il nuovo Regolamento UE n. 2022/2388

of Boffo L.


I Pfas sono composti organici prodotti dall’industria chimica e, come tali, non sono presenti in natura. Da un punto di vista chimico sono delle catene carboniose di varia lunghezza, nelle quali gli atomi di idrogeno sono stati sostituiti interamente o parzialmente con atomi di fluoro. I composti che hanno un numero inferiore a 5 atomi di carbonio vengono definiti a catena corta, mentre quelli con 6 o più atomi a catena lunga.

Il legame carbonio fluoro conferisce a queste molecole particolari proprietà come l’impermeabilità all’acqua e ai grassi e un’alta resistenza termica.

Il Regolamento UE n. 2022/2388 prende in considerazione e definisce i tenori massimi dei seguenti quattro composti:

  1. PFOS, acido perfluoroottano sulfonato;
  2. PFOA, acido perfluoroottanoico;
  3. PFNA, acido perfluorononanoico;
  4. PFHxS, acido perfluoroesano sulfonico.

L’industria chimica però continua a produrre sempre nuove molecole, per le quali molto spesso non c’è alcuna regolamentazione specifica e non sono previsti limiti massimi di tolleranza nelle diverse matrici alimentari con grave rischio per il consumatore.

Si calcola che la famiglia delle sostanze perfluoroalchiliche comprenda circa 4.500 composti. Sono molecole stabili, altamente persistenti nell’ambiente e negli alimenti, che non vanno incontro a degradazione, insolubili in acqua che rappresenta il principale mezzo di diffusione. L’impatto ambientale è devastante.

L’uomo è inevitabilmente esposto al rischio di contaminazione per assunzione di acqua, alimenti (pesce, molluschi, uova, prodotti a base d’uova, carne, latte, formaggi, ortaggi, frutta, verdura…), inalazione di polveri e contatto con abiti e superfici trattate.

Nel 2013 una ricerca condotta dal Consiglio Nazionale delle Ricerche e dal Ministero dell’Ambiente ha messo in evidenza la presenza di queste sostanze perfluoroalchiliche nel fiume Po. Successive ricerche condotte in Veneto in 30 comuni delle province di Vicenza, Padova e Verona, cosiddetta “zona rossa”, hanno rilevato la presenza di queste sostanze nelle acque superficiali, sotterranee, di scarico degli impianti di depurazione e perfino in quelle potabili espressione di un livello di inquinamento ambientale preoccupante. Il tempestivo intervento dei competenti organismi regionali ha permesso di mettere in sicurezza l’acqua potabile mediante l’utilizzo di filtri a carbone attivi. È stata individuata la principale fonte di inquinamento in una industria presente nel comune di Trissino (VI). Un ruolo fondamentale nell’attività di indagine è stato svolto dall’Arpav, che ha attivato uno scrupoloso piano di indagine ambientale con la ricerca di una quindicina di queste molecole. In particolare sono state analizzate le acque potabili, le acque grezze destinate alla potabilizzazione, le acque irrigue, le acque di abbeverata degli animali, le acque superficiali, le acque di falda, i fanghi di depurazione e l’aria.

L’uso di questi composti è iniziato negli anni ‘50 e ben presto si è diffuso in tutto il mondo. Vengono utilizzati nell’industria tessile per impermeabilizzare i tessuti, nelle pellicole fotografiche, nei rivestimenti idrorepellenti, nei cosmetici, nella carta e cartone per alimenti, nelle vernici per pavimenti, negli insetticidi, nelle pentole aderenti, nella schiuma antincendio, nella microelettronica, nei tensioattivi per prodotti per la pulizia…

Recenti ricerche hanno dimostrato che queste sostanze ormai sono diffuse ovunque anche in territori molto lontani dalle fonti di inquinamento. È diventato un fenomeno globale che desta preoccupazione e che richiede un intervento immediato da parte degli organi competenti. È opportuno bandirne la produzione e vietarne l’uso.

