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Attualità 

Se per sostenibilità  dei sistemi agroalimentari si intende l'aumento dell'IVA sulla carne

di Mauri G.

Nel tardo pomeriggio del 7 ottobre, nella prestigiosa cornice del Padiglione Italia di Expo, si è tenuto l’incontro organizzato dalla Fondazione ENI Enrico Mattei (FEEM) “Sistemi agroalimentari sostenibili. Quali politiche per diminuire l’impatto dell’uso del suolo agricolo in Europa e ridurre gli sprechi di cibo?”. L’evento è stato completamente finanziato dal Settimo Programma Quadro dell’Unione Europea (FP7/2007-2013) nell’ambito del progetto di ricerca DYNAMIX. In termini generali, lo scopo del Progetto DYNAMIX (dynamix-project.eu) è quello di proporre politiche europee in grado di rendere più sostenibile la produzione nella UE.

Il decoupling
Andrea Bigano, della FEEM, ha spiegato il concetto che sta alla base del progetto: il cosiddetto decoupling. Si tratta di separare la crescita economica europea dal consumo delle risorse, salvaguardando o migliorando il benessere dei cittadini. Le risorse non sono illimitate e quindi un loro utilizzo sconsiderato ha ricadute su tutti gli ambiti, compresi quelli della crescita economica futura e sulle condizioni di vita dei cittadini. Bisogna riuscire a scollare il PIL dall’utilizzo delle risorse e dall’impatto ambientale. Occorre anche inserire nell’equazione la valutazione del benessere dei cittadini come voce a sé stante. Documento di riferimento a questo nuovo approccio è l’opera di Rockström et al. “Safe operating space for humanity” del 2009.
Fra le risorse che dobbiamo gestire oculatamente e risparmiare c’è sicuramente anche la biomassa. «Dal 1900 al 2005 l’uso della biomassa è cresciuto di 5 volte», quindi non possiamo più procedere lungo questa strada. «Dobbiamo agire. Dobbiamo intraprendere molte azioni: tutte sono corrette, ma devono anche essere compiute nel momento giusto e in coordinamento fra loro». In quest’ottica, il progetto considera corretti questi obiettivi europei per il 2050: abbassare la produzione pro capite di gas serra equivalente a solo 2 tonnellate annue di CO2; azzerare la domanda netta di terreno agricolo non UE per cittadino; ridurre la produzione di fosforo e azoto che oggi è in eccesso; eliminare la scarsità di acqua.

