“Imprevedibile e misteriosa”: così viene definita la Leccia (nome latino Lichia amia), un pesce pelagico appartenente alla famiglia Carangidae caratterizzato dalle migrazioni stagionali, che in età adulta, con i suoi circa 2 metri per 50 kg di peso, naviga solenne e maestosa, in coppia ma più spesso solitaria, nelle acque dell’Atlantico orientale, lungo le coste del Sudafrica, in tutto il Mediterraneo, nel Mar Nero e in Adriatico alla ricerca di seppie, calamari, cefali, aguglie, costardelle, occhiate, maccarelli, cefalopodi e, in mancanza di queste sue prede preferite, si accontenta di tutto il resto che il mare può offrirle. Il cibo lo cerca nelle secche al largo della riva, ma anche in prossimità delle rocce costiere o risalendo le foci dei fiumi, facendo attenzione però sempre alla temperatura dell’acqua perché, quando questa scende al di sotto dei 14 °C, migra verso mari più caldi dove, in periodo corrispondente alla nostra primavera, si riproduce vicino alla costa, su fondali misti di rocce, posidonie e fango. Di dimensioni minori sono la Leccia stella, con lunghezza media dai 30 ai 50 cm, e la Leccia fasciata, che, nel Mediterraneo, raggiunge i 60 cm.
Questo pesce, dal corpo di elegante forma romboidale appiattito lateralmente, è facilmente riconoscibile per la colorazione grigio-verdastra, argentata sui fianchi e con una tipica linea laterale nera. Ottime le sue carni, ricche di sostanze nutritive: sali minerali come potassio, selenio, fosforo e iodio, vitamine del gruppo B ed E, grassi omega-3 e proteine dall’alto valore biologico.
In cucina, dove si presta a diverse preparazioni (cotture al forno, al cartoccio, sughi di pesce e zuppe), è molto apprezzata grazie anche al sapore assai delicato, simile a quello della ricciola ma ancora più tenue. In genere è preferibile ridurla in trance o filettarla.
In vendita la si trova con facilità. L’IUCN (Unione Mondiale per la Conservazione della Natura) dichiara che la specie non è soggetta a rischi imminenti, sia per la sua presunta distribuzione, sia perché non vi sarebbero evidenze di declino o minacce specifiche. Tuttavia, è bene pensare comunque alla sua salvaguardia: tenendo conto che la specie si riproduce nei mesi primaverili ed estivi, in particolare tra aprile e giugno, è preferibile non acquistarla in questo periodo ma tra luglio e gennaio, quando è disponibile ma fuori dal periodo di riproduzione.
Inoltre, come molti altri grandi predatori marini, non va dimenticato che è soggetta all’infestazione parassitaria e all’accumulo di inquinanti che, soprattutto se viene pescata in zone portuali inquinate da idrocarburi dove si è nutrita a lungo, può alterare notevolmente il gusto della carne, specialmente delle parti ventrali.
La sua pesca, che si effettua con palangari, reti a strascico e volanti o reti da posta per la piccola pesca artigianale, non è tanto agevole innanzitutto perché è quasi impossibile prevedere dove si sposterà per cacciare e poi perché, essendo molto veloce, sfugge senza difficoltà alla cattura ed ha abitudini stravaganti, non prevedibili, che mettono in difficoltà i pescatori, e reazioni potenti e astute. Quando è in superficie viaggia velocemente fendendo l’acqua con la pinna dorsale e caudale. A volte si esibisce in salti acrobatici.
La pesca sportiva viene esercitata soprattutto a traina col vivo, tra cui preferibilmente cefalo, aguglia e sugarello, benché pure le esche artificiali possano in certi casi essere efficaci. Avendo la bocca molto larga è bene preferire esche voluminose, fino anche a superare il chilogrammo, che la attirino maggiormente. Caccia principalmente in superficie, pertanto si sonderanno soprattutto gli strati superficiali del mare. Alla vista della barca cerca però subito di guadagnare il fondo.
Il combattimento è piuttosto impegnativo e non sempre si risolve con il risultato desiderato anche perché la leccia, una volta ingoiata l’esca, tante volte riesce a squagliarsela. Ecco perché grande può essere la frustrazione del pescatore, ma altrettanto grande la soddisfazione in caso di cattura.
Nunzia Manicardi
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