Editore Arnaldo Forni (specializzato in ristampe di libri antichi), la ristampa di un libro tanto prezioso quanto introvabile. A cura di Giancarlo Roversi, con presentazione di Roberto Rabachino, introduzione e trascrizione di Bruno Armanno Armanni e postfazione di Vittorio Ubertone, si intitola Il confetturiere, l’alchimista, il cuciniere piemontese di Real Casa Savoia (Torino, 1854) e contiene cento ricette di cucina scritte intorno alla metà dell’Ottocento dall’astigiano Teofilo Barla che, sia pure per breve tempo, fu Maître Pâtissier et Confiseur dei re di Sardegna Carlo Alberto e Vittorio Emanuele II. Il libro è stato presentato nel mese di ottobre 2011 in occasione del 150º anniversario dell’Unità d’Italia ed è stato esemplato sull’originale poiché le sue condizioni di conservazione non hanno consentito la sua riproduzione anastatica. Le parti intelligibili sono state, pertanto, trascritte utilizzando dei caratteri tipografici simili per corpo a quelli impiegati per l’edizione ottocentesca, rispettando in tal modo la numerazione delle pagine e il loro formato originale (leggibile anche in internet). Ce ne aveva messo del tempo, Barla, per raggiungere la vetta del successo; ma fu rapido nel perderlo, anche a causa del suo carattere non proprio conciliante… Era nato ad Asti il 29 marzo 1796 nel quartiere di San Rocco, popolare e popoloso. Oltretutto, all’età di soli due anni, era rimasto orfano del padre, perito nel corso di una rissa scoppiata per presunte violazioni dei diritti di pesca sul fiume Tanaro che scorreva lì vicino.
La madre lo allevò con molto affetto, poi, quando il figlio ebbe quattordici anni, incontrò un ufficiale del genio militare, Filiberto Bodritti, inviato da Torino per progettare la destinazione d’uso a caserma del monastero di Sant’Anna e dei conventi del Carmine e di San Giuseppe, che sorgevano proprio nel quartiere dove abitavano. La donna si risposò e il nuovo “padre” si occupò attivamente del giovinetto sino al punto di fargli trovare un impiego niente meno che presso la Corte Reale con la qualifica di “guattero”. Questa qualifica non deve trarre in inganno, perché allora quel termine (“sguattero”) indicava un ruolo piuttosto ambito a corte, quello di “Aiutante” del “Capo di Cucina” della Casa Reale. Iniziò così la carriera culinaria di Teofilo Barla, che ricoprì questo incarico per ben 37 anni: dapprima sotto il regno di Vittorio Emanuele I, poi sotto quello di Carlo Felice e, infine, sotto quello di Carlo Alberto. Fu durante il regno di quest’ultimo, nel 1848, che a Teofilo capitò il colpo fortunato di tutta la vita: Carlo Alberto si entusiasmò tanto per una sua confettura da conferirgli l’incarico di Maître Pâtissier et Confiseur, ponendolo alle dirette dipendenze del Capo di Cucina Giovanni Vialardi, che a sua volta fu promosso Capo Cuoco e Pasticcere proprio per la ricetta ideata dal suo sottoposto.
Cominciò così il periodo più felice della vita di Teofilo Barla, che purtroppo però, come già accennato, durò per breve tempo poiché un brutto incidente, occorsogli nel 1851, lo fece cadere in disgrazia. Fu Vialardi a salvarlo dall’espulsione con ignominia dalle cucine reali dopo che nel castello di Garessio, al termine di una battuta di caccia condotta da Vittorio Emanuele II, Barla versò la sua “polenta alla moda della Valle d’Aosta”, bollente, sulle gambe di sette illustri commensali, dame e cavalieri. Ma a farlo cadere in disgrazia non era stato tanto l’incidente in sé e per sé, quanto il fatto che egli aveva particolarmente insistito per presentare questo piatto, con l’infausto risultato che già sappiamo. Non fu espulso, però venne ributtato immediatamente nel precedente rango di “guattero”. Per recuperare i favori perduti decise allora di pubblicare un trattato di cucina, Il Confetturiere, l’Alchimista, il Cuciniere piemontese di Real Casa Savoia, di cui l’Editore Forni ha appena pubblicato la ristampa. Dando fondo ai propri risparmi, Teofilo Barla convinse l’economo della Stamperia Reale a stampare un migliaio di copie “pirata”, suddividendo il lavoro, comprendente 100 ricette, in tre tomi, rispettivamente intitolati: Il Confetturiere piemontese di Real Casa Savoia ovverosia del modo di confettare frutti diversi in diverse maniere; L’Alchimista piemontese di Real Casa Savoia ovverosia del modo d’ottenere diversi elixir in diverse maniere; Il Cuciniere piemontese di Real Casa Savoia ovverosia del modo di cucinare diverse carni di terra, di aria e di acqua in diverse maniere seguito da il modo d’approntare quattro bianco mangiare in quattro diverse maniere.