La proposta
Francesco Bosello, che lavora presso la FEEM e l’Università degli Studi di Milano, ha presentato l’analisi quantitativa di un paio di proposte di decoupling discusse nell’ambito del progetto. L’analisi economica in DYNAMIX ha il compito di valutare i costi e i benefici delle azioni di decoupling per determinarne la percorribilità politica. Agricoltura e zootecnia in particolare utilizzano acqua, suolo ed “aria” attraverso l’emissione di gas serra. Tutte queste sono risorse limitate, quindi adottare politiche che stimolino la sostenibilità di queste attività produttive può avere effetti positivi sull’utilizzo delle risorse stesse.
Bosello ha poi descritto le possibili conseguenze economiche di un ipotetico intervento politico a livello europeo, volto a intervenire nel 2020 sull’imposta sul valore aggiunto (IVA) della carne. La proposta consiste nell’imporre una tassazione sulla carne pari a quella esistente sui beni e servizi. Oggi invece l’IVA sulla carne è generalmente inferiore a quella definita per i beni e i servizi. Inoltre, oggi l’IVA sul prezzo della carne al consumatore è stabilita a livello nazionale, mentre Bosello propone di renderla omogenea in tutta la UE, livellandosi sul valore di quei Paesi in cui è più alta. Questo significa attestarsi su valori di poco superiori al 20%. In media, valutando tutti i Paesi UE, questo intervento comporterebbe un incremento dell’IVA sul consumo di carne pari a circa 12 punti percentuali. «Una volta messo in atto questo intervento, l’impatto immediato sulla produzione di carne nell’Unione sarebbe considerevole in Italia (–4%) e in generale nel resto della UE, con conseguenze particolarmente forti in Gran Bretagna e Irlanda (–7%)». Secondo la stima di Bosello, nel lungo periodo i consumi — e quindi la produzione di carne — risalirebbero, ma senza mai tornare ai livelli di consumi odierni.
Secondo il ricercatore, l’esubero di produzione di carne in Europa potrebbe trovare uno sfogo nei mercati internazionali, moderando così l’impatto economico comunque negativo sul settore. «L’intervento sulla domanda interna è stato scelto di proposito perché, non penalizzando l’export, può in parte ridurre le perdite dei produttori di carne europei».
Valutando i consumi di carne degli Europei al 2050 e comparandolo con i valori di oggi, Gran Bretagna e Irlanda vedrebbero un calo del 10-11% e tutta l’Europa di circa il 5,5%. «I consumi si sposterebbero — almeno parzialmente — su pesce, frutta e verdura». A detta del ricercatore, con questa misura economica si otterrebbe una riduzione di consumo di suolo, acqua e aria, si ridurrebbe la produzione di CO2 e di gas serra (di 24 milioni di tonnellate nel solo 2050) e si potrebbero ottenere anche dei miglioramenti nelle condizioni di salute degli Europei.
Ma quale sarebbe l’effetto sul PIL? Per l’Italia e la UE in generale circa -0,05%, per alcuni Paesi come la Polonia -0,2%. «Viste le perdite di PIL contenute e nonostante l’impatto certamente ben più marcato a livello di settore, l’intervento potrebbe avere costi economici inferiori ai benefici. La riduzione delle emissioni di gas serra a livello europeo non avrebbe però effetti significativi sul valore assoluto delle emissioni a livello planetario».
Bosello ha anche proposto una seconda ipotesi di intervento: tassare al 20% l’utilizzo di pesticidi a fini agricoli sul territorio europeo dal 2020 in poi. Nell’immediato gli effetti dell’innalzamento della tassazione sarebbero di un -0,35% nell’utilizzo dei pesticidi e della produzione agricola nella sola Italia. Nel lungo periodo la riduzione si attesterebbe solo su un -0,15%, lo stesso valore che si registrerebbe a livello di tutta l’Unione. Tuttavia, la simulazione prevede anche che la produzione di pesticidi europei in assoluto aumenterebbe seppure di poco (0.01%), proprio grazie all’aumento dell’export. L’effetto sul PIL europeo della manovra sarebbe trascurabile (0,006%). In conclusione, le due proposte hanno «un effetto moderato sul PIL e sull’ambiente».
A conclusione dell’evento ha parlato la filosofa Francesca Pongiglione, che lavora presso la FEEM e l’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano. Il suo compito era quello di valutare l’impatto delle proposte di Bosello sulla società, tenendo conto che il decoupling deve essere interpretato con etica, per garantire la tutela dei diritti umani delle popolazioni di oggi e di domani. Solo cambiando l’utilizzo delle risorse sarà possibile tutelare i diritti.
Fra i diritti economici e sociali che eticamente bisogna garantire ai cittadini c’è anche il diritto alla salute. La salute non è semplicisticamente l’assenza di malattia e la disponibilità di cure mediche, ma prevede anche il contatto con un ambiente non inquinato e con una vita sana, una dieta sana e altri servizi sociali. Data la sua importanza e i suoi effetti provati sull’individuo, la nutrizione è una componente basilare del diritto alla salute. Di conseguenza, i governi hanno il dovere etico di rimuovere gli ostacoli all’accesso a un ambiente e a dei cibi sani. «Ridurre l’inquinamento agricolo è un dovere primario dello Stato e deve essere conseguito anche se potrebbe portare ad un innalzamento dei costi dell’alimento per i cittadini».

