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Interviste

Sommelier della carne

 

«Esistono differenze im­portanti tra fiera e fiera e ad Eurocarne si viene per imparare, perché il livello professionale a Verona è molto elevato, tanto che come Fiesa-Confesercenti abbiamo deciso di organizzare dei corsi per degustare la carne al meglio, rispettandone il prodotto e studiando la differenza fra gli animali, perché anche come sono stati alimentati rappresenta una differenza». A dirlo è Gianpaolo Angelotti, presidente di Fiesa-Assomacellai, associazione legata a Confesercenti. Ad Eurocarne, salone internazionale dedicato all’industria e alla filiera della carne, in programma dal 10 al 13 maggio 2015, Angelotti — emiliano trapiantato a Sarzana, in Liguria, macellaio giramondo — annuncia alcuni corsi specializzati che si terranno durante la manifestazione. «I nostri operatori devono diventare i sommelier della carne».

Eurocarne è la prima manifestazione dedicata al comparto che ha scommesso sull’integrazione di filiera. Qual è il valore aggiunto di questa scelta?
«Indubbiamente l’alta specializzazione della filiera e di Eurocarne, che ha scelto l’integrazione come elemento caratterizzante per rilanciare un comparto. È una risposta netta a chi pensa che per fare una fiera basta andare su internet. Non è così. Sono importanti gli attori, gli interlocutori, persino la location».

Verona è il posto giusto?
«Assolutamente sì. Verona è un punto di riferimento per il settore ed Eurocarne può contare su 25 edizioni alle spalle, 26 con la prossima. La tradizione, l’integrazione e la specializzazione si trovano qui».

Quali iniziative porterete a Eurocarne?

«Dobbiamo ancora definire il programma definitivo, ma senza dubbio il nostro obiettivo è valorizzare la qualità delle carni. Ed è per questo che organizzeremo per i macellai dei corsi con i giudici sensoriali di De Gustibus Carnis, per elevare la categoria e formare operatori sempre più competenti in materia. Maggiori sono le conoscenze acquisite, più stretto sarà il rapporto con i clienti e i consumatori. E una buona preparazione alle spalle permette alle giovani leve di ritagliarsi spazi interessanti».

Esiste un problema di formazione?
«In parte. Come Fiesa-Assomacellai organizziamo corsi privati, ma siamo consapevoli che l’esigenza di crescita degli operatori è elevata. Il mestiere del macellaio è cambiato e rispetto al passato serve una conoscenza molto più a largo raggio».

Come è cambiata la professione?
«Se pensiamo a 40-50 anni fa, il macellaio era una figura centrale della vita di un paese, insieme al sindaco, al parroco, al medico. Il macellaio muoveva l’economia del territorio, andando a ricercare personalmente la carne. Oggi è rimasto una figura rara. E, soprattutto, chi vuole abbracciare questa professione deve avere una conoscenza direi universitaria su molte materie, dalla dietetica all’informatica. Oggi la bilancia è un computer, tanto per rimanere all’attività quotidiana».

E poi?

«È assolutamente necessario conoscere i consumi e le dinamiche europee, anche a livello di tendenze, di prezzi, di cucina. Quindi diventa necessario conoscere almeno una lingua, se non due. Inglese o anche spagnolo. Non dimentichiamo gli aspetti legati alle normative, dalla HACCP ai risvolti fiscali o legali, per non parlare della burocrazia legata allo smaltimento degli scarti animali».

Oggi il macellaio è anche gastronomo.

«Certo, e questo dopo la riforma Bersani sulle liberalizzazioni. Uno stimolo in più, anche per promuovere le ricette regionali, che fanno parte del Dna di ciascuno di noi, persino in Francia e in Spagna».

Come sta andando il settore delle carni?

«È in ripresa. La gente mangia meno, ma mangia meglio, il pranzo della domenica e delle feste comandate è sacro. E si affida ancora al macellaio come consulente per coniugare qualità e prezzo».

In questi ultimi anni si è assistito a un boom del pollo. Come sono cambiati i consumi?

«In questi anni, complice la crisi, c’è stato un riallineamento dei consumi. Il pollo ha sostituito la carne di vitello, scartata per il costo, che si aggira oggi sui 25 e/kg, contro i 5 del pollo. E con un pollo di tre chili a busto, una massaia ricava 8 etti di fettine di petto, che possono essere scaloppine o cotolette; con le ali si può fare il brodo e con le cosce l’arrosto. Sempre in termini di cambiamento dei consumi, è sbocciata la passione del brodo, fino a poco fa tradizione in vita solo nelle regioni del lesso, ma che oggi sta tornando in auge».

Filetto di manzo e roast-beef?

«Anche in questo caso un ritorno al passato, tanto che per molti mangiare la bistecca è diventato un avvenimento: il roast-beef o il filetto sono diventati quasi oggetto di culto».

Qual è la posizione di Assomacellai nei confronti dell’etichettatura?
«Siamo favorevoli, perché secondo noi garantisce il cliente e il macellaio. In Italia abbiamo il sistema sanitario più severo d’Europa, è giusto anche comunicare la provenienza delle carni, per informare chi compra. Se una mortadella è insaccata in un budello sintetico e la carne suina arriva dalla Germania, nulla in contrario, ma bisogna scriverlo. E lo stesso discorso vale per gli altri salumi, per il pollame, per il suino».

Quante sono le macellerie in Italia?
«Le macellerie tradizionali sono 27.000, comprese quelle equine e avicole. Si rivolge a noi il 35-40% dei consumatori di carne, pochi anni fa erano il 50%, 30-40 anni fa il 100%. Eppure siamo sempre stati un punto di riferimento, siamo quelli che ci mettono la faccia e garantiscono il prodotto in prima persona».

Una società multietnica che cambiamenti ha introdotto in macelleria?

«Non molti. Come sindacato non abbiamo preclusioni, ma quando parliamo di macellerie ad esempio islamiche, parliamo comunque di nicchie, per lo più gestite direttamente da stranieri. Un circuito differente, insomma, ma non per questo ne facciamo una guerra di religione».


(Servizio Stampa Veronafiere)



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