Nel corso della prima ondata pandemica da Covid-19 i cittadini britannici si sono riscoperti, come non accadeva da decenni, cuochi fantasiosi e attenti alla preparazione dei pasti, supportati in ciò, oltre che dalle nonne, anche da giornali, riviste e siti web tutti orientati a prodigare consigli su ricette tradizionali, salutistiche, etniche o alla moda; per alcuni è stato un vero e proprio cimentarsi in questa attività che, ad osservare le statistiche, sembra ben poco diffusa nella popolazione, a livello europeo quella che maggiormente acquista cibi pronti e destinati ad una minima preparazione casalinga come il riscaldamento in forno o nel microonde.
Valore superiore al periodo pre-pandemico e volumi in rialzo, qualità e origine nazionale trainano gli acquisti
Le vendite al dettaglio nel Regno Unito sono ormai ritornate sui livelli pre-pandemici e tra le varie categorie di alimenti le carni rosse stanno vivendo un momento favorevole, con valori annuali medi superiori del 4,5% comparati a quelli registrati nel 2019; puntualmente l’aumento in volume tra l’ultima settimana di dicembre 2019 e l’ultima di dicembre 2021 è stato del 3,9%, passando da 617.192 a 641.513 tonnellate nonostante il prezzo medio nel medesimo biennio sia aumentato del 5,5% passando da 6,65 a 7,04 sterline al chilogrammo (fonti: Kantar, AHDB). Il patrimonio bovino di età superiore ai 12 mesi allevato sul territorio nazionale è calato dell’1% tra ottobre 2020 e ottobre 2021 ed il prezzo dei capi vivi da macello è balzato a 235 pence al chilogrammo, in aumento di 32 pence (+15,8%) rispetto a fine 2020 e di 44 pence (+23%) sulla media dell’ultimo quinquennio.
I produttori locali riuniti nella British Meat Processors Association puntano sulla produzione interna, per andare ad erodere il 25% del fabbisogno nazionale che è stato storicamente coperto negli anni recenti dalle importazioni, tipicamente da Irlanda e Francia, e che la Brexit con le conseguenti pratiche doganali e tariffarie ha reso oggettivamente più complicate. Già alcune catene della Grande Distribuzione offrono in vendita solo bovino proveniente dagli allevamenti del Regno Unito. Secondo la ricerca della società Kantar, sono cresciute di più le carni di qualità superiore (premium) rispetto a quelle ordinarie: nel periodo giugno 2020 – giugno 2021 le prime hanno visto un balzo in avanti negli acquisti domestici del 15% in valore e del 12% in volume, le seconde del 7% e del 5%; sebbene crescano più del resto della categoria, le carni di qualità superiore costituiscono tuttavia una quota ridotta (attorno al 9%) del mercato mentre le carni ordinarie rappresentano circa il 70% dei volumi, con la rimanenza detenuta dalle carni a marchio del produttore (14%) e dalle preparazioni ad alto valore aggiunto (6% ma in calo nell’ultimo anno).
Promozioni mirate da parte della Grande Distribuzione Organizzata hanno attirato consumatori nella fascia di alto livello ed alcuni sono destinati a rimanervi. Un sondaggio tra i consumatori condotto a maggio del 2021 mostra infatti che per il 17% di chi effettua gli acquisti la qualità è diventata un aspetto più importante rispetto al periodo pre-pandemico, mentre solo il 5% dichiarava che era meno significativa nel guidare le scelte di acquisto. Lo stesso sondaggio ha rivelato che i cinque fattori principali nella scelta di carni di alta qualità sono l’origine nazionale (45% degli intervistati), il colore e la quantità visiva di grasso (entrambe importanti per il 42%), le garanzie di qualità come le certificazioni (41%), l’allevamento all’aperto (38%).
Scende il settore del fuoricasa ma si impennano asporto e consegna a domicilio
Le carni bovine consumate — o meglio preparate — fuoricasa hanno visto un declino del 3,3% tra settembre 2020 e settembre 2021, tuttavia con grandi differenze: ristoranti ed altre tipologie di consumo rapido (chioschi, fast food) hanno visto un calo del 43% per un volume complessivo stimato in 28.908 tonnellate, al contrario il cibo destinato al consumo casalingo o in ufficio (si tratti di asporto o di consegna a domicilio) ha goduto di un’impennata del 71% a toccare le 46.232 tonnellate stimate. A soffrire sono stati soprattutto i pasti a base di carne come elemento principale (bistecche, costate, arrosti, costine) scesi di oltre 6 milioni di unità, seguiti dai piatti italiani (–1,7 milioni di unità), dai panini (–500.000 unità) e dai piatti messicani (–200.000 unità); al contrario sono saliti gli hamburger (+4,9 milioni di unità), i piatti asiatici (+1,4 milioni di unità) e la pasticceria salata (+300.000 unità).
Roberto Villa
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