Anche il sistema REACH (Registration Evaluation and Authorisation of Chemical Substances) così come ora strutturato non dà sufficienti garanzie in materia, tanto che alcuni paesi tra cui la Norvegia, la Svezia, la Germania e altri hanno chiesto una revisione del Regolamento al fine di ridurre i rischi per l’uomo e per l’ambiente.

La tossicità di queste sostanze è elevata e le conseguenze per l’uomo sono preoccupanti: si ha in particolare un aumento del colesterolo e dell’acido urico, alterazione del sistema endocrino e immunitario, patologie della tiroide, sterilità, interferenza sul metabolismo dei grassi, effetti cancerogeni ed estrogenici. Sono in grado di attraversare la placenta ed esercitare effetti tossici sui feti che alla nascita risultano essere di peso inferiore.

Nella cosiddetta “zona rossa” della Regione Veneto è stato riscontrato in alcune persone livelli preoccupanti di queste sostanze nel sangue e nel latte delle donne in allattamento. L’EFSA ha stabilito un limite settimanale tollerabile di gruppo (esposizione congiunta) di 4,4 ng/kg di peso corporeo; inoltre ha chiarito nella Raccomandazione UE 2022/1431 che “gli alimenti di origine animale contribuiscono in modo significativo all’esposizione umana alle sostanze perfluoroalchiliche”.

Contrariamente ai microcontaminanti ambientali clorurati POPs, che danno origine a fenomeni di accumulo nei grassi di deposito, queste sostanze rimangono libere nel circolo sanguigno instaurando stretti legami con le proteine plasmatiche; si concentrano nel fegato e nei reni rendendosi biodisponibili per lunghi periodi di tempo. I tempi di eliminazione sono piuttosto lunghi. L’emivita del PFOS è di 4-5 anni, mentre quella del PFOA di 3-8 anni.

Una recente ricerca condotta in Danimarca dal National Food Institute ha riscontrato, in alcuni casi, la presenza di elevati livelli di Pfas nel tuorlo di galline alimentate con mangimi. Secondo i ricercatori il fatto è da ricollegare alle farine di pesce che vengono utilizzate come ingrediente nella formulazione di alcuni mangimi. Gli stessi ricercatori hanno però sottolineato che non tutte le farine di pesce risultano contaminate; ci possono essere delle variazioni in base alla specie ittica impiegata, al sito di cattura, al metodo di produzione e alla stagionalità. Non va neppure trascurato il fatto che l’essiccazione delle farine fa aumentare la concentrazione di eventuali contaminanti. 


Le nuove sostanze perfluoroalchiliche

A seguito delle continue restrizioni e dei divieti di utilizzo di queste sostanze, l’industria chimica ha sintetizzato nuove molecole a catena corta, prodotte con tecnologie particolari, per le quali risulta più complicata la ricerca e l’individuazione. Un esempio ci è offerto dal cC6O4, dove sono stati inseriti atomi di ossigeno tra le catene fluorate che rendono il composto particolarmente mobile e con livelli elevati di tossicità. La ricerca di questa nuova molecola risulta piuttosto complessa, perché l’industria chimica non ha svelato l’identità chimica. Inoltre, da parte delle autorità competenti, non sono stati ancora definiti dei limiti e dei tenori massimi negli alimenti. L’Arpav, durante le attività di monitoraggio ambientale, ha riscontrato la presenza di questa molecola nelle acque del Po, segno evidente del suo utilizzo nelle produzioni industriali soprattutto nelle materie plastiche e derivati. Per un approfondimento sull’argomento si rimanda allo studio effettuato nel 2021 dal Dipartimento di Biomedicina comparata e alimentazione (BCA) e il Dipartimento di Biologia dell’Università di Padova “The new PFAS C6O4 and its effects on marine invertebrates: First evidence of transcriptional and microbiota changes in the Manila clam Ruditapes philippinarum” (Environment International, 2021, DOI: 10.1016/j.envint.2021.106484).


