Come facciamo a progettare una manifestazione che si chiama ARCIpelago senza pensare all’ARCI come sede promotrice dell’iniziativa? Praticamente mezzo progetto è già fatto! L’ARCI-Associazione Ricreativa e Culturale Italiana, fondata a Firenze nel 1957, è da sempre impegnata nella diffusione di iniziative culturali e socializzanti. Ebbene, il Circolo ARCI Paolo Pampaloni di Firenze, nel quartiere dell’Isolotto, noto per il tessuto sociale fortemente partecipativo e intellettualmente attivo, ha promosso un progetto che si è proposto di “fare cultura” a partire dalla “coltura” o, meglio, da un particolare tipo di coltura: l’acquacoltura. Così, da questa giovane forma di allevamento, che poi tanto giovane non è, ha preso il via una riflessione più ampia sulle produzioni ittiche, sulle metodiche produttive e sulla qualità del prodotto che i moderni sistemi di acquacoltura possono fornire.
Ma perché limitarsi solo al pesce? In fondo già Seneca ricordava che il pesce deve nuotare tre volte: la prima nell’acqua, la seconda nell’olio e la terza nel vino e, dato che siamo in Toscana, una terra particolarmente vocata per tutte queste produzioni, perché non accordare tutti i suoni in piacevoli ed armoniosi gusti? Tanto è stato ed è così scaturito il progetto ARCIpelago pesce, al quale si sono collegati fin da subito alcuni soggetti economici come la Unicoop Firenze, l’Ittica Golfo di Follonica e l’Azienda agricola Rigoli, oltre ad un soggetto sociale come la Cooperativa ARCA che, attraverso il Centro di socializzazione Il Giaggiolo, opera nel Quartiere 4 di Firenze con le realtà del disagio legato alla disabilità. Il tutto tenuto assieme dal comune filo rosso rappresentato dal tema pesce. Il Comune di Firenze ha dato il suo patrocinio ed il 6 dicembre ARCIpelago pesce è andato “in onda” con una grande partecipazione e soddisfazione di tutti coloro che sono intervenuti. Elemento centrale della serata è stata la cena ragionata di pesce, un momento convivialmente loquace nel quale i soggetti che hanno preso parte all’iniziativa hanno avuto uno spazio loro dedicato per spiegare agli invitati la loro attività ed i loro rapporti con i prodotti ittici.
Nel salutare gli invitati, Annalisa Maggi, presidente della Circolo ARCI Pampaloni, ha ricordato il carattere precipuo di socializzazione che muove da sempre le iniziative promosse dall’ARCI. Non a caso la bandiera che rappresenta questa organizzazione, oltre ai colori del cielo e della terra, riporta tutti i colori dei popoli che la abitano, a rappresentare lo spirito inclusivo che sta alla base dell’ampliamento delle conoscenze.
Poi è stata la volta di Franco Quercioli, storica figura dell’Archivio del Movimento di Quartiere di Firenze, che ha sottolineato l’importanza dell’educazione al consumo e della ricerca di un nuovo rapporto tra consumatore e produttore nel quale chi acquista sia “più vicino” a chi produce, nella riscoperta di un reciproco interesse che porti chi produce a far meglio comprendere le buone pratiche adottate per perseguire la qualità e chi compra ad essere rassicurato sulla bontà del prodotto che si trova ad acquistare.
Quindi sono entrati in campo i protagonisti, coloro cioè che si sono messi in gioco con le proprie “produzioni”. Ha iniziato Antonella Manganelli, della Cooperativa ARCA, che ha spiegato come “la produzione ittica” del Giaggiolo sia legata all’impegno che i ragazzi disabili, ospiti della struttura, destinano alla realizzazione di una serie di oggetti artistici che hanno come tema il mare ed gli abitanti degli ambienti acquatici. Pesci, crostacei e molluschi prendono forma dalle mani e dalla fantasia dei ragazzi, guidati dalle eccezionale creatività degli educatori della Cooperativa e utilizzando solo materiale di riciclo, plastica, pezze di stoffa, tappi di bottiglie,… Educazione e attenzione all’ambiente insieme.
