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Analisi del food

Salumeria equina

of Ballarini G.


Non vi è carne di animale che l’uomo non mangi o non abbia mangiato e che al tempo stesso non sia stata oggetto di tabù, divenendo alimento permesso o proibito secondo le diverse società umane, con modulazioni che comprendono caste e classi sociali.
Il consumo alimentare di carni equine è stato oggetto di proibizioni in gran parte dipendenti dall’uso di questi animali come mezzi di lavoro, in guerra e in pace, nonché di prescrizioni di tipo religioso. Papa Gregorio III (731-741) vieta ai cristiani di mangiare carne di cavallo, definita, in una lettera scritta a Wynfrith Bonifacio nel 732, in risposta a vari quesiti del missionario sull’evangelizzazione dei popoli del Nord Europa, un cibo immundum et execrabile e chi l’avesse mangiata avrebbe dovuto fare penitenza perché il suo consumo ha connotazioni pagane. Anche Papa Zaccaria (741-752), suo successore, ne conferma la proibizione, assieme a quella del castoro.
La carne di equidi è tuttora vietata dalla religione ebraica, mentre nell’Islam è solo sconsigliata, più per una questione di rispetto verso l’animale, ma con l’eccezione dell’asino domestico, vietato perché considerato una risorsa per la comunità. Nelle società industrializzate ottocentesche cade ogni tabù per la carne equina di animali a fine carriera, destinati soprattutto ai ceti più poveri, mentre nei ceti più ricchi, che col cavallo hanno un rapporto affettivo, si mantiene e si accentua l’avversione a mangiare le carni di un animale divenuto familiare.

Caratteristiche della carne
La carne di cavallo è piuttosto magra, con 5 grammi di grasso per etto, e di sapore dolciastro caratteristico, perché negli animali macellati a riposo è ricca di glicogeno, che manca negli animali stressati. Altra peculiarità è il contenuto in ferro e la facilità di assorbimento di quest’ultimo da parte del nostro organismo. Nella carne equina il ferro è presente in quantità più che doppia rispetto alla carne bovina e più che tripla rispetto a quella di pollo e tacchino, mentre la presenza di colesterolo è sovrapponibile alla quantità contenuta in altre carni magre come pollo e bovino. Il poco grasso di copertura presente risulta per di più facilmente individuabile e, in genere, è eliminato in fase di lavorazione, a tutto vantaggio della digeribilità. Le fibre del muscolo degli equini sono tenere dal momento che il glicogeno accelera la frollatura della carne dove è presente acido lattico in quantità doppia o tripla rispetto alla carne bovina, a tutto vantaggio di un’efficace difesa antibatterica.
Nel passato la carne degli equini era socialmente e economicamente conveniente solo quando gli animali non erano più utilizzabili o vecchi o giunti a morte per incidenti o nel corso di battaglie. In questi casi era utile mettere in pratica metodi di conservazione delle carni applicando le tecniche sviluppate per altri animali e quindi trasformarle in bresaole, salami o altre preparazioni salumiere di cui in Italia abbiamo molte solide tradizioni oggi oggetto di studio e soprattutto di recupero. La produzione di salumi con carne equina deve tenere conto delle sue caratteristiche e soprattutto della sua magrezza, per cui nel passato veniva aggiunto grasso suino o carni di bovino e grasso suino. Quando un tempo si usavano carni di animali anziani e stressati, povere di glucosio, si aggiungevano zuccheri per facilitare le fermentazioni di maturazione.
Non sempre facili da trovare, i salumi di carne equina sono un pezzo di storia della nostra alimentazione e un modo in cui in passato si conservava la carne a disposizione, quella di cavalli e asini da lavoro arrivati a fine vita, ma oggi la tradizione è portata avanti da intelligenti e coraggiosi artigiani non di rado sostenuti dai presidi Slow Food.

Salumi speciali
Ancora poco indagata e nota è la storia della salumeria equina nei suoi rapporti con quella di altri animali. Da rilevare sono ad esempio i maggiori rapporti intrattenuti con la salumeria dei ruminanti selvatici e domestici più che con quella dei suini, pur avendo da quest’ultima preso o imitato tecniche di lavorazione e conservazione di antichissima data e con un particolare sviluppo nel Basso Medioevo. Inoltre, se la salumeria suina ha un’origine e sviluppo soprattutto stagionale e contadino con i norcini nell’Italia centrale e i mazèn nell’Italia settentrionale, la salumeria dei ruminanti ha una origine nell’ambiente della caccia e poi si sviluppa nei macelli e la salumeria equina si sviluppa soprattutto in ambiente urbano nelle macellerie. Errato è quindi usare i termini di norcineria e di norcino parlando di salumeria equina.
Lo sviluppo della salumeria equina, pur avendo radici precedenti, avviene soprattutto nel periodo ottocentesco quando vi è un grande sviluppo dei trasporti ippici e nelle macellerie urbane, con tecniche di conservazione salumiere grazie alle quali si utilizzano parti degli animali che mal si prestano alla cucina o residuano dalle vendite e soprattutto si producono salami equini che non hanno precisi rapporti territoriali, come invece avviene per analoghi prodotti salumieri suini.

