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Interviste

E non chiamatelo artista: una chiacchierata con Paolo Soderi

di Meroni E.


Al contrario di quel che si potrebbe pensare, a Firenze non è semplice fare commercio, soprattutto nel centro storico. E purtroppo l’offerta a volte non basta a supplire l’ingente domanda dovuta all’enormità di turisti che vagano per le strade che un tempo sono state calpestate dalla suola dei sandali di grandi scultori e poeti. Ci vuole tanta e tanta quantità, talvolta a discapito della qualità.

Lo storico mercato di San Lorenzo, situato a pochi passi dal Duomo e dalla stazione centrale dei treni, rappresenta un compromesso tra il vecchio e il nuovo, tra fiorentino e forestiero, che da una parte cerca di tenersi ben saldo alle redini della tradizione, ma dall’altra non può far altro che accettare alcuni necessari compromessi cosmopoliti se vuol continuare a dar da mangiare ai suoi esercenti.

L’Antica Macelleria Soderi è posta al piano terreno di questo vecchio mercato ed è così antica che si fa fatica a distinguere le fondamenta dello stesso dai toppi in legno su cui ancora oggi, e dopo quasi 100 anni, si tagliano bistecche. Il capitano di questa roccaforte macellaia è Paolo Soderi, con cui abbiamo avuto il piacere di fare quattro chiacchiere.


Raccontaci: com’è cominciato tutto?

«A me non è venuta l’idea di fare il macellaio, mi sono trovato in una famiglia che è nel mondo della carne da sempre. Possiamo infatti dire che la mia avventura non sia mai cominciata: è semplicemente sempre esistita. Dal punto di vista personale perché sin da bambino gironzolavo per la bottega di mio padre quasi ogni giorno e dal punto di vista “genealogico” perché noi siamo nel settore delle carni dalla fine del ‘700, prima come venditori di bestiame vivo e poi come venditori di bestiame macellato.

Fu nel 1939 che mio padre prese una bottega al mercato, che nel ‘46 divenne la bottega che ancora abitiamo, dando così inizio alla nostra attività al suo interno. Io ho di fatto cominciato a lavorare in macelleria nel settembre del 1966. Ero molto giovane e, non avendo più voglia di studiare dopo il ginnasio, entrai a lavorare a bottega come garzone. Cercai di imparare al meglio, rubando con gli occhi le tecniche per disossare, vendere e tagliare. Nonostante questa base tradizionale, devo ammettere che c’è sempre stata, nella nostra bottega così come nel Centrale1 tutto, una qualche forma embrionale di vendita all’ingrosso. Ma nulla più.

Fu una mia scelta quella di provare a cimentarmi non soltanto col coltello, o con la relazione col cliente, ma anche con quella parte del commercio che sta dietro al bancone, quella che si occupa di comprare oltre che vendere, di vendita non più al dettaglio ma su grandi volumi. Partii un po’ alla buona, come potevo, con la fornitura di quei 2 o 3 ristoranti che mi lasciò mio fratello.

Da quei 2 o 3, dopo 60 anni, sono arrivato a lavorare con molti, davvero molti ristoranti, a Firenze e fuori; oggi la nostra al bottega si basa prevalentemente su questo, ma penso sia importante dire che agl’inizi, quando mio padre era al comando, non c’era un grande interesse verso questo tipo di commercio, lo si teneva come qualcosa in più. Sono quindi grato all’intelligenza e alla fiducia che mio padre ripose in me, poiché nonostante la sua dimensione fosse quella di banconiere — e banconiere coi fiocchi ci tengo a precisare — quando vide che le mie idee avevano del potenziale mi lasciò fare, permettendomi di creare un nuovo business».


Raccontaci le innovazioni che hai portato nella macelleria fiorentina.

«Senz’altro gli acquisti in grande scala: acquisti competitivi. Il punto è che non mi spaventava il rischio d’impresa. Una volta ad esempio, credo fosse il ‘74, andai ai mercati generali e feci una delle mie prime giocate, molto rischiosa ma potenzialmente molto redditizia. Noi ancora smerciavamo poca roba, qualcosa come 6/7 vitelli a settimana. Io trovai la forza, il coraggio o forse l’incoscienza di comprarne 20 di grande qualità ma, per la grandezza del lotto, a basso prezzo. In 16 giorni riuscimmo a vedere tutto. Ero sicuro di potercela fare, e in questa impresa mio padre fu con me sin da principio. “Sono buoni questi vitelli?” mi chiese, io dissi “sì” e lui mi rispose laconico “si vendono”. Da quel momento che cominciammo, sotto la mia responsabilità, a lavorare veramente all’ingrosso.

Spregiudicati forse, ma riuscendo sempre a crescere perché alla qualità non abbiamo mai rinunciato. Chi mi offriva la merce non poteva farlo se non c’era uno standard minimo di prodotto. In seguito, con l’avvento del sottovuoto, impostai il lavoro in modo tale che quando ad esempio la vitella costava poco per una certa stagnazione del mercato io ne compravo tanta e con perizia la lavoravo e stoccavo. Grazie alla possibilità di mantenere le qualità di un prodotto di livello con l’ausilio del sottovuoto potevo permettermi di fare dei prezzi fuori mercato.

I miei competitori durante le feste non potevano far altro che vendere la stessa vitella (o di qualità anche inferiore) ad un prezzo più alto perché i fornitori gliela mettevano di volta in volta, con l’avvicinarsi  delle feste, sempre più cara. Io magari avevo comprato il mese prima alla metà e potevo quindi offrire ai miei clienti prodotti di qualità a prezzi decisamente più convenienti.

