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Speciale Assocarni

Filiera zootecnica bovina italiana: i numeri

di Redazione


Una delle relazioni che hanno catturato maggiore interesse da parte dei partecipanti alla tavola rotonda di Assocarni è stata quella di Fabio Del Bravo, della Direzione Filiere e Analisi di Mercato di Ismea. Del Bravo è partito con una premessa necessaria per inquadrare il contesto: tra fase agricola e produzione industriale, il comparto italiano della zootecnia da carne genera un fatturato che si attesta sui 10 miliardi di euro. Sul fronte della produzione europea di carni bovine, però, si registra da anni una contrazione del patrimonio in tutti i Paesi europei, ad eccezione della Polonia. E il nostro Paese? L’Italia è il terzo produttore europeo di carni bovine, al pari della Spagna, con una quota dell’11%.


Autoapprovvigionamento in EU
Interessante l’analisi sul tasso di autoapprovvigionamento delle carni bovine dell’UE, che è al 103%, ma con enormi differenze:
Irlanda 549%;
Francia 139%;
Spagna 115%;
Germania 105%.
Quindi, se 100% significa la capacità di sostenere in autonomia la propria domanda interna, ci sono Paesi — prima fra tutti l’Irlanda — che hanno una sovrapproduzione che va a riversarsi sull’export. L’Italia è ben lontana da questi numeri e il suo tasso di approvvigionamento è sceso nel 2023 ai livelli più bassi dell’ultimo decennio attestandosi al 40,3% (contro un 53,9% nel 2019).

Contrazioni e concentrazioni in Italia
Ma come siamo arrivati a questo 40,3%? La struttura produttiva nazionale nel quinquennio è stata caratterizzata da una pesante contrazione degli allevamenti, pari al –20% delle aziende zootecniche. A ciò si aggiunge un –3% nel patrimonio bovino da carne. «Ciò significa che chiudono le aziende piccole e aumentano i capi in quelle già grandi» precisa Del Bravo.
Il patrimonio zootecnico bovino (Grafico 1) è inoltre concentrato per il 54% in sole 3 regioni (Piemonte, Lombardia e Veneto) e solo 1/4 dei capi appartiene a razze autoctone, mentre il 43% è dato da incroci con razze francesi. Insomma, parliamo di un settore tra i meno autosufficienti, con un saldo della bilancia commerciale tra i più negativi tra le filiere.

Aumento delle importazioni
Il calo del patrimonio bovino nazionale ha ovviamente comportato un incremento del 33% nel 2023 degli esborsi per le importazioni di bovini vivi, un +103% della spesa per i bovini vivi nel quinquennio, un +3% dell’aumento per le carni fresche nel 2023, un +27% della spesa per le carni fresche nel quinquennio e un +19% del deficit della bilancia commerciale rispetto all’anno precedente (3,55 miliardi di euro).

Prezzi e catena del valore

Questa è una filiera che tutto sommato non ha contribuito in maniera drammatica alla crescita dell’inflazione. Nel quinquennio 2020/24, i prezzi al dettaglio della carne bovina hanno subito rincari dell’ordine del 20%. La fase più critica è stata quella dell’ingrasso (+30%), che ha dovuto “assorbire” l’incremento del 22% del prezzo dei ristalli + quello dei mangimi. L’ingrosso ha sostanzialmente mantenuto tale incremento, mentre la fase distributiva finale ha funzionato da cassa di compensazione attenuando l’impatto sul consumo finale e spostando il recupero sul medio periodo (Grafico 2).

Evoluzione dei consumi di carne bovina: la domanda ha tenuto
Andando ad esaminare la spesa in valore e volumi di carne bovina in Italia negli ultimi 5 anni, Ismea conferma che, nonostante la complessità di mercato, spinte inflattive, incrementi di costi e del prezzo di vendita, c’è comunque stata una tenuta della domanda e resta quindi solido l’interesse dei consumatori per le proteine nobili. Negli ultimi cinque anni si è registrato un +20% della spesa per l’acquisto di carne bovina ma, nel 2023, si attesta un allineamento degli acquisti in volume di carne bovina a quelli pre-Covid (–0,3% 2023 vs 2019). Il tutto in un contesto di grande interesse per le fonti proteiche.

Carni ovine: i numeri

Nel comparto ovino si notano due macro-tendenze: la riduzione del patrimonio e la concentrazione territoriale degli allevamenti. Ismea conta 30.000 aziende in meno nell’ultimo quinquennio (–21%). Il che significa un calo del 13% del patrimonio di capi e una conseguente contrazione dell’offerta e concentrazione territoriale tra Isole (58%), Centro (16%) e Sud (16%). I consumi restano stagionali, con una domanda sempre più concentrata nelle festività, in occasione delle quali l’offerta nazionale va in affanno. La ridotta offerta di capi nazionali spinge le importazioni di carni (con un +14% in volume nel 2023) con conseguente pressione competitiva e problemi di riconoscibilità del prodotto soprattutto nel canale Ho.re.ca. La filiera è caratterizzata da una difficile gestione, con oscillazioni di prezzo accentuate tra periodi di picco e resto dell’anno.


Fonte: Ismea,
ismea.it



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