Siamo in Campania, nella provincia di Benevento. Castelpoto è un bel paese di antichissima origine longobarda, che sorge su di un costone tufaceo a strapiombo sulla riva sinistra del fiume Calore. Ha poco più di un migliaio di abitanti, molti dei quali hanno dovuto fare i conti anche con il terremoto del 21 agosto1962, che nelle zone limitrofe fece 17 morti e qui provocò l’abbandono del centro storico, con il plurisecolare castello che per fortuna conserva ancora la sua struttura architettonica. Questo comune si sta adesso ripopolando. Castelpoto, infatti, si è rimboccato le maniche e si sta dando molto da fare per valorizzarsi e farsi conoscere anche al di fuori dei confini regionali. Come leggiamo nell’eccellente sito informativo comunale, “le antiche tradizioni nel nostro paese, siano esse economiche che sociali, si sono tramandate nel tempo sino a giungere a noi”. È su questo sfondo che già da qualche anno, con la collaborazione di tutti i produttori locali, si è dato inizio a una serie di eventi finalizzati anche ad una promozione turistica del territorio, tra i quali quello della “Fiera mercato della Salsiccia Rossa di Castelpoto”. “La promozione e la valorizzazione di questo prodotto — scrive sul sito il sindaco Giancarlo Schipani — riveste una tale importanza, per la tipicità-unica nel suo genere e per la genuinità e biodiversità, che quest’anno la manifestazione sarà trasmessa in diretta web. Il messaggio che intendo trasmettere è quello di benvenuto a quanti vorranno partecipare per non dimenticare quanto tramandato da ogni generazione”. Sempre dal sito leggiamo: “Quando si parla del maiale come prodotto di genuina qualità viene spontaneo pensare a Castelpoto. Questo piccolo paese, immerso nella natura pressoché incontaminata della valle Vitulanese, offre, oltre agli aspetti paesaggistici di indubbia suggestione e a monumenti di rilevanza storica, la possibilità di assaggiare il frutto di una cultura contadina giunta fino ai giorni nostri grazie a secoli di rigoroso perfezionamento. Ed è proprio per questo motivo che la “Comunità del cibo di Castelpoto”, in un’ottica di promozione di questo prodotto, ha deciso di pubblicare le informazioni utili a tutti coloro che desiderano approfondirne la storia e le fasi di produzione che lo caratterizzano in modo strettamente peculiare. In questo frangente, l’importanza della promozione gastronomica vera e propria passa in secondo piano: cuore pulsante dell’iniziativa altro non è che il puro desiderio della tutela del consumatore e del prodotto stesso. L’obiettivo del Comune di Castelpoto sarà quello di valorizzare l’ingegno di persone che hanno elaborato nel corso dei secoli questo prodotto, e con semplicità hanno conservato e tramandato un prodotto unico e di rara bontà: l’ormai famosa salsiccia rossa di Castelpoto”. Il Consorzio produttori ha anche indetto un concorso per la creazione del proprio logo il cui premio, consistente in 15 kg di salsiccia rossa, è stato vinto da una concorrente locale. Vediamo allora come viene lavorato questo prodotto, che anche Slow Food ha inserito fra i presidi da salvaguardare e valorizzare.
Fasi di lavorazione della salsiccia rossa di Castelpoto
Mondatura - Una volta sezionato il maiale, i tagli di carne suina scelta per la successiva preparazione della pasta della salsiccia vengono mondati di ogni parte non utilizzabile: ripulitura da grasso, tendini, connettivo e nervi.
Macinatura - Con questa fase avviene la triturazione delle carni, scelte esclusivamente fra i seguenti tagli: spalla, coscia, lonza, filetto e coppa. L’operazione comporta l’utilizzo di tritacarne con uno stampo a fori tra gli 8 e i 12 mm.
Impastatura - Di seguito si prepara l’impasto con una giusta miscela di salagione composta da: sale, finocchietto selvatico, infuso di aglio (ottenuto dall’infusione di teste d’aglio tagliate a metà e poste in acqua per circa 24 ore), pepe e peperoni (in dialetto “papauli”); quest’ultimo ingrediente è la vera peculiarità che contraddistingue il prodotto castelpotano da tutti gli altri delle zone limitrofe. Tornando alla lavorazione, quindi, la carne macinata viene impastata con il sale, il finocchietto, il pepe e la polvere di peperone. Così fatto l’impasto, però, risulterebbe troppo asciutto e quindi, proprio in questa fase, viene aggiunta (in una percentuale variabile tra l’1 e l’1,5%) l’infusione di aglio. Il tutto viene poi ben amalgamato.
