Una piccola pecora sta cambiando il turismo di una valle altoatesina, un caso da manuale di come una filiera gastronomica, se ben orchestrata, possa mutare le sorti di una comunità rurale piuttosto isolata, lontana dalle grandi via di comunicazione. Il caso arriva dalla Val di Funes e lei, la principessa, è la Pecora dagli occhiali, Villnösser Brillenschaf nella “lingua” di una valle che è terra natale del famoso scalatore Reinhold Messner. Un cognome che “monopolizza” la piccola comunità di Funes e infatti un protagonista della storia è un altro Messner, di nome Oskar, lo chef del ristorante Pitzock e responsabile del Progetto Furchetta per lo sviluppo della filiera della Pecora dagli occhiali, i cui prodotti rientrano anche nel circuito Slow Food (pitzock.com). Dietro al progetto, sostenuto dal Fondo Sociale Europeo, troviamo due soci, Kurt Niederstätter e Stefan Unterkircher, i quali condividono l’obiettivo di sopravvivenza di questa razza ovina caratterizzata da una bella “montatura” nera sul mantello bianco intorno agli occhi e allevata da circa 50 contadini in tutto l’Alto Adige.
Il progetto nato nel 2009 due anni dopo è stato battezzato col presidio Slow Food, di cui Messner è responsabile di condotta per i prodotti ottenuti da questa razza ovina che fu incrociata nell’Ottocento con la Bergamasca e la Padovana, animali molto produttivi per la lana, materia prima grezza che era un’importante fonte economica in Val di Funes.
La Padovana sparì negli anni ‘60 con l’abbandono della lavorazione laniera ma ne ritroviamo tracce, appunto, nella Pecora con gli occhiali, una razza dalla carne tenera, fine, saporita, delicata e poco grassa, alimentata al pascolo con erba di montagna e in alpeggio d’estate, durante l’inverno in stalla con fieno autoprodotto. Una razza di montagna, leggera e agile, adatta al territorio di cui esistono in Trentino Alto Adige circa 3.000 capi, più un’ottantina della rara variante di Pecora con gli occhiali dal “mantello nero”, un tempo allevata per la lana utilizzata nella tessitura del loden.
Attraverso il Progetto Furchetta è garantito ai contadini della rete l’acquisto ad un prezzo equo di carne e lana. Dai 50 coltivatori (25 in Val di Funes) sono acquistati 400-500 agnelli l’anno, garantendo l’acquisto di tutto quanto intendono vendere come garanzia economica per mantenere l’allevamento (90-100 euro un agnello).
Sono per lo più agricoltori che fanno un altro lavoro, soltanto 5 masi vivono interamente delle loro attività e prodotti; piccoli e medi allevatori, con un range da 5 a 120 pecore a testa. Ad esempio l’allevatore Bernhard Profanter, nel suo maso Blosegg Hof, a San Pietro di Funes, alleva 65 pecore ma come primo impiego lavora in Autostrade per l’Italia: «è una passione che mi consente di mantenere vivo il maso, ma non potrei sopravvivere di solo allevamento», ci dice.
«Inizialmente — ci racconta Oskar Messner — come cuoco ero interessato prevalentemente alla carne degli agnelli ma ora stiamo sviluppando anche il settore della lana, con un progetto di formazione di tre signore del paese di Funes, le quali hanno ripreso a fare l’uncinetto e realizzano accessori d’abbigliamento a logo Furchetta, tra cui un berretto misto di lana bianca e nera. La lana è inoltre venduta a un prezzo concordato ed equo all’azienda di abbigliamento tecnologico Saleva, di Bolzano, che la utilizza per i rivestimenti interni dei suoi capi da montagna e tecnico sportivi» puntualizza Messner. Così i 50 allevatori riescono a vendere circa una tonnellata di lana l’anno, che prima andava invece in smaltimento come rifiuto speciale e per di più a pagamento... «Quando acquistiamo i capi indichiamo in scontrino il prezzo per la carne e quello della lana, per dare valore anche alla seconda».
Poi, ovviamente, c’è la cucina. La tenera carne dell’agnello con gli occhiali è protagonista di tanti piatti al ristorante Pitzock, ad esempio del ragù e dello stinco con risotto alle erbe aromatiche. Lo chef utilizza solo agnello perché la pecora adulta ha sapore selvatico; era infatti una razza da lana.
La stessa materia prima è poi usata da Messner per farne insaccati artigianali — salame e Affumelli, dei salamini affumicati — a partire da carni miste (65% agnello, 30% vacca Grigia alpina). Gli agnelli sono portati al macello di Bressanone e la carne è trasformata in salumi da un macellaio. Sono venduti in una coop svizzera e in alcuni negozi in Val di Funes, oltre che al ristorante. La carne è distribuita anche ad altri chef e cucine stellate dell’Alto Adige. «Col progetto non ci abbiamo guadagnato, però abbiamo coperto i costi d’investimento — sottolinea Oskar Messner — ma siamo contenti, è molto più che vendere un prodotto, ormai la pecora è diventata un elemento d’attrazione turistica e gastronomica, c’è gente che viene qui con l’idea di assaggiare i piatti. E anche il nostro ristorante va meglio».
Massimiliano Rella
Nota
Photo © Massimiliano Rella.
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