Quindi è stata la volta dei pesci “in carne ed ossa” con le orate di Marco Franceschelli, amministratore dell’azienda Ittica Golfo di Follonica. L’impianto dell’IGF, nato nel 2008 per allevare spigole ed orate, rappresenta la nuova frontiera per l’acquacoltura toscana che con la maricoltura ha intrapreso nuove prospettive di sviluppo. Le gabbie, collocate nello specchio di mare nell’omonimo golfo, tra Piombino e Punta Ala, delimitato ad ovest dall’Isola d’Elba, ospitano i pesci in enormi contenitori cilindrici di rete del diametro di 22 metri e della profondità di 10 metri. In tali condizioni di allevamento, ha spiegato Franceschelli, gli animali possono muoversi godendo di un ampio spazio e beneficiare del flusso continuo e naturale delle acque del mare, senza ricorrere all’ossigenazione artificiale come avviene per gli altri impianti a terra, con risparmio di costi fissi e di esercizio. «Naturalmente — ha proseguito Franceschelli — tutte le fasi della produzione sono strettamente controllate e certificate, dall’alimentazione all’ispezione sanitaria, alla selezione, al controllo e manutenzione delle gabbie, e per far questo abbiamo dovuto formare il nostro personale che per il particolare tipo di impianto si è dovuto specializzare ed “attrezzare” per l’ambiente aereo e quello subacqueo».
Un momento particolarmente applaudito è stato quando Franceschelli ha “recitato” le dettagliate specifiche riportate sull’etichetta che accompagnano i lotti dei pesci che escono dall’impianto. «Ma il vero plus dell’impianto — ha sottolineato l’amministratore di Ittica Golfo — si realizza nel momento della pesca e commercializzazione del prodotto perché, grazie a particolari attrezzature, siamo in grado di limitare la manipolazione del pescato, minimizzando stress e danni fisici dei pesci, e di procedere alla lavorazione immediata del prodotto con il ciclo di confezionamento e spedizione che si realizza entro un’ora dalla cattura. Siamo sostenitori della nuova linea economica che indica di acquistare prodotti a una distanza più vicina possibile al chilometro zero. Se tutti i nostri clienti risiedessero in Toscana, saremmo in grado di assicurare loro del pesce freschissimo in tavola. Non a caso il nostro mercato di riferimento, Unicoop Firenze, si trova a poche ore di distanza dal luogo di produzione».
A proposito di Unicoop Firenze, il microfono è passato a Carlo Calusi, category buyer dei prodotti ittici per questo gruppo della Grande Distribuzione che, da oltre un quarto di secolo, distribuisce pesci, molluschi e crostacei nelle sue pescherie dislocate in mezza Toscana. Calusi ha ricordato che l’impegno che Unicoop Firenze ha profuso a favore dei prodotti ittici ha interessato non solo il sistema distributivo ma, soprattutto, quello del reperimento dei prodotti, con la particolare attenzione ad individuare strutture in grado si assicurare eccellenti livelli di qualità certificati da protocolli produttivi attenti al prodotto, all’ambiente ed al lavoro delle persone, un’opera attenta e scrupolosa, tesa al perseguimento della qualità del venduto ed alla soddisfazione della clientela. «Tutti i prodotto della filiera ittica a marchio Coop — ha proseguito Calusi — hanno un valore aggiunto che i consumatori conoscono bene e, comunque, ben vengano incontri come questo, nei quali viene data l’occasione di avvicinare le persone alla cultura del pesce ed all’educazione al consumo per rendere il cliente più consapevole delle scelte che fa quando acquista i prodotti ittici».