Le critiche
La proposta è stata accolta con molte critiche dal pubblico in sala. Il rappresentante di Legambiente ha espresso la sua contrarietà a un aumento dell’IVA in quanto non costruttivo né strutturale. «Sembra più un modo di fare cassa per i governi, piuttosto che un intervento sui sistemi di produzione e l’utilizzo delle risorse». Anche Martin Nesbit dell’Institute for European Environmental Policy si è espresso contro l’aumento dell’IVA sulla carne perché «è un tipo di intervento che colpisce negativamente le fasce più povere della popolazione». Si è anche detto d’accordo con il pubblico che ha sottolineato come a un innalzamento del costo della carne molto probabilmente conseguirebbe un innalzamento del consumo di junk food, il cosiddetto cibo spazzatura, con tutte le conseguenze che questo comporta. Inoltre, ha confermato l’importanza della salute animale — chiave di volta della sostenibilità — e l’elevata qualità della zootecnia europea.
In quanto corrispondente per Eurocarni, al termine degli interventi ho potuto prendere la parola nello spazio di tempo concesso agli stakeholder. I commenti da fare sarebbero stati veramente tantissimi, tuttavia bisognava riuscire ad essere concisi, focalizzati sui temi affrontati durante il pomeriggio ed efficaci.
Quello che mi stupiva nelle relazioni ascoltate era l’assenza totale degli argomenti che oggi sono sempre affiancati al termine “sostenibilità” in agricoltura e zootecnia: efficienza, salubrità degli alimenti, salute e benessere animale, innovazione tecnologica... Valori che permettono alla zootecnia europea di essere ai vertici mondiali per sostenibilità e salubrità dei prodotti, oltre che per aspetti etici.
L’approccio del convegno era completamente differente da quello a cui in questi ultimi anni sono stata abituata e di cui ho tanto letto e scritto. Le basi di partenza erano piuttosto superficiali: l’assioma “l’allevamento inquina, quindi per inquinare meno alleviamo di meno” è quanto meno semplicistico e massimalista.


In certi momenti il dibattito ha assunto toni paradossali: in un Paese come l’Italia, con rilevanti problemi di inquinamento come la Terra dei Fuochi o la valle del fiume Sacco, il problema primario non è l’inquinamento agricolo (che sicuramente esiste, ma che si può gestire), bensì l’agricoltura su terreni inquinati.
Il problema è stato capovolto e le sue dimensioni stravolte. Eppure sono questi i messaggi che circolano fra i non addetti ai lavori. C’è un abisso fra le conoscenze e le posizioni di chi studia il fenomeno (FAO, OMS/OIE, università e centri di ricerca specializzati) e chi no.

Le campagne mediatiche partigiane e il tamtam sui social network hanno completamente distorto la visione della realtà a chi non studia la materia, indipendentemente dal suo livello culturale. Non serve a nulla che io elenchi qui tutti i distinguo, le differenze, i però e i ma che servono a presentare nel modo più completo e veritiero realtà complesse e sfaccettate come l’allevamento e l’agricoltura. Chi legge Eurocarni li conosce già e meglio di me. Ma chi non sa nulla del settore, non conosce gli sforzi degli allevatori per adeguarsi alle norme europee, non conosce il valore etico, ambientale ed economico di queste norme e non leggerà mai questo articolo.

