Il termine maccheroni nell’uso internazionale indica genericamente la pasta alimentare ottenuta mescolando semola di grano duro e acqua ed è (o, per meglio dire, era in passato) sinonimo di pastasciutta, tipico piatto italiano. In Italia il termine non è generico e indica determinati formati di pasta diversi nelle varie regioni: può quindi riferirsi a pasta corta o lunga, di semola di grano duro o all’uovo, e questa confusione o sovrapposizione lessicale deriva dalla loro origine. Per fare alcuni esempi i maccheroni con scanalature sulla superficie esterna sono chiamati rigatoni (scanalature longitudinali) o tortiglioni (scanalature a spirale), se di forma arcuata si usano termini di sedani o sedanini o di lumaconi se i pezzi sono piuttosto larghi e con curvatura particolarmente accentuata.
Etimologia incerta
La parola maccherone nasce in Italia meridionale e più precisamente in Campania dove il soprannome Mackarone è attestato a Cava de’ Tirreni nel 1041 e sembra avere più origini. Nel greco bizantino μακαρώνεια, makarṓnia, e μακάριος, makários, significano “beato” e i maccheroni sarebbero stati il principale componente del pasto servito durante i funerali. Nel greco μαχαρία, macharía è una zuppa d’orzo da cui sarebbero derivati i maccheroni per aggiunta del suffisso –one, e nel greco antico μακρόν (macrón) significa lungo o grosso derivante dall’indoeuropeo *mak (lungo, allungato) che potrebbe descrivere la forma del maccherone. Maccherone potrebbe anche derivare da macco, antica polenta di fave, termine di incrocio tra quello di makka e latino maccus.
Nell’antica Roma vi era anche la Fabula Atellana con il personaggio di Maccus (il ghiottone sciocco, balordo e continuamente preso in giro, sbeffeggiato. Molti studiosi identificano questo personaggio come il progenitore della più popolare maschera partenopea Pulcinella, NdR) che, in tempi medievali, avrebbe dato origine al nomignolo dispregiativo Mackarone. Il termine maccarone è anche in relazione a quello di maccari, ossia schiacciare, l’azione fatta lavorando la pasta di semola di grano duro. In ogni modo la parola maccarone ha assunto il significato attuale soltanto in epoca tardo medievale. Nel Cinquecento l’umanista italiano Ludovico Ricchieri (1469-1525), noto anche come Celio Rodigino o Caelius Rhodiginus, nella sua opera Lectionum Antiquarum (Lione, 1542), pensa che parola maccherone derivi da machaera, cioè stilo, coltello, e quindi che maccheroni significherebbe tagliati col coltello, come noi oggi denominiamo le tagliatelle, i tagliolini, i tagliarini o tajarin e simili tipi di pasta per lo stesso motivo.
Pasta italiana
Assolutamente infondata è la leggenda che i maccheroni sarebbero stati portati in Italia da Marco Polo di ritorno a Venezia dal lontano Catai, la Cina, nel 1292. Infatti la più antica documentazione ufficiale di una pasta denominata maccherone appare in un atto notarile genovese del 4 febbraio 1279, nel quale, a proposito dell’inventario dell’eredità del milite Ponzio Bastone, è menzionata barixella una plena de maccaronis. Il 20 settembre 1295, alla corte angioina di Napoli, la Regina Maria, madre di Carlo Martello d’Angiò (1257-1323), fa pagare ai creditori “quattro once per prezzo di maccheroni ed altro” forniti negli ultimi 12 giorni di agosto ai nipotini orfani Caroberto, Beatrice e Clemenzia. I maccheroni, come la pasta in generale, sono presenti e in uso in Italia dall’Alto Medioevo e a loro volta evoluti dal làganum di epoca romana, anche con la significativa testimonianza dello scrittore arabo Al-Idrisi (1100-1165) che, nel suo Libro di Ruggero II, ne attesta la presenza in Sicilia e in particolare a Trabia, dove sono prodotti in grandi quantità per poi essere commercializzati in tutto il Mediterraneo. Il gesuita Bernardino Stefonio (1560-1620) nel 1595 compose un poema eroicomico in latino maccheronico dal titolo Macaroides, nel quale canta la guerra combattuta dalle paste siciliane contro i legumi di Toscana.
