“…pilus aereo similis agrestibus, ceteris niger…” (il pelo del cinghiale è di color bronzo negli esemplari selvatici, negli altri è nero, Plinius Secundus Gaius, Naturalis Historia, Liber VIII, I sec. d.C.). Così Plinio il Vecchio parlava del cinghiale, grosso mammifero selvatico a pelo della cui carne l’uomo si è sempre nutrito e di cui si nutre ancora oggi, sia dopo l’abbattimento dell’animale in caccia che acquistandolo d’allevamento. Attualmente il consumo di questa carne è in continua crescita, anche se non sono disponibili dati statistici precisi per la difficoltà di seguire la destinazione dei numerosissimi capi uccisi dai cacciatori. Il perché di questo aumento dei consumi è in rapporto con la rapida diffusione e moltiplicazione di questo grande ungulato a pelo un po’ in tutte le regioni italiane, riapparso e moltiplicatosi addirittura anche in Lombardia e nel Trentino dove era assente da molto tempo. Le ragioni sono molteplici: nell’ultimo mezzo secolo si sono verificati passaggi da considerare epocali che hanno segnato la trasformazione del territorio con lo spopolamento delle campagne e delle zone collinari.
Così, con la rarefazione delle presenze antropiche, le specie di selvaggina stanziale, a partire da quelle di ungulati (compresi i cinghiali), hanno conosciuto un forte aumento numerico e un grande ampliamento dei loro areali. I selvatici hanno spinto la loro presenza sino alle vicinanze e addirittura all’interno degli abitati. All’inizio del 2011 un cinghiale, certo in gita turistica, è stato abbattuto mentre passeggiava sulle mura della città di Lucca. Gravi e numerosi sono poi gli incidenti stradali causati da questi animali.
Alla trasformazione del territorio deve aggiungersi l’impatto che si è avuto con l’introduzione in Italia di razze più pesanti e prolifiche di quelle tradizionalmente presenti nel passato e, addirittura, il ricorso all’ibridazione con i suini allo scopo di aumentare il numero di animali da cacciare. La disponibilità della carne di cinghiale è anche assicurata dalla presenza degli allevamenti di questi animali e dall’importazione, specie dalla Slovenia, di notevoli quantitativi di carne che, dopo il disosso, ormai si trova debitamente confezionata e surgelata in tutti i supermercati. Si deve anche aggiungere come, soprattutto in alcune regioni, Toscana ed Umbria ad esempio, dove i cinghiali sono numerosissimi, sia ormai divenuta un’attività ludica assai diffusa la caccia al cinghiale in battuta o con le “caccerelle” tradizionali organizzate con la presenza di squadre di cacciatori provenienti anche da regioni diverse. Si ha così l’abbattimento di decine di migliaia di cinghiali durante la sia pur breve stagione di caccia (novembre-gennaio) ai quali si aggiungono i selvatici abbattuti con i piani di sfoltimento adottati a cura delle istituzioni pubbliche per diradare le zone in cui gli animali hanno determinato danni ingenti alle culture oppure perché la loro presenza ormai è segnalata anche negli abitati. Mentre per la carne di cinghiali allevati può aversi una tracciabilità affidabile, lo stesso non avviene per quella dei cinghiali abbattuti in caccia che, oltre ad essere utilizzata in gran parte per autoconsumo, viene anche avviata dai cacciatori, attraverso canali difficilmente controllabili, a ristoratori e negozianti.
Il cinghiale in cucina
Ma veniamo all’uso in cucina della carne di cinghiale. Dal punto di vista delle qualità nutrizionali è una carne ottima perché ha pochissimi grassi e parecchie proteine. Si presenta di colore rosso più o meno intenso a seconda dell’età degli animali ed ha un gusto forte, particolare, un po’ come per tutta la selvaggina. Talora il rosso intenso della carne degli animali uccisi in caccia è anche dovuto allo strapazzo, allo stress subito dagli stessi braccati con lunghi inseguimenti e dagli scontri sanguinosi con i cani. Per cucinare è opportuno scegliere carni di cinghiale femmina intorno ai 40/50 chili, escludendo gli animali in calore, mentre per i maschi vanno bene bestie giovani per i quali si usa asportare i testicoli subito dopo l’uccisione al fine di spegnere per quanto possibile l’odore ircino. Prima della preparazione dei tagli, che sono simili a quelli del maiale, e della cottura, la carne di cinghiale deve essere sottoposta ad una frollatura quanto più possibile prolungata e quindi ad un’adeguata marinatura. Queste operazioni sono necessarie per renderla più tenera, per spegnere l’odore di selvatico e, nello stesso tempo, di quel particolare afrore causato talvolta dalla ritardata eviscerazione e del dissanguamento, interventi che vengono eseguiti nel bosco o in locali adattati alla bisogna talora a distanza di tempo dall’uccisione degli animali alla fine delle cacce.