Carne di cavallo nei salumi italiani
Nel passato i salami erano legati con una sottile corda, tanto che vi era il detto “legato come un salame”, e nella parte terminale avevano un piombino che ne identificava il produttore ma con una sigla che indicava con quale carne era stato prodotto: S per suino, B per bovino, E per equino e con le diverse combinazioni SB, SE, SBE, BE. In generale i salami di equino erano i meno pregiati. Ora i salumi di cavallo sono apprezzati in diverse regioni italiane e la carne con la quale sono preparati è soggetta a particolari normative. La Legge n. 200 del 1o agosto 2003, successivamente regolamentata dai DM 5 maggio 2006 e 9 ottobre 2007 del MIPAAF, impone l’obbligo di microchip e passaporto di identificazione per ogni cavallo, dal quale deve risultare la destinazione finale dell’animale, in base alle sigle DPA (Destinato alla Produzione di Alimenti per consumo umano) e NON DPA, con la quale l’animale è escluso dalla filiera alimentare vita natural durante in maniera irreversibile. È il caso, ad esempio, dei purosangue da competizione, trattati ad alte dosi con farmaci di conclamata pericolosità per l’uomo e dunque incompatibili con le normative in materia di sicurezza alimentare. Solo una parte dei cavalli quindi arriva al macello e se si considera che per diversi motivi il numero di cavalli allevati in Italia è in calo, si comprende come vi sia una corrispettiva sensibile diminuzione della carne di cavallo che si associa ad una riduzione dei suoi consumi.

Bresaola e slinzega
La salumeria equina si è sviluppata soprattutto nell’Italia settentrionale con la produzione di salumi che spesso ricalcano le tipologie preparate con carni di altri animali e tipico è il caso della bresaola e della slinzega.
La bresaola di cavallo è una produzione tipica della Lombardia e del Veneto. In Lombardia l’area di produzione comprende i confinanti territori della Valchiavenna e della Valtellina in provincia di Sondrio, dove si produce la bresaola di bovino e di altri ruminanti. In Veneto è prodotta in diversi comuni delle province di Padova, Venezia e Treviso nei piccoli centri di Saonara, Piove di Sacco e Vigonovo. I tagli di carne utilizzati sono di prima scelta, di solito fesa, sottofesa, noce o lombata. La carne è trattata con sale, pepe e spezie e stagionata in modo analogo alla bresaola di altri animali per un tempo che varia anche con la dimensione.
La slinzega è prodotta nelle stesse zone della bresaola, di cui è considerata la sorella minore, e preparata con i ritagli della sua produzione o con altri muscoli di piccole dimensioni del posteriore, della spalla, del collo o della testa (masseteri o ganassini) del cavallo. Anche la lavorazione è simile a quella della bresaola

Salame e soppressa
Salame e soppressa di cavallo sono salumi tradizionali di Lombardia, Piemonte e Veneto (province di Padova, Rovigo, Venezia e Treviso) nei quali si utilizza carne di cavallo (coscia e collo ma anche spalla, pancetta e gola) con aggiunta di pancetta suina. Nel salame la percentuale di pancetta è del 20% e l’impasto è tritato fine, mentre nella soppressa la pancetta di maiale sale al 35% e l’impasto è tritato a grana media. La concia è costituita da sale, pepe intero e macinato, noce moscata, aglio e vino bianco o rosso e l’insacco avviene in budello bovino naturale o sintetico. La stagionatura varia a seconda della pezzatura, dai 2/3 mesi per il salame ai 6/7 mesi per la soppressa.
Anche nel Piemonte, dove la produzione di salumi di cavallo è sempre più rara e limitata, soprattutto all’Astigiano e al Novarese, il salame di cavallo si ottiene da un 70/80% di carne di prima scelta (coscia e collo in particolare) macinata a grana media e con aggiunta di un 20/30% di pancetta suina tritata grossolanamente. Concia con sale, pepe intero e macinato, noce moscata, aglio e un goccio di vino, bianco o rosso secondo la zona.
Il salame d’asino è tipico della provincia nord-occidentale di Vicenza ed è prodotto usando animali di razza locale detti Furlani allevati intorno a Valdagno, un tempo usati per la soma e oggi allevati per la carne. Nella produzione del salame d’asino si usano carni magre con aggiunta di pancetta o lardo suino. L’impasto è costituito per il 60% da carne d’asino fatta macerare nel vino rosso e per il 40% da pancetta di maiale, il tutto conciato con sale, noce moscata, pepe e cannella. Insaccato e asciugato, il salame è stagionato per 2/3 mesi. Si mangia crudo o cotto in tegame o alla griglia. Fuori d’Italia erano detti mangiatori d’asini gli abitanti della Slesia e la tradizione dell’Eselwurst, tradizionale salame di asino, nell’Ottocento si diffonde in Germania, Ungheria e Francia, in Provenza soprattutto, dove, come riporta la History of Food di Maguelonne Toussaint-Samat, si mantiene fino allo scoppio della seconda guerra mondiale. Ad Arles ancor oggi tradizionale è una salsiccia di carne d’asino e bovino.

