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Il pollo Brianzolo razzola ancora

of Villa R.


Storia e legame con il territorio
L’origine di questo pollo è piuttosto recente, poco più di un secolo. Nelle campagne a Nord e a Nord-Est di Milano fino al fiume Adda era tipico per le famiglie rurali avere un piccolo appezzamento di terreno coltivato a cereali e a foraggere, in grado di mantenere una o due vacche da latte e un maiale oltre a qualche animale da bassa corte (oche, galline ovaiole, tacchini). Accanto a queste attività più tradizionali e votate alla sussistenza del nucleo familiare ed al piccolo baratto di paese, nel corso degli anni si era sviluppato un sistema che potremmo definire proto-industriale per l’allevamento dei polli da carne, di una popolazione selezionata localmente che era conosciuta come pollo Brianzolo. Nella realtà, secondo le ricerche condotte qualche anno addietro dal professor Carlo Fracanzani1, le uova venivano raccolte nel mese di novembre nel territorio circostante, con preferenza per quelle a guscio bianco e fatte covare dalle tacchine. La schiusa delle uova avveniva in dicembre, durante la stagione invernale i pulcini erano tenuti nella stalla, coperti con stracci di lana all’interno di casse in legno anche su più strati e nutriti dapprima con mollica di pane inzuppata nell’acqua (talora anche nel vino) poi con farina di mais impastata con latte o siero.
Non appena sbocciava la primavera, i polletti venivano portati in apposite gabbie collocate nel prato o nella vigna, dove potevano cibarsi di vermi, lumache e semi.
Se i primi pollastri erano già pronti in aprile per la Pasqua, l’allevamento proseguiva sino alla macellazione intorno a 6/7 mesi di vita; i mercati di destinazione erano quelli dei centri minori e maggiori della Brianza, dai quali in parte venivano venduti al mercato della grande Milano e qualcuno addirittura esportato.
Sulla piazza di Milano negli anni ‘50 e inizio ‘60 del Novecento i polli Brianzoli erano molto apprezzati tanto da spuntare sino a 300-350 lire in più al chilogrammo rispetto ad altre razze di polli. Ma già un trentennio prima Gonin, esperto di avicoltura, in una sua lettera presente all’interno del trattato “Pagine sparse di Avicoltura”2 descrive questa razza narrando che in Lombardia, e più precisamente nella zona della Brianza, era presente una razza che godeva di un certo credito, tanto che sul mercato milanese i polli Brianzoli spuntavano un valore commerciale nettamente superiore. Negli anni Cinquanta era talmente assurto a fama tanto da dare il nome ad una raccolta di poesie dialettali3.
Questo metodo d’allevamento (detto metodo Brianzolo o metodo Milanese) permetteva di ottenere produzioni che superavano, in qualità, i polli toscani e quelli romagnoli.
Nella descrizione del Gonin i capi vengono riportati con caratteristiche molto simili a due pregiate razze belghe (Braekel, Campine), ossia con cresta semplice, orecchione bianco, tarsi scuri e livrea fittamente barrata in tutto il corpo tranne che sulla testa e sul collo, che risulta di colore bianco argenteo.
La razza Brianzola, seppur non supportata da ulteriori citazioni bibliografiche, si può supporre imparentata al ceppo di razza Romagnola e presenta punti di contatto a livello morfologico con la Bresse Grigia e con l’Herginies dei francesi4. In realtà, visto il metodo di allevamento sopra descritto, si trattava di una popolazione più che di una vera e propria razza in senso stretto.

Il progetto Brianpollo e il rilancio
Nel 2010 alcuni ricercatori della Facoltà di Veterinaria dell’Università di Milano hanno dato avvio al progetto Brianpollo per il recupero del pollo brianzolo5. Il programma, finanziato dalla regione Lombardia, ha fatto uso come gran parentali delle razze Livornese e New Hampshire dalle quali selezionare e fissare i caratteri tipici del brianzolo. Fra le caratteristiche fondamentali ricercate, oltre a quelle fenotipiche, una sufficiente rusticità che abbinata ad una crescita lenta ne favorisse l’attitudine all’allevamento all’aperto.
Sono state inizialmente selezionate sei famiglie di gran parentali, ciascuna formata da un maschio di Livornese Bianca e due femmine di New Hampshire, allevando le successive sei generazioni per ottenere la razza Brianzolo. I risultati della selezione fenotipica hanno consentito di standardizzare alcune caratteristiche come la cresta, la taglia e il colore del piumaggio.
Dal processo di ibridazione è stata ottenuta una razza a lento accrescimento — peso medio del maschio a 6 mesi = 2350 g; IMG (incremento ponderale medio giornaliero) = 13,5 g/d; I.C.A. = 2,3-2,5 — e di buona rusticità, idonea a razzolare nelle aie e nei prati. L’incremento medio settimanale di 94,5 grammi è comparabile con altre razze locali6.
La carne è magra e ricca in ferro in virtù dell’allevamento completamente all’aperto. La femmina produce un uovo dal guscio color bianco panna, di 58/60 g. L’allevamento del pollo Brianzolo è dunque interessante sia per la produzione di uova che di carne.
Lo scopo ultimo è stato il completo recupero ad uso commerciale di questa razza tradizionale, che contribuirà ad aumentare la biodiversità e risponderà alle esigenze dei consumatori per una produzione sostenibile (“km 0”) e nutrizionalmente più ricca in oligoelementi, vitamine liposolubili e acidi grassi polinsaturi.


Roberto Villa



Note

Fracanzani C. (1984), Allevamento familiare degli animali da cortile, Edagricole, Bologna.
Pascal T. (1925), Pagine sparse di Avicoltura, Battiato F. Editore, Catania.
All’insegna del pollo brianzolo: canzoniere di poeti vernacoli, Tip. F.lli Lorini, Erba, 1959.
Périquet J.C. (1994), Le grand livre des Volailles de France, Rustica Editions, Parigi.
Pollo Brianzolo: una nuova razza di antica tradizione, sintesi in air.unimi.it/handle/2434/237269
Secondo Spagnoli E. (Tesi di laurea: Indicatori produttivi, fisiologici e comportamentali in razze avicole italiane, Università degli studi di Milano, Dipartimento di Scienze Animali, Sezione di Zootecnica Veterinaria, corso di laurea magistrale in Scienze e Tecnologie delle Produzioni Animali, Milano 2008), l’incremento ponderale medio settimanale è stato di 102,63 g per la Bionda piemontese e di 101,45 g per la Valdarnese bianca, due razze tradizionali a lento accrescimento.



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