Secondo la FAO, nel 2019, per la prima volta in vent’anni, la produzione mondiale di carne è calata, complice l’epidemia di Peste Suina Africana in Cina che ha decimato gli allevamenti suini1. In questo contesto, gli animali vissuti allo stato libero, che si alimentano con prodotti naturali del territorio, non subiscono trattamenti, hanno standard etici di benessere e un impatto inferiore sugli ecosistemi rispetto alle specie allevate, possono rappresentare un valore aggiunto per prodotti innovativi e di qualità.
C’è stato un incremento dell’interesse verso l’utilizzo della carne di selvaggina sia in ambito domestico che nel campo della ristorazione, complice il fatto di un aumento di strategie mirate per il contenimento di alcune specie1. Nonostante l’aumento registrato, però, il consumo della carne di selvaggina in Europa è ancora basso, attestandosi intorno ad un 2-4% del totale, probabilmente a causa del prezzo elevato, la stagionalità, ma, soprattutto, per mancanza di abitudine ad utilizzare ricette con questo tipo di carne2.
In quest’ottica, cresce l’importanza di far emergere una cultura venatoria in cui il cacciatore sia un gestore sempre più preparato e cosciente delle risorse faunistiche. Un’attività venatoria corretta e rispettosa permette infatti di fruire delle popolazioni di animali selvatici senza intaccarne le dinamiche ecologiche e, al contempo, ottenere carni che offrono le migliori caratteristiche organolettiche, non risentendo di fattori stressogeni tipici degli animali provenienti da allevamenti intensivi3.
In diversi studi sono evidenziate le potenzialità della carne di selvaggina (cit.): titolo proteico (21–26 g/100 g) più alto rispetto ad altri mammiferi allevati, indice di digeribilità elevato, alti valori di vitamina B12 e B3, alto contenuto di amminoacidi essenziali, basso contenuto di grassi (<3 g/100 g grossa selvaggina e <4 g/100 g per la piccola selvaggina), maggiore percentuale di acidi grassi polinsaturi (PUFA), poca energia (90–113 kcal/100 g) e rapporto Omega-6/ Omega-3 ottimale.
È da ricordare che la carne di selvaggina è sensibile a fattori ante mortem e post mortem che influiscono poi sulle caratteristiche organolettiche del prodotto finale4. Da qui l’importanza di definire e utilizzare linee guida per perseguire elevati standard di qualità aumentando il valore di risorse naturali e tradizioni locali.
La selvaggina è un prodotto estremamente eterogeneo e gli attributi di qualità possono essere difficili da standardizzare a causa di fattori ante mortem e post mortem degli animali stessi.
Per quanto riguarda i fattori ante mortem: specie, età, sesso, condizione corporea, tipo di muscolo, livelli ormonali, luogo e stagione di abbattimento, tipo di arma e munizioni, localizzazione ed esito della ferita e tipo di caccia influenzano molto la composizione chimica della carne2.
In particolare, certi tipi di caccia come la braccata (caccia eseguita in battuta con concorso di cani e braccaioli), possono agire direttamente sul pH finale della carne, in quanto un alto livello di stress prima dell’abbattimento porta ad un maggior consumo di glicogeno con conseguente riduzione della produzione di acido lattico ed inadeguata acidificazione della carcassa5.
La mancata produzione di acido lattico non favorisce il regolare processo di maturazione delle carni aumentando la possibilità la liberazione di prodotti indesiderati come: acido butirrico, acido solfidrico e porfirine (cit.). Le carni ottenute da processi non corretti presentano caratteristiche organolettiche inadeguate e sgradevoli come: odore dolciastro, di muffa, acidulo, colorazioni anomale sul marrone/arancione e friabilità (cit.).
Indagini al macello e presso i centri di lavorazione selvaggina hanno evidenziato che lo stress porta anche ad una migrazione di microrganismi ed endotossine dall’apparato digerente verso la muscolatura, per aumento della permeabilità vasale5. A tale riguardo riveste notevole importanza il concetto che viene espresso come principale nozione di igiene per i corsi per cacciatore formato, ovvero l’assenza o la tempestiva ed accurata tolettatura di materiale fecale durante la fase di eviscerazione del cacciato6.
Il cacciatore deve essere parte integrante di un processo qualitativo che garantisca la salute del consumatore cominciando con la scelta del capo e l’attenta osservazione del suo comportamento prima dello sparo, in modo da riconoscere eventuali “comportamenti dubbi” elencati del testo del Regolamento CE 853/2004.
La fase post mortem comprende: modalità e tempo di recupero dell’animale, il tempo intercorso prima dell’eviscerazione, modalità/manualità con cui viene effettuata l’eviscerazione, eventuali alterazioni/patologie, trasporto, raffreddamento e frollatura. Anche un recupero difficoltoso dovuto alla mole del capo o ad un numero insufficiente di persone può portare ad imbrattamento della carcassa, con compromissioni delle carni. In un contesto come questo, in cui molti fattori concorrono per la riuscita di un buon prodotto finale, è fondamentale la formazione del cacciatore, già prevista dalla sezione IV del capitolo I del Regolamento CE 853/2004.
Molte sono le qualità che contraddistinguono dal carne della selvaggina da quella degli animali allevati, per esempio i valori proteici, che sono compresi tra 21-26 g/100 g4. La carne è ricca di amminoacidi essenziali come triptofano, lisina, metionina, leucina e isoleucina e, soprattutto nella carne degli ungulati selvatici, la loro quantità è superiore rispetto alla carne di bovino e più che doppia rispetto a quella di suino7.
