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Attualità 

Psicologia dei consumi

di Benedetti E.



“Il comparto agroalimentare è oggi oggetto di importanti mutamenti, non solo relativi alle risorse disponibili e alle modalità produttive, ma anche alle dinamiche demografiche e socio-culturali che stanno sfidando il rapporto azienda-consumatore”: è questo l’incipit della pagina web di presentazione del Centro di Ricerca EngageMinds HUB – Consumer, Food & Health Engagement Research Center, presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Piacenza, diretto da Guendalina Graffigna, ordinario di Psicologia dei Consumi e della Salute. Quest’ultima ha tenuto recentemente un interessante seminario proprio sulla psicologia dei consumi in occasione del lancio di Assaggezza, Accademia di formazione di Levoni Spa, un “percorso di approfondimento flessibile e modulare dove si conciliano conoscenza, passione e gusto”.

Presentata nel corso del seminario da Marella Levoni, direttrice relazioni esterne e comunicazione Levoni, l’Accademia offre corsi per professionisti e incontri divulgativi aperti al pubblico.

La professoressa Graffigna ha tenuto una lezione magistrale sulla necessità, da parte delle aziende dell’agroalimentare, di comprendere i motivi profondi che determinano i comportamenti di scelta degli alimenti. Ciò è importante poiché aiuta a prevedere le nuove tendenze di consumo e, soprattutto, consente di intervenire per orientare condotte alimentari più corrette, salutari e sostenibili. Riproponiamo alcuni dei passaggi più significativi del suo intervento.


La psicologia del consumo: a cosa serve?
“Serve a dare stimoli al comparto dell’agroalimentare, sia per le nuove tecnologie agroalimentari e per l’innovazione, sia a favorire lo sviluppo di nuovi prodotti e la comprensione di quelle che sono le tendenze di consumo e le leve — anche comunicative — che possono essere applicate chiaramente a partire dall’attività di ricerca scientifica e didattica che conduciamo in quest’ambito”.


Uno psicologo che studia i consumatori
Abbandoniamo l’idea generalista e stereotipata dello psicologo e del paziente sdraiato sul lettino in seduta, emblema della psicologia clinica, e concentriamoci sullo studio, da parte della psicologia, dei consumatori e delle loro scelte e non scelte. “Se il marketing e la comunicazione servono a orientare la scelta del consumatore su, per esempio, una data serie di prodotti, ricordiamoci che per provocare una conoscenza per tutto questo ci possono essere dei costrutti psicologici, delle scienze psicologiche che aiutano l’azione di marketing (…). Questo contributo è molto efficace nelle attività di naming, ovvero nella decisione di dare un certo nome, piuttosto che un altro, al prodotto da immettere sul mercato. Non si può infatti prescindere dal capire come quelle scelte andranno a veicolare dei significati, delle emozioni, dei desideri, delle fantasie nella mente dei consumatori. Quindi, ecco che c’è un mondo psicologico dietro al branding, dietro alla definizione e percezione di un prezzo”.


Identità e desideri
“È vero che il marketing è ciò che supporta il lancio e la vendita di un nuovo prodotto, ma quel nuovo prodotto verrà acquistato nel momento in cui andrà ad allinearsi con un bisogno o, meglio, con un desiderio del consumatore. Il desiderio, per noi psicologi, è qualche cosa che va di aldilà della fisiologicità o che va al di là dell’oggettività. Non è  solo il bisogno di sopravvivenza. È il desiderio di quella identità e il desiderio anche di quel momento di festività, di quel momento di ricordo, di tradizione, anche magari di quel momento di energia, di sport.

Insomma, tutti questi diversi strati di percezione si chiamano desideri che, in termini psicologici, hanno una costruzione culturale soggettiva emotiva. Il marketing coglie questi desideri e fa in modo che, a fronte di quel desiderio a fronte di quel bisogno — che spontaneamente e, psicologicamente, il consumatore percepisce — si vada proprio a planare su quel particolare prodotto e brand, nonostante ci sia una grande competizione”.


Il consumatore è pigro e sta dentro un gregge
“Il consumatore è pigro e noi esseri umani siamo, mediamente, tradizionali, ancor di più se il contesto sociale, economico e politico intorno a noi è troppo incerto. Ovvio che la propensione all’innovazione sia legata ai nostri tratti di personalità, ma è altrettanto vero che in determinati periodi storici, più incerti, il consumatore sia meno propenso a cambiare. Inoltre esso fa parte di un gregge che lo influenza e lo fa reciprocamente. L’economia classica ha sempre teorizzato che esista il cosiddetto Homo economicus e che nel momento in cui fa degli investimenti o delle spese è un individuo razionale che è governato dal principio dell’utilità (noi acquistiamo se ci serve quella cosa e se il beneficio che avrò a fronte del dispendio di denaro sarà a somma positiva e governato da delle leggi di mercato economiche di scambio più o meno universali). Questo concetto è la base di qualsiasi teoria economica classica. Ma anche è vero che ci sono situazioni in cui, invece, prevale una valutazione psicologica soggettiva situata con delle norme soggettive”.


Acquisto come atto comunicativo
“Gli acquisti non sono solo funzionali e non è assolutamente vero che noi acquistiamo solo perché abbiamo bisogno di qualche cosa. Il consumo spesso diventa un atto comunicativo e identitario”. Un esempio? “Tutti i movimenti vegani, vegetariani, sono spesso dei movimenti politici, dei movimenti identitari”. In questo senso il consumatore cerca il consenso sociale.



Elena Benedetti



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