Il peperone - Il peperone è piantato in genere agli inizi di maggio, su terreno precedentemente preparato con concimi naturali, e raccolto verso la fine di agosto e gli inizi di settembre. La raccolta del peperone avviene nel momento in cui lo stesso non è divenuto del tutto rosso, in modo tale da consentirgli di “arrossare” successivamente, in filatura in fili di spago. Infatti, una volta raccolto, viene infilato per il picciolo in uno spago lungo circa un metro, dopodiché queste file sono messe ad essiccare al sole. A novembre i peperoni vengono sezionati a mano, per cui si tolgono i semini (endocarpo), il picciolo e il calice separandoli dall’epicarpo e dal mesocarpo. A questo punto si può effettuare la fase più critica per la produzione della polvere di peperoncino, cioè la tostatura. Prima il “papaulo” viene lavato, poi infornato in forno a legna per una lieve tostatura atta a renderlo idoneo alla macinatura. La legna adoperata per la tostatura è prevalentemente di quercia, olivo e vite. Questa operazione rappresenta la fase più delicata della lavorazione del peperone in quanto una cottura eccessiva comporta la bruciatura del prodotto. Non di rado, per evitare tale inconveniente, si fa raffreddare il forno e si ricomincia la lavorazione con una nuova accensione dello stesso. Dopo la tostatura i peperoni vengono macinati per ridurli in piccole particelle. Per fare questo viene fatta una doppia macinatura, prima attraverso un mulino che macina grossolanamente e poi attraverso un apposito mulino che macina finemente. Abbiamo così ottenuto la polvere di peperoncino che caratterizza la salsiccia rossa di Castelpoto.
Insaccatura - L’impasto di salame, che presenta ogni parte uniformemente distribuita, viene posto nell’insaccatrice. All’estremità dell’insaccatrice si imboccano i budelli di maiale, che in precedenza sono stati rinvenuti in acqua tiepida, lavati con acqua e aceto. Una volta preparato l’impasto, secondo l’antica ricetta custodita gelosamente da ogni singolo produttore, il tutto viene immesso nel budello e, quindi, legato con paziente attività manuale. Per la legatura viene usato un semplice spago e il prodotto così ottenuto viene opportunamente forellato. È da questo momento che ha inizio il lento processo di stagionatura. Durante la prima fase si verifica la prima grossa perdita di acqua, con conseguente diminuzione di peso. Dal punto di vista chimico i batteri utili incrementano di numero e, con la loro attività, inibiscono quelli dannosi o potenzialmente pericolosi.
Asciugatura - La perdita d’acqua deve risultare il più uniforme possibile in tutto lo spessore dell’impasto, onde evitare l’indurimento del budello. Anche in questo processo, che avviene in locali arieggiati, la temperatura deve essere attentamente controllata. I salami devono respirare senza asciugarsi molto velocemente ed è perciò di importanza fondamentale il ricambio dell’aria nei locali; in questo modo gli ingredienti penetrano in ogni parte distribuendosi uniformemente all’interno dell’impasto.
Stagionatura - È la fase più lunga di tutte ed è subordinata al tipo e alle dimensioni dell’insaccato. Anche la scelta dei luoghi di stagionatura è fondamentale per l’ottenimento di un prodotto di qualità privo di difetti. Infatti, essendo il budello naturale un involucro che “respira”, può facilitare il passaggio degli odori del luoghi di stagionatura e di conservazione. Diviene pertanto indispensabile scegliere locali “neutri”, al riparo cioè da quegli odori o profumi troppo marcati che si ritroverebbero sistematicamente nella salsiccia in tavola. Ovviamente in tutte queste fasi, e in particolar modo nell’ultimo, viene in rilievo l’esperienza maturata da ciascun allevatore. La qualità non deriva soltanto dal dosaggio ottimale dei vari ingredienti e dal clima favorevole in cui la salsiccia viene stagionata, ma anche dal connubio fra la tradizione tramandata di generazione in generazione e l’amore per questo animale.
Conservazione - Oggi sopravvivono ancora dei sistemi di conservazione usati in antichità, quali l’olio e la sugna, ma si stanno abbandonando per forme di conservazione più usuali, quali il sottovuoto maggiormente richiesto dal consumatore. In realtà, per tener salde le caratteristiche organolettiche, il prodotto andrebbe mangiato a fine ciclo, dopo la fase di stagionatura.
Carne di maiale e peperoncino piccante, un binomio antichissimo - I castelpotani hanno una tradizione gastronomica basata su verdure e legumi e sulla carne di maiale in genere, non solo sulla salsiccia rossa dunque. Nonostante la scarsità delle risorse, nella preparazione dei cibi anche in passato si poteva notare la ricerca di sapori diversi e perfino qualche tocco di raffinatezza. Tuttavia, la maggior parte dei piatti era quasi sempre adatta a stomaci piuttosto robusti e a fisici senza problemi di linea. Anche il condimento era rappresentato per lo più da prodotti del maiale, lardo e strutto, conservati nella vescica dell’animale. Quando, con i primi caldi tardo-primaverili, cominciavano ad irrancidire, per eliminarne il sapore sgradevole, mentre si soffriggeva, venivano aggiunte fettine di pane leggermente bagnate di aceto che rappresentavano, oltretutto, una leccornia per i ragazzi. Il peperoncino piccante entrava sovrano in quasi tutte le preparazioni culinarie, a cominciare dai salumi che erano, e lo sono ancora oggi, onore e vanto di Castelpoto: salsicce, prosciutti, capocollo, pancette erano generosamente ricoperti dall’ardente polvere rossa. Oggi è ancora possibile, verso la fine dell’estate, ammirare le facciate delle case di Castelpoto ravvivate da lunghe file di peperoncini e peperoni tondi lasciati a seccare agli ultimi raggi del sole.
Nunzia Manicardi
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