La componente grassa della carne di selvaggina è inferiore rispetto alle carni rosse e pari a quella delle carni bianche4. Anche il tipo di grasso è da tenere in considerazione: infatti, le autorità sanitarie sconsigliano l’assunzione di grassi saturi (SFA) a favore dei grassi monoinsaturi (MUFA) e polinsaturi (PUFA)4. In particolare, tra i PUFA si ricordano gli Omega-6 e Omega-3 essenziali per il nostro organismo per il controllo del colesterolo, aggregazione piastrinica o controllo dei processi infiammatori solo per darne qualche esempio (Tabelle 3 e 4).
Motivazioni del consumo di carne selvatica
In quattro studi, il consumo di carne selvatica era maggiore nelle aree più vicine alla fauna (ad es. zone montuose o parchi, Foerster et al., 2012; Mgawe et al., 2012; Mwakatobe et al. 2012; Luiselli et al. 2019). In uno di questi studi (Luiselli et al., 2019), i ricercatori hanno scoperto che la probabilità che una specie venisse consumata era correlata con la distanza delle famiglie dal confine del parco più vicino e anche con il tipo di copertura del suolo, che può determinare la composizione e la quantità di carne di animali selvatici consumata.
Un altro studio ha appurato che le specie consumate dipendevano dalla posizione, dal tipo di habitat e dalla disponibilità nei mercati (Mwakatobe et al., 2012). Altri studi3 hanno scoperto, tuttavia, che la vicinanza alle specie cacciabili non è l’unico fattore importante, ma le motivazioni al consumo variavano da località a località.
Ricerche a livello europeo hanno inoltre scoperto che il consumo di carne selvatica e le preferenze delle specie erano principalmente spiegate dalla disponibilità, ma che le credenze tradizionali e anche le affiliazioni religiose hanno avuto un’influenza importante4.
Conclusioni
Esiste una vasta letteratura sulla caccia, il commercio e il consumo di carne selvatica, ma pochi studi si sono occupati specificamente dei motivi di consumo della carne selvatica come scelta alimentare nelle aree rurali e urbane. In generale, da un punto di vista nutrizionale, possiamo concludere che la carne di selvaggina dell’Europa centrale e mediterranea, rispetto alla carne di allevamento mostra:
un contenuto di grassi inferiore (< 3 g/100 g per le specie di selvaggina grande e < 4 g/100 g per la piccola selvaggina), quindi un’energia inferiore;
un contenuto proteico superiore o simile;
un profilo di acidi grassi positivo, mostrando una proporzione più alta di PUFA, specialmente Omega-3, e di conseguenza un rapporto PUFA/SFA favorevole; nel caso specifico del cinghiale, un adeguato contenuto di acido linoleico coniugato (CLA) e, nel caso dei ruminanti selvatici (cervo, capriolo e daino), un rapporto ottimale Omega-6/Omega-3;
un contenuto di minerali più elevato, principalmente micro-minerali come Zn e la forma biodisponibile di Ferro eme.
La carne di selvaggina ha anche quantità ottimali di vitamine del gruppo B, come riboflavina, niacina e B12, e vitamina E, con proprietà antiossidanti.
Nel complesso, la carne di selvaggina incontra la corrente richiesta dei consumatori grazie alla sua produzione sostenibile, che garantisce standard di benessere animale, e la sua qualità nutrizionale, che può contribuire ad una dieta equilibrata e sana. Quindi la carne di selvaggina è una buona alternativa alle carni rosse di ungulati domestici.
A supporto rimane assodato che il consumo di carne di selvaggina allevata e cacciata è aumentato negli ultimi anni per svariati motivi tra i quali, ed il più importante a nostro giudizio, risulta la consapevolezza della qualità dell’alimento da parte del consumatore. Per l’aspetto sanitario e nutrizionale è fondamentale una sinergia tra enti caccia, cacciatori e AUSL nel gestire un’attività importante per la filiera alimentare e per la salute del consumatore e delle collettività.
Emanuele Guidi
AUSL Modena
Francesca Marchignoli
AOU Policlinico Sant’Orsola Bologna
Annamaria Aloisi
Università di Siena
Enrica Bellinello
DVM libero professionista
Bibliografia e note
Rapporto Food Outlook (2019), www.fao.org/giews/reports/food-outlook/en
Cianti L. et al. (2020), Il bosco in tavola: le carni degli ungulati selvatici, Polistampa editore, 1-188.
Milner-Gulland E.J., Bennett E.L. (2003), Wild meat: the bigger picture, Trends in Ecology & Evolution, 18(7): 351-357.
Soriano A., Sanchez-Garcia C. (2019), Nutritional composition of game meat from wild species harvested in Europe.
Bennett E.L. (2002), Is there a link between wild meat and food security?, Conservation Biology, 16(3): 590-592.
Guidi E., Micheli M.R., Rossi A., Rossi G., Rosamilia A. (2019), Farm products’ direct sale in accordance with national and EC Regulations, Italian Journal of Food Safety; volume 8:7119.
Chausson A.M., Rowcliffe J.M., Escouflaire L., Wieland M., Wright J.H. (2019), Perché mangiare carne selvatica? Risultati di una revisione della letteratura sui driver della carne selvatica come scelta alimentare.
Regolamento CE 853/04 del Parlamento europeo e del Consiglio che stabilisce norme specifiche in materia di igiene per gli alimenti di origine animale.
Caratteristiche della carne di pollame, www.salute.gov.it/imgs/C_17_opuscoliPoster_278_allegato.pdf
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www.crea.gov.it/-/tabella-di-composizione-degli-alimenti
INRAN-Istituto Nazionale Ricerca per gli Alimenti e la Nutrizione (2003), Linee Guida per una sana alimentazione italiana, www.fao.org/3/as686o/as686o.pdf
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