Barla dedicò poi il libro a Sua Altezza Reale Vittorio Emanuele Maria Alberto Eugenio Ferdinando Tommaso di Savoia, Principe di Piemonte, Duca di Savoia, Re di Sardegna; in seconda battuta inserì anche la dedica al Capo Cuoco e Pasticcere di Real Casa Savoia, il già menzionato Giovanni Vialardi, suo superiore diretto. Costui, che Barla nel suo testo citò più volte in relazione a diverse ricette, nel frattempo si era ritirato a vita privata. Chissà, forse Teofilo sperava di riuscire ad ottenere il suo posto… Non fu così, anzi! Al povero Barla non solo non giunse nessun cenno di apprezzamento da parte del Sovrano, ma addirittura un centinaio di copie del libro, destinate dall’autore alla Biblioteca Reale, fu mandato al rogo, forse per sgomberare i locali da quello che evidentemente era ritenuto solo un “ingombro” senza alcun valore. Nessun segno di riscontro neppure da parte del pubblico, mentre intanto anche Vialardi, all’insaputa di Barla e pochi mesi prima di lui, aveva pubblicato il suo Trattato di Cucina, Pasticceria moderna, Credenza e relativa Confettureria, con oltre 2.000 ricette, che ottenne un grande successo e fu seguito da numerose ristampe (e può darsi che sia stato anche per questo che per altri trattati di cucina in quel periodo sembrò effettivamente non esserci posto dal punto di vista commerciale). Circa dieci anni dopo Vialardi pubblicò ancora e con ancora maggior successo: la sua Cucina borghese sem-plice ed economica ebbe tirature eccezionali per i tempi. Barla patì moltissimo, e del proprio insuccesso, e, forse, anche del successo dell’ex-collega-superiore-rivale. Il suo carattere, già non facile e non affabile, peggiorò al punto che egli venne allontanato dalle cucine reali. Ne resta una cruda testimonianza nel Regio Biglietto del 1865 che ci informa che “l’accidia e la superbia con le quali il guattero Barla, ammesso nel 1810 al Nostro Servizio, attende al disimpegno dei propri doveri, ha incontrato la Nostra riprovazione, eppertanto egli sia destinato quale stalliere di lettiera presso la Reale Nostra Palazzina di Stupinigi coll’annuo stipendio di lire trecentosessanta”. Proprio così: il povero Barla fu spedito nelle stalle reali, dove i profumi e gli aromi… erano ben altri!
Ma non era ancora finita: sette anni dopo, mentre sulle rive del fiume Sangone pescava di frodo (pesca probabilmente necessaria, dato il misero stipendio), fu scoperto, inseguito e catturato da due carabinieri reali. Fece allora quello che forse aveva fatto suo padre tanto tempo prima: ingaggiò una rissa sulla riva del fiume. E, proprio come il padre, questa rissa gli fu fatale. Secondo la cronaca del settimanale astigiano Il Cittadino, una delle due guardie, avendo perso l’equilibrio dopo essere inciampata in un arbusto, lo spinse senza volere in acqua, dove Barla morì affogato. L’articolo riportava anche che “con sommo stupore furono rinvenuti, tra i miserrimi beni del malandrino, molte centinaia, forse un migliaio di copie d’un identico libro di cucina a suo nome o d’un suo omonimo, in pessimo stato di conservazione e rosi dai ratti e dalle muffe, per cui la Gendarmeria reputò necessario dar loro le fiamme”.
Nunzia Manicardi
Per abbonarti a una nostra Rivista o acquistare la copia di un Annuario