Cacciatorini
Hanno le stesse dimensioni di quelli di maiale o di maiale e bovino, sono tradizionali della Valtellina e della Valchiavenna e probabilmente nascono per utilizzate gli avanzi della produzione delle più pregiate bresaole e slinzeghe di cavallo. Sono costituiti dalle rifilature delle cosce o delle parti anteriori dell’animale (70%), con l’aggiunta di pancetta e lardo suino (30%) e una concia di sale, pepe e droghe naturali. Insaccati in un budello di maiale, i cacciatorini sono maturare per 24 ore e poi stagionati da 2/3 settimane fino a due mesi.

Luganiga e coppa
In Trentino Alto Adige esiste una luganiga o salsiccia di cavallo nella quale la carne è finemente macinata, condita con sale, pepe, peperoncino e spezie e insaccata in budello di maiale. Dai muscoli del collo di cavallo in Trentino Alto Adige si ricava una coppa di cavallo insaccata in budello naturale.

Speck
In Trentino Alto Adige la coscia disossata del cavallo è salata, massaggiata, aromatizzata e affumicata in modo analogo a quanto avviene per la coscia di maiale. Il periodo di stagionatura dello speck di cavallo va dai 4 ai 5 mesi.

Salumi di cavallo affumicati
Per la produzione della carne di cavallo affumicata — che veniva prodotta a Rovereto, Trento, in quantità limitata, da un’unica macelleria, la Macelleria equina Zenatti, chiusa nel 2020 — si usano la fesa, il girello o le parti anteriori del cavallo; dopo un periodo di salagione e aromatizzazione con aglio, ginepro, erbe romantiche e spezie si pratica un’affumicatura a caldo.
Nel territorio di Padova si producono gli sfilacci di cavallo, sottili fette di carne magra della coscia di cavallo tenute sotto sale per due settimane e affumicate appese al camino per circa un mese. Una volta asciutte e dure si battono con un martello e si sfilano in piccoli tranci, da cui la denominazione.

Coppiette
Nell’alto Lazio le coppiette di cavallo sono striscioline di carne essiccata condita con peperoncino, erbe e spezie secondo un antico metodo di conservazione di parti magre di carne di cavallo, bue, manzo, maiale o asino. Le strisce di carne magra lunghe 10/15 cm e larghe circa un centimetro sono marinate con sale, pepe macinato, peperoncino, semi di finocchio e rosmarino, poi cotte una prima volta per 30 minuti in forno e dopo riposo nuovamente cotte per 20 minuti. Essiccate, le coppiette sono stagionate per circa due mesi.

Bale d’aso o palle d’asino
Le bale d’aso sono un insaccato tondeggiante della famiglia dei cotechini che pare nato a Monastero di Vasco, vicino a Mondovì (CN). Denominate anche bal ‘d luc, fino a qualche anno fa erano prodotte solo con carne d’asino mentre oggi è aggiunta anche carne suina o bovina, il tutto condito con sale, pepe e noce moscata. Si consumano bollite.
Nonostante la denominazione di coglioni di mulo, il salume di Campotosto (L’Aquila) è una mortadella di carne suina (Mortadella di Campotosto) che trova la sua denominazione popolare nella forma e non nel tipo di carne con la quale è preparata.

Mortadella d’asino
Ampiamente discussa è la presenza nel passato di carne di asino e altri animali diversi dal maiale nella produzione della mortadella di Bologna. Oggi una Mortadella di asino è preparata a Chiaramonte Gulfi in Sicilia con le carni dell’asino Ragusano e a Montebaducco di Quattro Castella (Reggio Emilia).


Prof. Em. Giovanni Ballarini
Università degli Studi di Parma



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