Simone Fracassi, con la sua macelleria a Rassina (AR), porta avanti da generazioni un lavoro incentrato sulla qualità e la lavorazione di soli prodotti del territorio. Gli dedichiamo questa prima intervista, domandandogli la sua personale idea di macelleria.
«La mia idea di macelleria è molto semplice: ordine, rispetto, disciplina ed etica. Sono queste le quattro pietre miliari che mi guidano sul percorso intrapreso a suo tempo da mio nonno. In fondo tutto parte dal nome che identifica il nostro lavoro: macellaio. Si tratta di un concetto ben diverso da quello di mero rivenditore di carne: il macellaio è infatti colui il quale macella l’animale, lo seleziona, ha cioè conoscenza di un prodotto legato ad un determinato territorio, e lo rispetta. Così come rispetta l’allevatore, il quale a sua volta rispetta l’animale nei tempi di crescita ed alimentazione giusti.
Bisogna conoscere profondamente il prodotto che si vende, nel mio caso la Chianina e il Grigio del Casentino, per comprenderne le peculiarità e le esigenze al fine di portare sui nostri banchi il miglior prodotto possibile. Alimentare per esempio la Chianina cercando di fare un surplus di peso, che potrebbe essere la mentalità di un qualsiasi commerciante al fine di vendere e guadagnare di più, è secondo me una condotta sbagliata non solo da un punto di vista etico, ma proprio controproducente dal punto di vista qualitativo, perché sforzando le fibre muscolari si va a compromettere la morbidezza e la qualità del prodotto.
Nella mia professione sono particolarmente grato a quei pochi allevatori con cui collaboro, che hanno la forza di poter fornire la giusta alimentazione agli animali in casa propria, sia essa fieno sia esso una piccola parte di cereali — e i bovini necessitano anche di quelli per mettere su massa grassa, fondamentale per il sapore. Insomma, essere macellaio vuol dire lavorare eticamente dal principio (nascita e vita del vitello) alla fine (macellazione e frollatura). Macelleria per me vuol dire macellare e vendere tutto l’animale e se ancora oggi riesco a farlo vuol dire che c’è anche chi l’apprezza — sempre meno devo dire eh — però ancora oggi qualcuno si trova».
Qual è il tuo modo di lavorare e frollare la lombata?
«Il mio modo di lavorare la lombata credo sia quello tutti gli altri, non penso ci possano essere significative differenze nella maniera di staccare una lombata dalla mezzena o tagliare una bistecca. Per la frollatura, invece, ognuno di noi ha le sue peculiarità, dalle differenti tempistiche a tipologie di differenti carni (quindi di razze), passando per predilezione per una tipologia di frollatura piuttosto che un’altra, scelta quest’ultima che ha, a mio avviso, una importante relazione con le razze selezionate. Io ad esempio lavoro prettamente carne Chianina. E la carne Chianina, si sa, ha bisogno di tempo, tempo che può essere ottimizzato in base al soggetto, al peso, al sesso e all’età dell’animale. Si può quindi variare da un minimo di 15 giorni per una femmina a un massimo di 40 o 50 giorni per un maschio.
Ci sono numerose tecniche di frollatura, ognuno di noi le può poi sviluppare come meglio crede. Io stesso faccio numerosi esperimenti, ma, a mio avviso, l’obbligo è sempre quello di rimanere nell’ambito della salubrità del prodotto. Il dry age è una di queste: si tratta di una frollatura “a secco” e la si usa, in parole povere, per asciugare la carne fino quasi a sigillarla, così che la maturazione vada all’interno della sigillatura. Io lavoro all’incirca nello stesso modo, però lo faccio, diciamo, a modo mio. Nella fattispecie, faccio fare alla carne un primo passaggio in cella ventilata e poi un secondo passaggio mediante l’uso della tecnica del sottovuoto, quanto basta per renderla morbida, molto semplice.
Il dry age ha senza dubbio tanti vantaggi, ma credo sia giusto domandarsi se il gioco vale davvero la candela. Al di là delle tempistiche, infatti, bisogna poi fare i conti con lo scarto (che con questa tecnica è moltissimo) che fa ovviamente lievitare i costi. Ad ogni modo, io tento di andare dritto per la mia strada, sempre nel rispetto dell’animale e del consumatore. La mia etica professionale è cercare molto semplicemente di essere un buon artigiano».
In foto, Simone Fracassi (photo © Massimiliano Rella)
https://www.instagram.com/fracassi_simone/?hl=it
La seconda intervista la dedichiamo a Luca Menoni, titolare di una popolare e fiorentinissima bottega situata nel mercato di Sant’Ambrogio (FI), a cui chiediamo subito la sua personale idea di macelleria. «Come mi ha insegnato mio babbo, quando si prepara la carne si compie un atto importante per la nostra vita, un atto nutritivo. Per questa ragione, dal mio punto di vista, penso che il concetto di macelleria si dirami in tre ambiti:
rivolgersi a chi prima di noi ha allevato, avendo massimo rispetto sia per lui che per chi seleziona l’animale;
trattare la carne come un bene prezioso, mantenendo quindi il sottile filo della qualità. Dico “sottile” perché le cose da tenere in considerazione possono apparire delle inezie, ma sono in realtà fondamentali. Dall’appendere l’animale nella maniera giusta (in modo tale che le fibre non si stressino) al mantenerlo alla temperatura opportuna, o affettare la carne per il verso giusto della fibra. In poche parole, trattare il prodotto fosse un gioiello, maneggiare una bistecca con la stessa delicatezza con cui si terrebbe un collier;
col mio lavoro ho la possibilità di servire una famiglia (o una persona) per un intero mese facendogli mangiare ogni giorno, a pranzo e cena, un piatto diverso, perché posso lavorare innumerevoli tagli di tante specie, che si traducono in altrettanti piatti. Questa per me è una grandissima gioia, rappresentando al contempo il valore aggiunto che il cliente trova da un macellaio che fa davvero il suo mestiere.