Un altro intervento necessario prima della preparazione in cucina è quello di eliminare il forte pelame che ricopre la cute dell’animale e questo si può fare in due modi: ricorrendo alla scuoiatura con un coltello ben affilato — ma in tal modo si perde la cotenna che è una parte assai saporita — oppure bruciando il pelame con una fiamma e successivamente raschiando per una completa depilazione — e in tal modo si salva la cotenna. Per la marinatura, che può durare anche 48 ore, si possono adottare diverse procedure ma sostanzialmente la carne tagliata in pezzetti va lavata più volte o anche lasciata in una bacinella con acqua, aceto e spezie per un giorno o due a seconda del peso e dell’età dell’animale. Poi va scottata in un tegame con vino rosso, spezie, carote rosmarino, alloro, ecc…, onde farle “fare l’acqua” che deve essere quindi scolata. Infine, la carne può essere ulteriormente lavata e così è pronta per essere cucinata. La “morte del cinghiale” è la sua cottura in umido. Le altre preparazioni non sono adatte per questo tipo di carne, a meno di avere a disposizione i giovani porchetti con le caratteristiche striature sulla cute ancora evidenti, di 6/7 kg, puliti. Allora si possono avere degli arrosti incredibili.
Passando alle ricette, a titolo di curiosità eccone di seguito alcune tra le numerose indicate nel “De Re Coquinaria” di M. Gavio Apicio, I secolo d.C.: “Il cinghiale si cucina così: si lava con una spugna, lo si cosparge di sale e di cumino abbrustolito e così lo si lascia. Il giorno dopo si mette in forno. Una volta cotto, lo si cosparge di miele, salsa (fatta di pesce) e vin santo”. “Altra ricetta: lessa il cinghiale in acqua marina con ramoscelli di lauro, finché si imbeva tutto. Toglierai la cotenna e lo porrai in tavola con senape, sale e aceto”. “Altra ricetta per il cinghiale: triterai pepe, ligustro, origano, bacche di mirto sgusciate, coriandolo, cipolle; versaci sopra miele, vino, salsa (di pesce), non necessariamente olio; scaldalo e legalo con amido. Versa il tutto sul cinghiale cotto al forno. Farai questo per ogni genere di selvaggina”.
Il cinghiale è poi il protagonista di alcuni piatti tradizionali molto utilizzati in Maremma, territorio che tra i suoi simboli annovera per l’appunto il “cignale”, per la preparazione dei quali, come per la marinatura, sono possibili numerosissime variazioni.
Ragù di cinghiale (da servire con le pappardelle o le tagliatelle)
Unire macinato di cinghiale con macinato di suino, aggiungere piccoli pezzi di cinghiale interi, rosolare con olio extravergine di oliva, carota, cipolla e prezzemolo, passare al frullatore, aggiungere sale e pepe e bagnare con vino rosso e un poco di dado da minestra, aggiungere pochi pomodori pelati a tocchetti, sale e pepe. Cuocere a fuoco moderato per circa un’ora e a fine cottura versare sulla pasta con un po’ di burro e parmigiano.
Cinghiale in umido alle olive nere
Mettere la carne già marinata e tagliata a pezzetti in un tegame con olio extravergine di oliva e carote, cipolle, aglio, sedano, salvia, rosmarino, pancetta, pepe, sale e peperoncino, il tutto passato al frullatore. Quando la carne è rosolata aggiungere del vino rosso, quindi pochi pelati a cubetti. Cuocere per due ore a seconda dell’età dell’animale aggiungendo mezzo dado da brodo, foglie di alloro e olive nere sgocciolate. Servire in tavola, volendo, con fette di polenta abbrustolita.
Cinghiale in agrodolce
Per questa particolare preparazione sono da preferire dei pezzetti di un giovane cinghiale non scuoiato a cui sono state eliminate le setole con le procedure indicate in precedenza lasciando così pulita la cotenna che, tagliata a pezzi assieme alla carne, dà un particolare sapore al piatto. A questo punto procedere come nella precedente ricetta tritando con un frullatore cipolla, carota, costole di sedano, prezzemolo, un pezzo di prosciutto grasso e uno magro. Mettere il tutto assieme ai pezzetti di carne in una casseruola con olio extra vergine di oliva, sale e pepe per cuocerlo in pari tempo con gli odori. Quando la carne ha preso colore spargere un pizzico di farina bianca e tirare a cottura con acqua calda versata di tanto in tanto. A questo punto preparare a parte il dolceforte in un bicchiere con i seguenti ingredienti: uvetta, cioccolato fondente, pinoli, canditi a pezzettini e zucchero assieme a dell’aceto di vino. Versare il dolceforte nella casseruola del cinghiale facendo bollire il tutto in modo che il condimento si incorpori con la carne aggiungendo eventualmente un altro poco di aceto. Questo piatto è meglio venga preparato il giorno precedente al suo consumo.
Per finire...
Come già indicato vi sono, oltre quelle viste, altre numerose possibilità e variazioni delle ricette per cucinare il cinghiale, ottenendo piatti assai gustosi che devono essere sempre accompagnati da generosi vini rossi. Il cinghiale è anche utilizzato per la preparazione di tutta una serie di particolari salumi ma per questo aspetto è necessaria una descrizione specifica.
Aldo Focacci
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