I tenori massimi dei Pfas fissati dal Reg. UE n. 2022/2388 

Il Regolamento UE n. 2022/2388 chiarisce che le catene alimentari acquatiche e terresti spesso sono esposte al rischio di fenomeni di bioaccumulo delle sostanze perfluoroalchiliche. Sulla base di questa considerazione si è reso necessario, al fine di tutelare la salute del consumatore, definire i tenori massimi di queste sostanze negli alimenti maggiormente a rischio: uova, prodotti della pesca, molluschi bivalvi, crostacei, carne e frattaglie commestibili compresa la selvaggina. Sono stati definiti i tenori massimi per quattro composti:

  1. PFOS (acido perfluoroottano sulfonato);
  2. PFOA (acido perfluoroottanoico);
  3. PFNA (acido perfluorononanoico);
  4. PFHxS (acido perfluoroesano sulfonico) e per la somma dei quattro composti.

Dall’analisi dei dati emerge che i molluschi bivalvi e i crostacei hanno gli stessi tenori massimi, mentre i prodotti della pesca vengono suddivisi in due gruppi: un primo gruppo con tenori più bassi, anche se superiori a quelli dei molluschi bivalvi e crostacei, un secondo gruppo con tenori decisamente più elevati rispetto al primo. Per chiarezza vengono riportati due schemi: Schema 1 – Molluschi bivalvi e crostacei, tenori massimi in µg/kg di peso fresco; Schema 2 – Pesce, tenori massimi in µg/kg di peso fresco.


Modalità di campionamento dei prodotti della pesca
Regolamento UE 2022/1428

Il Regolamento 2022/1428 stabilisce il numero di campioni elementari che devono essere prelevati da una partita per la costituzione del campione globale che deve comunque avere un peso non inferiore a 1 kg. Il numero di campioni elementari da prelevare sono in funzione della grandezza della partita in esame (Tabella n. 1) Nel caso i prodotti ittici siano confezionati, il numero di confezioni da prelevare è in relazione al numero di confezioni che compongono la partita (Tabella n. 2).

Se la partita da sottoporre a campionamento è costituita da pesci di piccole dimensioni (< a 1 kg) vengono prelevati come campioni elementari i singoli pesci interi. Nel caso di pesci di maggiori dimensioni (> a 1 kg) si preleva la parte centrale del pesce, dalla colonna vertebrale al ventre e i singoli campioni elementari devono avere un peso di almeno 100 g fermo restando che il campione globale che risulta dalla unione dei singoli campioni elementari deve essere di almeno 1 kg. Per i pesci di peso > a 6 kg si preleva come campione elementare il muscolo dorsale destro nella parte centrale del pesce. In alternativa si prelevano tre campioni elementari di 350 g ciascuno dal muscolo vicino alla coda e dal muscolo vicino alla testa, in parti uguali. Qualora in una partita di pesci predomini una determinata categoria per dimensioni e o peso (80% circa della partita) il campione deve essere prelevato dalla categoria predominante. Nel caso invece non predomini una determinata categoria il campione deve comunque essere rappresentativo dell’intera partita.

Per il prelievo dei campioni devono essere adottate alcune precauzioni operative in modo da non incidere negativamente sulla determinazione analitica. In particolare il personale non deve indossare indumenti con rivestimenti di fluoropolimeri o trattati con Pfas per renderli impermeabili. Inoltre, non deve aver usato nella giornata di campionamento creme cosmetici, prodotti idratanti contenenti Pfas. Va fatta molta attenzione durante le fasi di campionamento per evitare possibili contaminazioni da contatto con superfici e attrezzature trattate con Pfas. Le analisi devono essere eseguite in laboratori accreditati che adottino metodiche sensibili e validate. Nella valutazione dei risultati analitici si deve tener conto anche dell’incertezza di misura. Quando i risultati analitici sono superiori ai limiti fissati dal Regolamento la partita deve essere rifiutata da parte dell’OSA; nel caso sia già stata commercializzata dovrà essere attivata la procedura di ritiro/richiamo del prodotto e data comunicazione urgente all’Azienda ULSS competente per territorio per l’attivazione delle procedure previste dalla normativa in materia. L’Azienda ULSS dovrà condurre ovviamente delle indagini di follow-up per individuare le fonti di contaminazione.