Un altro elemento che caratterizza il mio modo di lavorare (e di pensare) lo si può sintetizzare nella frase “più se ne butta nel corbello (in fiorentino “pattumiera”, NdA), meno si guadagna e prima si chiude”. In sintesi, per me è essenziale prendere un animale e lavorarlo senza fare neanche un taglio inutilizzabile, valorizzarlo tutto e al meglio. E questo non significa macinare tutto — tanto il macinato si vende bene —, ma evitare di macinare il più possibile se non quello che ho deciso debba essere deputato alla macinatura. Arrivare a chiusura della bottega e, per assurdo, non rimanere col cantuccio, il taglio povero rimasto lì e difficilmente vendibile, ma restare con i pezzi più pregiati. Valorizzare significa quindi riuscire a sfruttare al meglio ciò che non ha valore, per poi riuscire a dare al “cliente finale” sempre i gioielli migliori».
macellerialuca.it
Luca, ci puoi raccontare il tuo modo di lavorare e frollare la lombata?
«Una buona frollatura, o maturazione, inizia già col sezionare la mezzena il più tardi possibile, facendola cioè riposare intera in cella il più a lungo possibile. Se la mezzena potesse stare intera un mese al freddo (fra i 2 e i 4 °C), otterremmo la lombata al suo meglio. In questo modo si otterrebbero cioè senz’altro succosità, sapore e tenerezza. Ciò però non è possibile perché l’anteriore è un pezzo più sanguigno, non solo per fisiologia, ma anche per “precipitazione” rispetto a come è collocata in cella la mezzena (il sangue scende verso il basso). Ha cioè una minor durata, si sciupa prima. Bisogna quindi sezionare la mezzena ben prima che la lombata arrivi al suo punto di maturazione adeguato. La pratica può dunque seguire la teoria solo in parte. Ciò nonostante, dopo aver lavorato il quarto anteriore possiamo fortunatamente continuare col processo di maturazione di quello posteriore.
Sia questa attaccata alla coscia o meno, la lombata deve stare in una cella dove vi siano una giusta ventilazione ed umidità (che io personalmente trovo a naso). Dico “a naso” non a caso, perché è proprio così che riesco a percepire il freddo, il secco, l’umidità, l’odore del sangue e del grasso, cercando di capire se la carne è pronta o se il processo sta andando nell’esatta direzione che desidero.
Per quanto riguarda le tempistiche, una lombata comincia ad essere pronta quando ha 4 settimane di maturazione per una femmina giovane, o 6 settimane per un maschio adulto (20-24 mesi). Per la vacca il discorso andrebbe fatto a parte, in base cioè ad altre variabili, ma generalmente si tratta di un periodo di tempo che va dalle 6 alle 8 settimane. Superati questi tempi, a mio modesto parere, la maturazione diventa un processo inutile, è tempo sprecato insomma.
Quasi dimenticavo un altro aspetto fondamentale per la buona riuscita del procedimento: la mezzena, in questo caso la lombata, matura meglio quando è ben coperta di grasso, che fornisce uno strato protettivo da quel che in gergo chiamiamo “il cuocersi della carne in cella”. Per fare un esempio in proposito, ho da poco riscoperto un fornitore che lascia il grasso del rognone e questo mi permette di preservare maggiormente la lombata, di avere quindi un prodotto finale di migliore qualità.
Esco forse un poco dal seminato della domanda, ma mi è venuta in mente una questione che ho piacere di dire in chiusura. Il mio modo di trattare la lombata, ma forse più in generale il modo in cui tratto la carne, è lo stesso con cui un falegname tratta il legno o un sarto la stoffa. Più precisamente, così come il falegname parte dalla scelta di un particolare tronco d’albero individuandone qualità e potenzialità, io faccio lo stesso con un vitello. Entrambi lo facciamo poi stagionare e ne leviamo una parte per ricavarci delle piccole cose, chi una bavetta e chi i tasselli; poscia ne mettiamo da parte altre perché per l’uno potrebbero diventare solide tavole o magari semplici regoli per la realizzazione di mobili e per l’altro un buon bollito d’inverno o del macinato di qualità d’estate. Ogni cosa la si usa al momento giusto, nel punto giusto e con la misura giusta. In questo modo, come diceva il babbo, nulla va nel “corbello”».
Edoardo Meroni
In foto, Luca Menoni. La sua macelleria, “Luca Menoni. Macelleria dal 1921”, si trova nel Mercato di Sant’Ambrogio a Firenze (telefono: 055 2480778, macellerialuca.it).
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