Il detto secondo cui del maiale non si butta via niente non è solo un modo di dire, si sa. Eppure, andando alla ricerca delle antiche tradizioni legate alla lavorazione dei suini, si scoprono ogni volta prodotti nuovi e davvero straordinari che, oltre ad essere ottimi da gustare, hanno il pregio di essere realizzati con ciò che rimane dell’animale dopo la macellazione, perché nulla vada perduto, appunto. Alcuni insaccati nascono con lo scopo di recuperare tutte quelle parti, anche piccolissime, che altrimenti non avrebbero altro impiego.
Il sanguinaccio ne è un esempio classico. Nessun altro derivato della carne permette di recuperarne il sangue e di renderlo — grazie anche all’aggiunta di altri ingredienti — un ottimo prodotto. Normalmente è realizzato con le interiora del maiale, ma le varianti regionali sono innumerevoli.
Ogni riferimento a questa specialità andrebbe fatto con un tempo verbale al passato. Il sanguinaccio, infatti, veniva realizzato quando il maiale veniva ucciso e lavorato in casa.
Oggi la macellazione nelle abitazioni è cosa piuttosto rara. Seppur ancora fatta nelle zone interne a vocazione pastorale, allevare e poi macellare il suino in ambienti domestici è cosa molto meno frequente di un tempo. Non mancano però piccole realtà artigianali che, nel recuperare vecchie ricette di insaccati tipici, inseriscono nella produzione anche questa specialità.
Sangue, ricotta e cioccolato
Il sanguinaccio di cui oggi normalmente trattano le rubriche di cucina è quello dolce, fatto con il cioccolato, a cui effettivamente sino a qualche decennio fa veniva aggiunto il sangue del maiale. Attualmente, per ovvi motivi (avere in frigo una tazza di sangue di maiale è un fatto quantomeno anomalo), quel delizioso dessert è preparato per Carnevale e senza l’impiego di carne o derivati.
Tuttavia, anche il sanguinaccio insaccato ha avuto quasi sempre una componente dolce. In Calabria, per esempio, dove è noto anche con il termine sangiari, viene preparato, oltre che con il sangue di maiale, anche con l’impiego di ricotta o vino cotto e, in alcune zone, come una vera e propria crema con cacao in polvere, noci e uva sultanina.
Lo stesso dicasi per la versione lucana, dove viene conservato in barattoli di vetro come fosse marmellata.
Non è raro che nel sanguinaccio venga aggiunto del cioccolato. Accade nella zona del Vulture, dove, oltre al cioccolato fondente, viene aggiunta vaniglia, cacao amaro e cannella.
In Campania, invece, ru sanguanatu viene preparato con sangue, riso, cacao, pinoli, bucce d’arancia e uva sultanina e viene consumato freddo a fettine o riscaldato in padella o al camino.
Regione che vai, sanguinaccio che trovi
Nelle Alpi è detto boudin in valdostano, bodin in piemontese e birölt in Alta Valtellina. In tutte queste regioni montane si consuma cotto insieme alla polenta e in Piemonte e Lombardia viene normalmente preparato, oltre che con il sangue del maiale, anche con pane, patate e spezie. Nella versione dell’Alta Val Camonica, il sanguinaccio si presenta come una sorta di cotechino e viene consumato lessato insieme ad altri salumi oppure stagionato per qualche mese.
In Liguria, invece, la ricetta del berodo — questo il suo nome nel dialetto locale — prevede l’impiego di pinoli, sale, latte e cipolle. Per continuare da Nord a Sud e viceversa, in Puglia lu sangunaz viene fatto con l’intestino del maiale cotto nel sangue. La stessa cosa avviene in Sicilia, dove viene poi servito a fettine.
Anche in Sardegna le varianti sono diverse. Qui su sanguineddu o sanguini de proccu viene preparato in maniera differente a seconda delle zone e del gusto personale. Le combinazioni sono infatti tra le più disparate: oltre al sangue di maiale si aggiunge sapa, uva sultanina, sale, pepe, noce moscata, zucchero, noce a pezzi, scorza di limone o arance grattugiate, miele, semi di finocchio selvatico, cannella, chiodi di garofano, lardo o strutto, latte, cacao. Dopo una notte a riposo il composto viene insaccato nell’intestino crasso con un imbuto per formare delle piccole salsicce di 10 o 15 centimetri di lunghezza. Viene però consumato freddo, previa cottura in acqua bollente o arrosto.
Tuttavia, la regione in cui tuttora questa tradizione si rinnova anche fuori dalle mura domestiche è la Toscana. Qui viene realizzato il biroldo della Garfagnana, oggi Presidio Slow Food. La ricetta locale si distingue dalle altre poiché prevede un utilizzo esclusivo della testa del maiale, con l’unica eccezione del cuore. L’aggiunta delle spezie può essere diversa a seconda delle preferenze personali e delle zone, ma non prevede mai i pinoli che, invece, sono sempre presenti nel biroldo di Lucca.
Nel sanguinaccio lucchese forte l’impiego delle spezie toscane, con una prevalenza del finocchio selvatico, ma vengono aggiunti anche sale, pepe, noce moscata, chiodi di garofano, cannella e anice stellato e in certi casi anche aglio.
Prima del consumo viene bollito per oltre tre ore, per essere poi messo a raffreddare lentamente all’aria, sotto la pressione di un peso che consenta di far perdere la parte più grassa. Il periodo di produzione tradizionale è quello dei mesi invernali, da ottobre ad aprile, ma a realizzarlo sono rimasti davvero in pochi, come nel resto d’Italia.
I sanguinacci europei
Eppure un certo interesse attorno a questo prodotto esiste. Qualche macellaio lo propone ancora e non è escluso che — con le dovute modalità — una specialità come questa non abbia un futuro anche nel mercato, tanto più che è noto anche fuori dal Belpaese. Non si pensi infatti che il sanguinaccio sia prerogativa delle nostre campagne. Al contrario, esistono produzioni in altre nazioni che ricordano quello nostrano in tutto e per tutto. La somiglianza con la morcela portoghese, il black pudding inglese, il blutwurst tedesco con la morcilla spagnola sono infatti evidenti. Anche di quest’ultima, come per il nostro sanguinaccio, esistono molte versioni differenti tra loro. In tutti i casi si tratta di un insaccato fresco fatto, oltre che con sangue di maiale, anche con quello di vacca o pecora unito al riso, i pinoli, l’uvetta, la mollica di pane, il porro, la cipolla e il pangrattato. Il risultato è un salume piuttosto grasso, destinato al consumo in occasioni speciali e solo in quantità ridotte, vista la “pesantezza” del prodotto. Eppure il problema del sanguinaccio non è che sia poco digeribile. È che ce n’è poco.
Sebastiano Corona
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