Se si chiede un “caffè d’orzo” al barista, questi non ha alcun dubbio e prepara un infuso d’orzo tostato, nonostante la richiesta di un ossimoro che contiene due termini contrari, come quella di “ghiaccio bollente” o di “altezze abissali” e via dicendo. Infatti, il caffè non è orzo e l’orzo non caffè e quindi non può esistere un “caffè d’orzo”.
Il barista, tuttavia, non sbaglia ed accontenta l’avventore perché termine caffè, nel caso specifico, è passato ad identificare non più la pianta od il suo seme essiccato o tostato, ma l’infuso che se n’ottiene, fino a significare “infuso” di qualsiasi tipo.
Cambiamenti e passaggi di significato non sono rari in gastronomia, ad iniziare da quelli del salame e salumeria che, fino al 1700, identificavano il pesce salato ed il particolare il baccalà, per poi passare ad identificare la carne tritata, salata ed insaccata, in precedenza denominata salciccia (da sale e ciccia) e l’arte di salare le carni, in modo particolare di maiale.
Un’altra parola della salumeria e che ha cambiato significato è il termine “prosciutto”.
L’etimologia di prosciutto è pacifica, perché il termine significa “prosciugato” ed in gastronomia il termine è stato particolarmente assegnato alla “carne prosciugata” attraverso il sale e la stagionatura, in modo particolare attribuito alla coscia di maiale. Nel passato la salagione ed il prosciugamento della coscia di maiale erano tanto intensi che prima d’essere mangiati i prosciutti erano dissalati in acqua ed inteneriti con la bollitura. Solo recentemente, nel 1800, si è iniziato a produrre prosciutti di coscia di maiale meno salati e più teneri, tali da poter essere mangiati senza cuocerli e di conseguenza si è iniziato a parlare di “prosciutto crudo”. In modo analogo a quanto avvenuto per il sopra citato caffè d’orzo, il termine di prosciutto è passato ad identificare la coscia di maiale variamente trattata e conservata, anche non essiccata od asciugata e non stagionata, come ad esempio il prosciutto di Praga (una coscia di maiale cotta e leggermente affumicata) od il ben noto prosciutto cotto, di cui gli italiani ogni anno mangiano ben trenta milioni di pezzi.
Il prosciutto cotto non solo non è prosciugato, ma anzi, prima della cottura ed attraverso la salamoia (che contiene anche aromi) gli è aggiunta una certa quantità d’acqua. Non si tratta quindi, a rigor di logica, di un “prosciutto”, ma il termine ha avuto successo e non sarà facile indurre i produttori ed i consumatori ad usare un altro termine per la coscia di maiale cotta.
Tuttavia la storia dei significati del termine “prosciutto” non finisce qui, ma prosegue, probabilmente perché il prosciutto è un alimento pregiato. Infatti, da qualche tempo s’è iniziato a produrre dei “prosciutti di spalla”, nei quali carni suine di spalla sono trattati come si fa per ottenere il prosciutto cotto dai muscoli della coscia ed in questi prosciutti di spalla non solo non vi è alcun prosciugamento, ma neppure la coscia di maiale.
Proseguendo oltre, in modo particolare per le pizzerie, sono stati prodotti dei “prosciutti cotti” che non solo non sono prosciugati, ma che sono ottenuti con tagli carnei di maiale diversi e tra loro assemblati, ma non di spalla e tanto meno di coscia.
Tutto quanto ora indicato non costituisce alcun pericolo o rischio sanitario per il consumatore e tanto meno non interferisce con la nutrizionalità del prodotto, che nel prosciutto cotto e sue “derivazioni” dipende soltanto dalla quantità d’acqua e di sale aggiunti.
Quello che invece cambia per il consumatore è invece la qualità gastronomica del prodotto e soprattutto il fatto incontrovertibile che ogni consumatore ha il diritto di sapere che cosa compra. Su questa linea, come un infuso di caffè non è un infuso d’orzo, nel maiale la coscia non è la spalla o non sono altri tagli di carne.
Un proverbio, forse cinese, recita che l’inizio della saggezza e dell’onestà sta nel dare alle parole un preciso significato. Quindi dare del caffè al caffè, dell’orzo all’orzo e della coscia alla coscia, della spalla alla spalla e via di seguito. Se quindi è tollerabile, poiché invalso nell’uso comune, parlare di prosciutto cotto (ma che sia di coscia!), si parli di spalla cotta (anche disossata) o di maiale cotto per le altre preparazioni, soprattutto se poi sono usate per successive trasformazioni, ad esempio la pizza, gli omogeneizzati, i condimenti od i piatti pronti.
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