Orate & vino
Sul fronte vino a scendere in campo è stata l’Azienda agricola Rigoli che, nel cuore della Val di Cornia, a Cafaggio, a metà strada tra i centri storici di Campiglia Marittima e Suvereto, produce diverse tipologie di vini Doc Val di Cornia e Igt Toscana. Quello proposto per le orate gustate durante la serata è stato un Vermentino in purezza: lo Stradivino. Nelusco Pini, titolare dell’azienda livornese, ha sottolineato le qualità di questo vitigno proveniente anticamente dalla Penisola iberica, ma trasmigrato e distribuito nell’area centro settentrionale dell’Italia delimitata da un compasso che fa centro nel Tirreno, interessando la Corsica, la Sardegna, la Liguria e la Toscana. E proprio cercando di esaltare le caratteristiche organolettiche di questo vitigno ha ottenuto Stradivino, un prodotto più fruttato e strutturato, molto più dei vitigni tradizionalmente presenti negli anni ‘60-‘70 come Trebbiano e Malvasia,particolarmente gradevole. Ma perché la scelta è caduta su questo vino e su questo vitigno? «Tendenzialmente la maggior parte dei bianchi si adatta bene al pesce» ha ricordato Pini. «Il criterio da seguire è che il vino non vada a coprire troppo il sapore del pesce; quindi si deve pensare ad un abbinamento il più possibile armonico. L’orata, ce lo dicono i test dei panel eseguiti su questa specie, ha delle carni “di carattere”, saporite, generalmente sapide e consistenti al morso. Quindi, quale vino potrebbe abbinarsi e contrastare cotanto temperamento meglio del Vermentino?».
Pini è anche un fervente sperimentatore, sempre alla ricerca di gusti e profumi che caratterizzino i suoi prodotti utilizzando inusuali vitigni come l’Ansonica. Magistro è un passito di Ansonica vinificato in purezza, previa appassimento dei grappoli per un paio di mesi in serra ventilata, che ha accarezzato piacevolmente e dolcemente i nostri palati al termine della cena.
Dalla coltura alla cultura
A trasportarci in un’atmosfera veramente speciale sono stati Marco Gamannossi, assessore alla Provincia per l’Assetto al Territorio, e Don Carlo Maurizi, parroco dell’Abbazia di Settimo di Scandicci. Siamo calati così nel Medioevo, quando alle porte di Firenze, nel territorio dei Conti Cadolingi, in quella terra di confine tra le aree sottomesse all’antica nobiltà feudale ghibellina e le nascenti e ricche casate orbitanti attorno al libero comune mercantile, fu istituito questo importante convento. Mille anni intessuti di misticismo, pellegrinaggi, commerci, lotte religiose, civili, sociali, ma anche di lavoro, cultura e organizzazione della vita in base alle regole stabilite dai monaci. Gamannossi, che ha studiato a fondo la storia, l’architettura e le preziosità artistiche contenute nell’Abbazia di Settimo, ha restituito ad una platea in attonito ascolto un’immagine del Medioevo tutt’altro che chiuso ed oscuro. Un periodo invece aperto ai collegamenti esterni ed alle novità che dai nuovi contatti e dai territori lontani potevano venire e per far questo la viabilità era molto importante e necessaria. Non a caso, l’abbazia si trovava a due passi dalla Via Francigena, collegata con mezza Europa, ma anche in riva all’Arno, una via fluviale completamente navigabile attraverso la quale arrivavano a Firenze tutte merci che a Settimo venivano stoccate, prima di essere portate in città. Un Arno inteso come soggetto attivo nei percorsi della vita quotidiana della gente, non solo un nome o un problema gestionale come lo è oggi.
Una risorsa da cui si ricavava anche il pesce, pescato nelle numerose “pescaie” gestite proprio da monaci dell’abbazia e distribuito sulle mense nei rigorosi e numerosi giorni di magra e non solo. «Così Firenze cresceva — ha aggiunto Don Maurizi — grazie alla sua pianura, al suo fiume ed alle molteplici attività che da e per il suo contado la arricchivano di nutrimento ed intelligenze. Oggi della Badia rimane solo un lontano ricordo di quello che è stata in passato, divisa com’è in una parte pubblica e una privata, abbandonata a se stessa, a seguito dello smembramento operato dal Granduca Pietro Leopoldo nel 1783 ed attende che siano disponibili risorse pubbliche per la riunificazione di questo immenso patrimonio per ridonarlo, integro, alla sua comunità».
Maurizio Dell’Agnello
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