Cominciai così a girare i più importanti mercati della carne europei: Germania, Polonia, Irlanda, Scozia, Romania, e tanti altri. Ricordo che la prima volta che andai in Romania lo feci per vedere degli agnelli, ma siccome non mi piacevano e non potevo certamente rincasare a mani vuote senza almeno aver fatto un buon affare tornai con dei bellissimi piccioni e faraone, presi bene e da distribuire all’ingrosso. Fu proprio in questa occasione che conobbi amici scozzesi ed irlandesi, sodali coi quali in seguito ho avuto lunghe e fruttuose relazioni commerciali. Penso infatti di essere stato il primo a portare posteriori di bovino adulto irlandesi a Firenze. Ricordo che quando arrivarono e li vedemmo, con quel grasso giallo come un limone, mancava poco ci sentissimo male; ciononostante, dopo averli assaggiati, non potemmo fare a meno di constatarne la straordinaria qualità. Stesso discorso per l’Aberdeen Angus.

Naturalmente con queste varietà e qualità il nostro banco si potenziava, ma la mia vocazione continuava ad essere quella dell’ingrosso, una vocazione commerciale che mi portava a voler crescere ancora e ancora.

Io ho sempre cercato naturalmente di restare all’interno del solco della tradizione: amo tagliare fettine sottili senza neanche uno scalino, le poche volte in cui disosso esigo ancora da me stesso che la carne venga “a velo”2. Tuttavia, non voglio essere ipocrita perché a fine mese io non mangio il “velo” ma pane e salame. Questo significa che ciò che più di tutto mi ha spinto a fare quello che faccio è sempre stata la possibilità di accrescere il margine a fine mese.

Sento spesso dire da colleghi che noi siamo artisti, l’artista della bistecca, l’artista del taglio, l’artista della carne. Trovo siano delle panzane. Tra l’artigiano e l’artista c’è la stessa differenza che c’è tra l’imbianchino e il pittore. Noi siamo artigiani e ritengo sia un sofisma metterci in bocca e in testa l’appellativo di artisti. Personalmente, sento di essere un commerciante che prova ad essere anche un buon artigiano».


Parlaci di come hai vissuto le “invasioni barbariche”.

«Il mercato da anni è preda delle “invasioni barbariche”. Lo dico naturalmente con ironia, tuttavia sia tratta di una questione molto delicata. Le amministrazioni declamano un ritorno alla tradizione del mercato, ma lo hanno in realtà reso un porto turistico che ci mette in difficoltà dal punto di vista commerciale. Il turista fondamentalmente non viene da me a comprare la groppa. Ci troviamo con le mani legate, perché non abbiamo una consistente possibilità di lavorare con persone che sono solo di passaggio nel nostro mercato: restano infatti a Firenze perlopiù il tempo di una corsa sotto alla cupola di Santa Maria del Fiore per poi far ritorno al bus o al treno che nel giro di qualche giorno li porta anche a Pisa, Roma e Venezia. Inoltre, anche coi fiorentini è diventato praticamente impossibile lavorare, pur avendo dei prezzi davvero concorrenziali, poiché il nostro mercato è quasi inavvicinabile per il fiorentino che non vive in centro.

Mancanza di parcheggi, difficoltà nella viabilità, insomma, non abbiamo altro modo che proteggere il nostro business lavorando con la ristorazione. E per fortuna che questo sistema si è strutturato da molti anni, perché se avessimo dovuto convertirlo di punto in bianco negli ultimi 10 anni sarebbe stata veramente dura la battaglia, e purtroppo molti miei colleghi ne sanno qualcosa. La mia prospettiva personale è che il turismo non diventi una “ristrutturazione” cittadina per le esigenze di chi viene da fuori, ma un felice connubio tra le esigenze di chi ospita e di chi viene ospitato.

A volte, mi ritrovo a pensare quanto sarebbe bello che invece di far sempre e solo mostre dentro antichi e magnifici palazzi rinascimentali del centro storico venissero valorizzati anche gli spazi più periferici della città; magari un nuovo museo di arte moderna in zona Novoli o un ponte sotto la Certosa3 ad opera di un archistar. Sarebbe a mio modesto parere questo il modo giusto per mantenere un equilibrio in cui tutti, esercente, turista, autoctono e, perché no, anche amministratore, godano di una prosperità culturale e commerciale meglio distribuita».


Cosa speri per tuo figlio Alessandro?

«A breve Alessandro rifarà la bottega dandogli un taglio più moderno e conferendole la possibilità di proporre a vecchi e nuovi clienti maggiori opportunità gastronomiche. Io, come mio padre fece a suo tempo con me, non posso che lasciargli fare la sua strada e cercare di aiutarlo al meglio, finché posso!».

Edoardo Meroni


Macelleria Soderi

Piazza del Mercato Centrale 5/R

50123 Firenze

Telefono: 055 211275

E-mail: sabem.sam@gmail.com

Web: www.soderishop.com

          @macelleriasoderi


Note

1. Il nome con cui i fiorentini chiamano il mercato di San Lorenzo.

2. Per i macellai fiorentini significa disossare e sezionare la carne lasciando intatte le guide muscolari.

3. La prima una zona poco fuori il centro di Firenze, in cui è presente il nuovo palazzo di giustizia e un polo universitario; il seconda un bellissimo monastero che si erge poco fuori le vecchie mura cittadine, in zona Galluzzo.



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