Possiamo dire che stiamo vivendo una guerra e che almeno la prima battaglia l’abbiamo già persa. La società si è polarizzata fra buoni e cattivi e i cattivi sono tutti coloro che operano nell’allevamento e nell’agricoltura. Sono loro che inquinano, maltrattano e rubano anche i soldi dei fondi europei. Eppure dati FAO dicono che ben il 30% della produzione di alimenti va sprecato (attorno al 10-11% per quanto riguarda la carne e i prodotti animali) e che questo vergognoso spreco si concentra soprattutto nella fase dei consumi, nelle case e nei frigoriferi di chi non si assume le responsabilità della propria quota di inquinamento. Il clima è incattivito al punto che al convegno sul Precision Livestock Farming (Milano, 15-18 settembre 2015) Jörg Hartung, professore presso l’Istituto per l’igiene, il benessere e il comportamento degli animali da reddito dell’Università di Hannover, ha affermato che l’immagine degli allevatori nella società di oggi è poco apprezzata, la loro posizione è relegata in fondo, tanto che «esistono allevatori in Germania che raccomandano ai loro figli di non dire a scuola quale sia il lavoro che fanno la mamma e il papà». Come già affermava alcuni anni fa Temple Grandin, «oggi gli attivisti non puntano più a un miglioramento delle condizioni degli animali da reddito, bensì mirano all’annichilimento del settore».
L’approccio alla questione è davvero di pancia e stupisce che una tale veemenza non colpisca altri settori, con rilevanti responsabilità e legati a beni “più voluttuari” della produzione di alimenti come ad esempio l’edilizia, i trasporti o l’energia.
Martin Nesbit ha notato come spesso si sorvoli sullo sfruttamento e il consumo di suolo a scopi non alimentari come ad esempio la produzione di bioenergie o di biodiesel. Eppure in Europa questo tipo di coltivazioni ormai occupa più del il 25% dei terreni. Sono dati della FAO, riportati da Anne Mottet, Livestock Policy Officer della FAO al convegno sul Precision Livestock Farming; eppure spesso queste produzioni ricevono ancora contributi pubblici, una situazione che la FAO non approva. La cementificazione è sicuramente la principale causa di consumo di suolo. Dati attendibili riportano che ancora oggi in Italia vengono cementificate ogni anno grandissime estensioni di territorio, mentre il progetto di legge chiamato “Consumo di suolo zero” rimanda al 2050 questo traguardo.
Nel modo di pensare comune di oggi in Occidente allevamento e zootecnia non sono risorse strategiche. La disponibilità di cibo è una cosa ovvia (o forse non si sa più bene da dove provenga il cibo). Eppure, in un mondo in cui la popolazione aumenta sempre più e il clima diventa sempre più difficile, allevamento e zootecnia mantengono veramente il valore di risorse strategiche, da tutelare in ogni modo. Da migliorare, certo, ma non da combattere.

Se la zootecnia europea subisse interventi così punitivi come quelli proposti, si perderebbero aziende, posti di lavoro, ma soprattutto si rinuncerebbe a valori importanti quali la tutela del benessere animale, la salubrità dei prodotti, la sanità animale e si perderebbero quote di mercato internazionale, a tutto vantaggio di altri Paesi in cui questi valori non raggiungono le nostre dimensioni. Paradossalmente l’inquinamento aumenterebbe a livello globale e l’Europa si troverebbe priva di una risorsa strategica come la sicurezza alimentare e l’approvvigionamento di un bene primario come il cibo.
Per garantirsi un futuro sereno nella UE società civile, legislatore e operatori del settore devono cooperare. I produttori devono avere la possibilità di investire per migliorare le loro rese con la ragionevole garanzia di poter continuare a operare nel prossimo futuro. Il legislatore deve porre successivi obiettivi raggiungibili in un’ottica di miglioramento continuo. La società civile deve assumersi le sue responsabilità, riconoscere i traguardi raggiunti e supportare il miglioramento.
Esistono numerose possibilità per stimolare l’ammodernamento del settore: ad esempio, Anne Mottet ha proposto di introdurre facilitazioni sul mercato per gli allevamenti più efficienti. Esiste la produzione biologica, che è una valida alternativa etica e ambientale alla produzione intensiva. Esistono il buon senso e il buon gusto che ci dicono di non mangiare carne tutti i giorni e di abbondare con frutta e verdura freschi. Ma per favore non alziamo il prezzo della carne!


Giulia Mauri



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