Saggezza popolare
Il popolo napoletano trova nei maccheroni la sua saggezza, tramutandola in proverbi. Vale la pena ricordarne alcuni:
Dicette Pulecenella: nu Maccarone vale ciente Vermicielle! (Tante persone poco capaci, non possano eguagliarne una davvero capace);
‘A carne ‘a sotto e i maccarùne ‘a coppa (Spesso le cose migliori vengono nascoste da altre di minor valore);
Maccarune, carne e vino ’e cannata, fanno buono sanghe pe’ tutta l’annata (Cibo buono ed abbondante giovano alla salute);
Vino e maccarune songo ’a cura p’ ’e purmone (I malanni si curano bevendo e mangiando);
Si vuo’ campà anne e annune, vive vino ’ncopp’ ’e maccarune (Vita lunga per chi beve vino e mangia maccheroni);
Guaje e maccarune se magnano caure (Le avversità vanno affrontate senza indugi);
’E maccarune se magnane teniente teniente (Gli affari vanno conclusi rapidamente);
Pare nu’ maccarone senza pertuso (È un individuo senza personalità);
È caruto ’o maccarone dint ’o ccaso (Di cosa che giunge opportuna);
’E chiacchiere s’ ’e pporta ’o viento e ’e maccarune jenchene ’a panza (Servono fatti concreti, non parole).
Maccarune, sautame ’ncanna! (Di chi aspetta che gli piova la manna dal cielo);
Fà ’e maccarune cu’ ll’acqua (Imbarcarsi in un’impresa impossibile).
’O maccarone se magna guardanno ’ncielo! (allusione al gesto con cui la plebe napoletana mangiava i maccheroni e un invito a ringraziare Dio per questo cibo squisito).
Guai a parlar male de maccheroni!
Soprattutto a Napoli non si può parlare male o contro i maccheroni, che l’arguta saggezza popolare subito risponde a tono, come nel caso di Giacomo Leopardi (1798-1837), il quale, nella satira I nuovi credenti, composta tra il 1835 e il 1836, scrisse che i Napoletani avevano costruito la loro filosofia dell’Essere su un “piatto di maccheroni”, e perciò erano felici, di quella felicità che viene dall’ignoranza. Forse il suo sarcasmo era ispirato dalla volontà di resistere al fascino dei maccheroni che lo stavano conquistando, ma la citazione non passò inosservata, tanto che i Napoletani risposero per le rime con la Maccheronata di Gennaro Quaranta:
“E tu fosti infelice e malaticcio / O sublime Cantor di Recanati, / che bestemmiando la Natura e i Fati / frugavi dentro te con raccapriccio.
Oh mai non rise quel tuo labbro arsiccio / né gli occhi tuoi lucenti ed incavati / perché... non adoravi i maltagliati / le frittatine all’uovo ed il pasticcio!/Ma se tu avessi amato i Maccheroni / più de’ libri, che fanno l’umor negro / non avresti patito aspri malanni... / E vivendo tra pingui bontemponi / giunto saresti, rubicondo e allegro / forse fino ai novanta od ai cent’anni…”.
In tempi a noi più vicini, Filippo Tommaso Marinetti (1876-1944), nel Manifesto della cucina futurista (1930) esprime una virulenta ostilità nei confronti dei maccheroni, propugnando l’abolizione della pastasciutta: “agli Italiani la pastasciutta non giova, contrasta collo spirito vivace e coll’anima appassionata generosa intuitiva dei napoletani. Questi sono stati combattenti eroici, artisti ispirati, oratori travolgenti, avvocati arguti, agricoltori tenaci a dispetto della voluminosa pastasciutta quotidiana. Nel mangiarla essi sviluppano il tipico scetticismo ironico e sentimentale che tronca spesso il loro entusiasmo”.
A questo attacco la risposta viene quando Marinetti è sorpreso da occhi indiscreti a mangiare un piatto di spaghetti, e si ritrovò sbeffeggiato in questi anonimi versi: “Marinetti dice ‘Basta, / messa al bando sia la pasta‘ / Poi si scopre Martinetti / Che divora gli spaghetti“.
Prof. Em. Giovanni Ballarini
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