Del maiale tutti sanno che si utilizza tutto, ma non tutti forse sanno che il maiale veniva utilizzato un tempo per un’attività di tipo lavorativo. Proprio così: il maiale serviva per andare in cerca di tartufi, cioè per svolgere quell’operazione che oggi viene affidata a cani appositamente addestrati. E, non diversamente dal cane, anche il maiale veniva condotto al guinzaglio attraverso i boschi dopo essere stato appositamente addestrato. Da tempo però l’impiego del maiale da tartufo non solo è stato abbandonato ma è stato anche vietato dalla legge; se c’è chi ancora lo pratica (e c’è) commette quindi un illecito. Il cosiddetto “maiale da tartufo” è un maiale domestico utilizzato per la localizzazione e l’estrazione di quel tipo di fungo conosciuto come tartufo, tipico delle foreste temperate dell’Europa e del Nord America. I maiali, avendo un buon senso dell’olfatto, sono in grado di identificare il tartufo anche sotto tre metri di terra. Si faceva uso soprattutto della femmina. La scrofa, seguendo sia la predisposizione al ritrovamento del tartufo di cui è ghiotta, sia la somiglianza tra il profumo di questo e l’odore di ormoni sessuali secreti dal maiale maschio, era di fatto un’ottima ritrovatrice: sarchiava con il grifo il terreno nel punto in cui il suo sensibile fiuto aveva individuato il tartufo, fino a scoprirlo e, se non veniva allontanata dal tartufaio, anche a mangiarlo. Inoltre, il maiale è istintivamente abituato a procacciarsi il cibo scavando nel terreno, quindi sommando le due inclinazioni si ottenevano risultati davvero notevoli.
I problemi sorgevano con l’aumento di peso dell’animale perché ovviamente diventava quanto mai difficile fermare e allontanare dal tartufo un maiale di grossa mole, che, oltretutto, proprio per questo ingombro, si faceva anche fatica a trasportare sui luoghi di ricerca, avendone così un utilizzo piuttosto limitato. Tuttavia, un tempo era a questo animale che si faceva ricorso, tanto che pare che l’uso risalga ai tempi dell’Impero Romano, anche se il primo accenno ben documentato viene da Bartolomeo Platina nel XV secolo. In seguito, i riferimenti ai maiali da tartufo compaiono in John Ray nel XVII secolo.
Nel 1875 un maiale da tartufo poteva costare fino a 200 dollari, un investimento che però rendeva più che bene a causa dell’elevato prezzo che anche allora caratterizzava il prodotto. Oggi il maiale è stato sostituito dal cane, ma c’è ancora chi sostiene che i maiali, per quanto riguarda i tartufi, abbiano un fiuto più fine. Peccato però che, come già detto, non si limitassero a fiutarli, ma che ne facessero ingorde scorpacciate! Ancor prima del Settecento, in Francia, il tartufo nero, che già a quei tempi era considerato un’autentica prelibatezza, veniva cercato con l’aiuto del maiale. Negli stessi anni anche in Italia, e più precisamente in Piemonte, alla corte dei Savoia, si gustava il tartufo, in questo caso bianco, e addirittura lo si esportava presso tutte le altre corti europee dopo esserselo procurato sempre con l’aiuto dei maiali.
Il fatto di andarne in cerca finì poi per piacere come attività in sé e per sé, tanto da diventare uno dei più apprezzati svaghi di palazzo. A questa ricerca erano invitati ad assistere, oltre ai nobili titolari, anche i cortigiani, i diplomatici e tutte le persone di riguardo che a vario titolo frequentavano le corti. Fu probabilmente per questo motivo che dal maiale si passò al cane, non potendo il primo garantire quelle caratteristiche di classe e raffinatezza che via via si resero sempre più necessarie.
L’abbandono definitivo dell’utilizzo del maiale fu imposto d’autorità con l’articolo 5 della legge che regola la ricerca dei tartufi e che recita: “La ricerca, da chiunque eseguita, deve essere effettuata con l’ausilio del cane a ciò addestrato e lo scavo, con l’apposito attrezzo (vanghetto o vanghella), deve essere limitato al punto ove il cane lo abbia iniziato”. Sono definitivamente tramontati, quindi, i tempi in cui i contadini, finito il lavoro nei campi, andavano con il maiale a ricercare tartufi da vendere per arrotondare le loro entrate.