Valutazione del rischio nei prodotti della pesca, nei molluschi bivalvi e nei crostacei

Nella valutazione del rischio delle sostanze perfluoroalchiliche nei prodotti della pesca è opportuno considerare la specie e l’origine del prodotto: da acque dolci, salmastre lagunari e salate marine. Il Reg. UE n. 2022/2388 individua le specie più a rischio sulle quali dovrà essere concentrata l’attività di ricerca e le suddivide, come già sottolineato, in due gruppi: il primo con tenori più bassi, il secondo con tenori di gran lunga superiori. Di conseguenza, le specie ittiche appartenenti al secondo gruppo potrebbero potenzialmente rappresentare un rischio maggiore per la salute del consumatore.

Lo stesso regolamento definisce per i lattanti e i bambini della prima infanzia che vengono alimentati con le specie ittiche dei due gruppi di cui sopra dei tenori massimi decisamente più bassi a tutela della salute dei minori. L’OSA deve tener conto di questi aspetti e commercializzare, a far data dal 01/01/2023, solo i prodotti della pesca che rispettano i tenori previsti dal Reg. UE n. 2022/2388.

Altro elemento che deve essere attentamente valutato dall’OSA nella valutazione del rischio al fine di una mirata attività di campionamento è la provenienza del prodotto. Alcune specie ittiche vivono in acque dolci, altre in acque salmastre lagunari, altre ancora in acque marino salate, altre sono diadrome, cioè vivono sia in acque dolci che salate, sono i cosiddetti pesci migratori come il salmone, l’anguilla e alcuni cefali.

Il pesce pescato in acque dolci (fiumi, corsi d’acqua, laghi) presenta di solito un rischio elevato specie se l’area è fortemente industrializzata e popolata e/o la localizzazione del bacino d’acqua è in un territorio altamente contaminato come ad esempio la zona rossa della regione Veneto.

Le disposizioni del Reg. CE n. 1224/09 in materia di tracciabilità (art. 58) e il Reg. CE n. 1379/2013 in materia di etichettatura rappresentano sicuramente un valido aiuto in tal senso. Infatti, dall’analisi dei documenti di accompagnamento e delle informazioni riportate in etichetta possiamo risalire alla provenienza del prodotto. Naturalmente l’OSA deve cercare di conoscere e o di informarsi di eventuali situazioni di criticità e dei livelli di contaminazione presenti nella zona di provenienza del prodotto.

Per quanto riguarda la valutazione del rischio dei molluschi bivalvi dobbiamo considerare: la specie, le sue caratteristiche fisiologiche, l’habitat di vita e la zona di provenienza. I molluschi bivalvi sono organismi filtratori; nell’acqua trovano le sostanze nutritive e l’ossigeno essenziale per le loro funzioni vitali, ma a volte possono trovare anche agenti biologici e sostanze chimiche che in certe situazioni rappresentano un pericolo per la salute del consumatore.

Tra le sostanze chimiche possono esser presenti anche i Pfas, che sono insolubili in acqua e attraverso questa diffondono rapidamente nell’ambiente. Non tutti i molluschi hanno la stessa capacità filtratoria: esistono delle specie come le ostriche che riescono a filtrare 12-15 litri di acqua all’ora, i mitili 2 litri, le vongole veraci 1,2 litri, mentre i lupini quantità decisamente inferiori. Questi dati, in una valutazione del rischio, vanno attentamente considerati perché più alta è la quantità di acqua che entra nel mollusco maggiore è la possibilità di contatto e di accumulo delle sostanze perfluoroalchiliche. Va sottolineato che i Pfas, contrariamente ai microcontaminanti POPs (sostanze clorurate), non si accumulano nei grassi ma rimangono come tali in circolo e si localizzano nell’epatopancreas del mollusco. I tempi di eliminazione sono piuttosto lunghi.

