Guineafowl, Nu Guinea, Nu Genea. Tre nomi che sembrano legarsi, che letti in sequenza mostrano come le parole possano evocare storie e raccontarne di nuove, anche in luogo di associazioni che al principio appaiono inconciliabili. Guineafowl è la faraona in lingua inglese, Nu Guinea era il nome di un duo napoletano (che adesso si chiama Nu Genea, ma di questo parliamo dopo), la Guinea uno Stato dell’Africa Occidentale: da questo continente ha origine la faraona.
In ragione della sua prelibatezza è stata importata in Europa, Medio Oriente e infine in America sia come animale da allevamento che da selvaggina. Ha abitudini alimentari praticamente identiche al pollo, ma per una migliore qualità delle carni è preferibile sia lasciata libera.
Le razze più comuni per l’allevamento da carne sono la Grigia (sia comune che dissimile) e la Paonata o Violetta. In entrambe il maschio è mediamente più piccolo e leggero (di circa mezzo chilo) della femmina. Altre razze sono la Bianca selezione tedesca, la Azzurra Ghigi, la Bluetta o Blu Lavanda, la Camosciata, la Fulvetta, la Lilla, la Bianca Albina, la Pezzata, la Volturina, la Mosaico e la Isabella.
La faraona fa parte della categoria delle carni bianche ma, rispetto ai più comuni pollo e tacchino, ha colore scuro, è molto consistente e ha un sapore pieno e concentrato. Molto magra e ricca di proteine, è perfetta per una dieta equilibrata, fornendo un abbinamento non scontato tra gusto e leggerezza.
Dal punto di vista nutrizionale, la carne di faraona è ricca di proteine magre, fondamentali per la crescita e il mantenimento del tessuto muscolare. Contiene anche vitamine del Gruppo B, come B6 e B12, essenziali per diverse funzioni corporee, inclusa la produzione di energia. Inoltre, fornisce minerali come ferro, zinco e fosforo, contribuendo al mantenimento della salute ossea e al corretto funzionamento del sistema immunitario.
Dal punto di vista culinario, si presta ad una vasta gamma di preparazioni. Grazie al suo sapore delicato, può essere cucinata in modi diversi, dalla semplice grigliatura alla cottura in umido con erbe aromatiche, accompagnata da contorni leggeri come verdure a vapore o insalate, evidenziandone il gusto senza appesantire il piatto.
La crescente attenzione verso scelte alimentari più salutari ha portato la faraona a diventare sempre più popolare sulle tavole di chi cerca opzioni proteiche magre. Tuttavia, potrebbe non essere facilmente reperibile in tutti i mercati.
Passando alla musica, ma sempre parlando di pennuti, sulla copertina del disco “Nuova Napoli” è raffigurata una gazza ladra con la maschera di Pulcinella che (in quanto ladra) ruba un tamburello per portarlo all’ombra del Vesuvio. Ma due volatili ci sono anche a formare il logo dell’etichetta, la NG Records: un gabbiano e un uccello del paradiso, a rappresentare l’incontro tra il Mediterraneo e l’esotico internazionale. Un incontro, non un dualismo.
Il disco uscì come il precedente “The Tony Allen Experiments” a firma Nu Guinea, ma prima dell’album successivo, “Bar Mediterraneo”, il duo partenopeo di stanza a Berlino cambiò nome diventando Nu Genea: “Con riferimento alla parola greca ‘γενέα’ (genéa), che significa ‘nascita’, Nu Genea vuole significare una nuova nascita nella nostra coscienza, nonché un nome che riflette più direttamente il concetto della nostra musica, ovvero miscelare stili e sonorità, che nel corso della storia hanno toccato il Golfo di Napoli, e dare loro una nuova nascita. Questa leggera modifica di lettere ha cambiato considerevolmente il significato e ci riconcilia all’obiettivo primario che si prefigge la nostra musica”.
Lucio Aquilina e Massimo Di Lena sono a Berlino dal 2014 ma pensano a Napoli. Lo fanno anche nei lavori precedenti, facendola muovere tra le pieghe di fusion e jazz funk, ma è in maniera esplicita che accade con “Nuova Napoli”, in cui si manifesta un intreccio tanto fluido quanto concreto tra rappresentazione e realtà.
L’idea della rinascita è strutturale nella città, si esplicita anche nel suo nome, “Neapolis”, quindi si ricorre alla spinta di chi già l’aveva rinnovata tra gli anni ‘70 e ‘80, attraverso quella wave mossa da Napoli Centrale e i mille progetti ad essa collegati e quella Prog che va dagli Osanna al primo Alan Sorrenti.
Una multiculturalità che si scambia tra musica e quotidianità, sempre contemporanea. Così si fonde nell’omonimo brano che apre il disco: funk al rallentatore imbevuto di psichedelia, il risveglio da un’esperienza piena di immaginazione e realtà. La poesia di Eduardo De Filippo “Je vulesse truvà pace” si anima con la voce di Fabiana Martone, attraverso il funk devastante nel giro di basso e intriso di arabeschi sotto forma di synth. Je Vulesse è il singolo che si diffonde a macchia d’olio con la forza di un manifesto. Pochi brani, compresi quelli del successivo “Bar Mediterraneo” del 2022, hanno la capacità di identificare e rappresentare questo progetto.
Il viaggio tra i vicoli di Napoli prosegue nei Quartieri Spagnoli con Ddoje Facce, latina e seducente, deep house soffiata dalle linee tracciate del sax di Pietro Santangelo.
Si chiude il lato A scendendo verso il mare con Disco Sole, un brano che si sviluppa in più sezioni: comincia al ritmo percussivo a tinte brasileire, poi la chitarra accennata da Marcello Giannini si sviluppa fino a diventare corposa jam grazie ad ulteriori elementi melodici, che irrompono attraverso il gioco tra la voce in falsetto della Martone e le tastiere di Di Lena.
Geometrica e spaziale attraversata di groove, Stann Fore è disco-funk che si esalta in un ritornello contagioso e indelebile.
Si rallenta di ritmo, ma non di intensità con A Voce ’E Napule. È voci di scugnizzo che sbucano dalla strada, un intreccio morriconeiano su cui cresce un mantra “Siente comm’è doce ’a voce ’e Napule / Siente comme abbrucia ’o core a Napule”: la città parla dal basso e sale, attraverso un coro sussurrato come da una sola persona.
La chiusura del disco è speciale per due motivi. Perché è una cover, una rivisitazione di “Mr. Business”, brano del 1976 dei francesi Édition Spéciale, e perché parla del passato ma guardando al futuro, incarnando perfettamente il senso di “Nuova Napoli” chiudendo il cerchio… o, meglio, facendolo girare! La versione dei Nu Genea è musicalmente più pulita dell’originale, mantenendo lo stesso groove ma colorandolo di Sud.
Parev’ Ajere è sì nostalgia dell’infanzia prima e dell’adolescenza poi, ma nessuno vuole dimenticare. Retro synth e percussioni su cui ballare sono qui, adesso, e rinascere fa parte di Napoli: “A verità è che si cresciuto che ce vuo fa’ / Sientete nu poco ’e funk e nun ce penzà”.
Giovanni Papalato
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