Il cane, anche se ha un olfatto meno fine, risulta più adatto ad essere impiegato sia perché è veloce nella cerca, sia perché è sensibile ai richiami del padrone, sia, infine, perché non danneggia i luoghi dove nascono i tartufi, dato che concentra lo scavo nel punto esatto dove essi sono interrati. La resa finale, di conseguenza, è superiore a quella fornita un tempo dal maiale. Per il ricercatore di tartufi, d’altra parte, un ausilio è indispensabile. Ricercatore dilettante od occasionale o professionista che sia, il suo senso dell’olfatto ormai da parecchie generazioni si è attenuato mentre quello del cane si sviluppa fin dalla nascita e successivamente cresce sempre di più e sempre meglio. Il cane si è dimostrato un compagno fedele, affidabile e sempre pronto perché il tartufo non aspetta niente e nessuno: non solo con il sole ma anche con il vento, con il gelo e con la pioggia, ogni momento può essere quello buono per portare alla luce, soltanto sotto la guida dell’olfatto, tartufi appena maturati. È infatti esclusivamente il loro profumo che guida nella ricerca. Col tempo si è giunti alla consapevolezza che il cane è molto di più di un mezzo per giungere al tartufo: il cane è il compagno insostituibile non tanto del ritrovamento quanto della ricerca. Ricerca, come è stato scritto, “vissuta in diretto contatto con l’uomo, densa di gesti accennati e subito percepiti dall’animale, di incitamenti e richiami appena bisbigliati e immediatamente attuati; spesso più volte richiesti, ed ogni volta interpretati con abnegazione, raspando con vigore il tartufo avvertito con il fiuto e fermandosi per non scalfirlo, al comando del tartufaio, aspettando poi impazientemente il boccone in premio e ringraziando, festante, tra un balzo e una scodinzolata. Il maiale non poteva certo competere con tutto ciò, ed anche per questo è stato soppiantato”.
La scelta del cane da tartufi, per altro, non è facile, dato che non esiste una razza che abbia caratteristiche specifiche e peculiari per questo tipo di attività, anche se molto si è fatto e si sta facendo, proprio in Italia, a livello di selezione naturale con il Lagotto romagnolo. A seconda delle situazioni, anche ambientali, potrebbe andar bene sia un cane generico che uno specialista, cioè uno che cerchi tartufi di tutti i tipi oppure di un tipo solo. E poi: deve essere lento, che si focalizza su un’area determinata, o veloce, che va di qua e di là senza limitazioni? Maschio o femmina? Il maschio potrebbe essere distratto dagli odori di altri maschi che hanno marcato il territorio mentre la femmina due volte all’anno va in calore e deve stare a casa per oltre venti giorni…
Un puro campione dovrebbe possedere tutte insieme le caratteristiche positive; essendo ciò praticamente impossibile, si sceglie a seconda delle inclinazioni: il tartufaio di temperamento forte predilige il Bracco (tedesco, ungherese, italiano); chi è più tranquillo preferisce il già citato Lagotto romagnolo, riconosciuto dall’Ente Nazionale della Cinofilia Italiana come unico e puro “cane da tartufo”; chi, infine, è di tipo “misto” si indirizza verso lo Springer Spaniel, il Breton, il Korthals, il Jack Russel. Non è necessario però avere un cane con il pedigree, poiché molti dei migliori cani da tartufo sono dei semplici “bastardini”. L’essenziale è che possieda, innata, la passione per la cerca e per il riporto, che sia docile a addestrabile e, soprattutto, che riesca ad instaurare un’intesa, una complicità venata d’affetto con il proprio tartufaio che in tal caso, anche a fronte di offerte economiche allettanti, ben difficilmente si farà convincere a venderlo e che, quando lo perderà, ne soffrirà come della perdita di una persona cara.
Cesare Giaccone, uno dei più grandi chef delle Langhe, andava in giro per tartufi con la sua cagnetta Frida; quando è diventata vecchia, non avendo il coraggio di metterla a riposo o di farle l’affronto di sostituirla, ogni tanto sotterrava un tartufo ai piedi di un olmo o di una quercia, poi faceva in modo di far avvicinare Frida che, felice ed orgogliosa, lo segnalava al suo padrone. Oggi comunque esiste una vera e propria selezione dei cani, che avviene sulla base di alcune doti fondamentali che possono essere così riassunte: olfatto, resistenza alla fatica, taglia ottimale, colore della pelliccia, facilità di apprendimento. E c’è anche, fin dal 1880, addirittura… un’Università! Si trova a Roddi, in provincia di Cuneo, ed è unica al mondo. Legata alla cerca del tartufo bianco d’Alba e all’addestramento dei cani da tartufo, fu fondata da Antonio Monchiero e ufficializzata nel 1935 durante la V Fiera del Tartufo bianco d’Alba dal conte Gastone di Mirafiori, figlio della “bella Rosina”, che ne fu presidente nel periodo 1935-40. Oggi il “Magnifico Rettore” è l’esperto “trifolao” Giovanni Monchiero, discendente della quarta generazione.
Le lezioni si svolgono naturalmente all’aria aperta allenando il naso dei cani prima in cortile (dove è possibile accedere anche ad un piccolo Museo molto frequentato) e poi nei boschi. La laurea? Dopo due o tre settimane di sudato lavoro!
Nunzia Manicardi
Per abbonarti a una nostra Rivista o acquistare la copia di un Annuario