Altro aspetto da considerare è l’area dove vengono pescati o allevati i molluschi. Indubbiamente le aree lagunari e marino costiere presentano un rischio molto maggiore rispetto alle aree lontane dalle coste, in quanto risentono dell’impatto antropico e dell’influenza negativa esercitata delle acque fluviali e dal bacino scolante del territorio. L’OSA, nella programmazione dell’attività di campionamento, dovrà fare un’attenta valutazione dell’area dove sono stati pescati o allevati i molluschi.

Allo stato attuale non abbiamo informazioni né dati statistici sul livello di contaminazione dei molluschi fossori (vongole veraci, lupini, fasolari…) e dei molluschi che vivono nella colonna d’acqua (mitili, ostriche…) per cui risulta difficile tenere in considerazione questo parametro nella valutazione del rischio. Sicuramente a breve, quando saranno disponibili maggiori informazioni, potremo fare indagine più completa. È auspicabile che le Aziende ULSS, anche in considerazione dei limiti fissati dal Reg. UE n. 2022/2388, nel classificare le aree di produzione tengano in considerazione tra i contaminanti chimici anche le sostanze perfluoroalchiliche, finora escluse da qualsiasi tipo di indagine. Inoltre, è opportuno che sia svolta una costante attività di monitoraggio per garantire il mantenimento delle condizioni sanitarie di base.

Per quanto riguarda i crostacei la valutazione del rischio deve tener conto dell’origine del prodotto e delle informazioni che sono disponibili su l’area di pesca o sulla zona di provenienza del prodotto. È noto ad esempio che i gamberi che provengono da certi ambiti della Svezia hanno dei livelli di contaminazione molto elevati. L’OSA, nell’ambito del piano di autocontrollo, ha la facoltà di richiedere al fornitore delle partite di prodotti acquistati la certificazione della conformità ai criteri previsti dal Regolamento. Per i crostacei il tenore massimo si applica al muscolo delle appendici e dell’addome. Nel caso dei granchi al muscolo delle appendici.


Conclusioni

La realizzazione da parte degli OSA di piani di controllo delle sostanze perfluoroalchiliche negli alimenti sicuramente permetterà di aver delle conoscenze più dettagliate del livello di contaminazione presente nelle diverse catene alimentari e nell’ambiente. Queste nuove conoscenze e l’elaborazione dei dati, ci consentiranno altresì di fare una più attenta valutazione del rischio a tutela della salute dei consumatori. Va sottolineato che le aziende del settore alimentare, per realizzare questi nuovi piani di controllo, devono farsi carico di costi importanti. Il costo di una singola analisi è infatti abbastanza elevato. Non si ritiene corretto che il peso economico per fronteggiare questo fenomeno di inquinamento globale, ormai generalizzato, sia lasciato interamente ed esclusivamente nelle mani degli operatori del settore alimentare che nella realtà delle cose non hanno alcuna responsabilità sull’origine della contaminazione.

A tutt’oggi, nell’applicazione del Reg. UE 2022/2388, non sono state date indicazioni di attività di controllo da parte delle Aziende ULSS. È auspicabile che anche le Aziende ULSS partecipino in maniera attiva all’attività di campionamento e di monitoraggio delle diverse filiere alimentari e soprattutto negli ambiti territoriali-marini, per individuare eventuali situazioni di criticità non conosciute. Ritengo ad esempio come è stato già accennato più sopra che le attività di controllo e monitoraggio delle acque lagunari marino-costiere dedicate alla di molluschicoltura e alla pesca siano svolte direttamente dalle Aziende ULSS in maniera da poter disporre in tempi brevi di un quadro generale della situazione ambientale presente.

Dott. Luciano Boffo

Consulente Sicurezza

alimentare, Chioggia


Nota

Le fonti bibliografiche sono disponibili presso l’autore.



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