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Il Ghiandaio, la tradizione norcina dell'Alta Val Tiberina

di Lagorio R.

 

La tradizione norcina toscana ha trovato linfa vitale una dozzina d’anni fa quando la famiglia Ferroni ha deciso di trasformare in proprio i suini che fino ad allora prendevano la strada delle macellerie di Città di Castello e Sansepolcro. Tradizione norcina dell’Alta Val Tiberina, feconda di animali allevati allo stato semibrado, per permettere che si nutrano davvero di quanto preferiscono (e trovano, terra di ghiande e prugnoli selvatici), atto che conferisce alle carni consistenza e sapore. Alle cui caratteristiche di base non fa difetto la straordinaria condizione atmosferica ed altimetrica, l’alternarsi di Tramontana e Maestrale a 450 metri sul livello del mare, per una successiva perfetta stagionatura e fedeli all’antico adagio secondo cui “Tramontana e Maestrale dan sapore al maiale”. A Pieve Santo Stefano Giovanni Ferroni ha per trent’anni allevato suini per fornire negozi e macellerie locali, ma lo spazio per rimanere negli steccati di quelle relazioni commerciali si era circoscritto, i margini erosi. La deriva di un mercato che privilegia l’aspetto prezzo sulle proprietà organolettiche dei beni scambiati. Così, ora, i 15 esemplari di Cinta senese che vanno ben oltre i 200 kg (per un anno e mezzo di vita) ed il centinaio di Large white incrociati con Landrace prendono ogni anno la strada del laboratorio vicino a casa.
Con Giovanni Ferroni e il figlio Giuseppe si è discusso dell’importanza che hanno le razze locali nella cultura norcina. Eccome se ne hanno! Ma, sottolineano con disappunto (il medesimo che ha chi scrive), molto spesso ci si trova davanti a razze “antiche” architettate di sana pianta per accondiscendere ad un progetto, imbonirsi un finanziamento o un finanziatore… «E s’inventano le razze per accaparrarsi i contributi statali, regionali o comunitari e sciupano la nostra reale storia», chiosano.
La macellazione avviene una volta alla settimana e si servono i mercati locali (Arezzo e Sansepolcro) ed alcuni ristoranti che desiderano offrire alla clientela carne fresca scelta. Ma sta prendendo piede anche la vendita in rete e quella diretta al pubblico: l’attività si trova poco fuori il casello di Pieve Santo Stefano sulla Cesena-Roma («la vendita diretta è la miglior cosa: vendi e hai subito i contanti», affermano in maniera assai pragmatica).
Ingegno toscano nella proposta dei nomi: sui banchi spunta la Fiorentina di maiale (si tratta in verità di un hamburger), la Ciccia fresca (pasta di salsiccia fresca che si suggerisce di consumare con una generosa spruzzata di limone), il Ghiandaio fresco (il fiocchetto di prosciutto pronto per diventare arrosto o che viene impanato e fritto), il Rigatino (pancetta ideale per la griglia o per stagionarsi da sé, qualora si abbia la sorte di avere idoneo spazio).
E pronti a cuocere che vengono sempre più apprezzati: i fegatelli avvolti nella reticella (tra una fetta e l’altra s’inserisce una foglia d’alloro con sale e pepe), i codennini (ottenuti macinando le parti di muscolo ed il fondo dello stinchetto con le cotenne ed insaporiti di finocchietto ed aglio) per la griglia invernale, il lombo di Cinta senese (messo sotto sale e pepe con vinsanto per due giorni, è pronto da consumare così com’è o rosolato in poco olio).
Peraltro, in queste isole di territorio dove il tempo trascorre ancora lento, si possono fare incontri con modalità produttive e prodotti finali davvero inconsueti altrove. Così i prosciutti si producono esclusivamente tra ottobre e marzo e non si utilizzano celle di stagionatura per la loro maturazione. È normale che siano venduti prosciutti di 24 mesi, ma nella cantina abbiamo scovato esemplari invecchiati 8 anni, dal peso approssimativo di 12 kg. Subiscono un mese di salatura a secco, poi vengono lavati con acqua e aceto, ed infine appesi nel sottotetto. Durante la fase di asciugatura e nei primi momenti di stagionatura, per permettere l’opportuno ricambio d’aria, di notte si aprono le finestre. Con solo le correnti d’aria i prosciutti e gli altri salumi acquistano il giusto grado di gustosità.
C’è la salsiccia stagionata sotto crusca di grano tenero, che qui trascorre pochi giorni e poi viene messa sotto crusca in cofanetti di legno. Una variante prevede la permanenza in olio di oliva, dove si conserva anche per un anno. Si trovano i guanciali, il salame, che viene lasciato a stagionare davanti alla porta, in modo che respiri la Tramontana in piena roccia nell’ambiente che un tempo fungeva da ghiandaio (luogo dove si stivavano farina e ghiande), anche in versione toscana con lardello. Poi la salsiccia, preparata con i ritagli di carne, odorosa d’aglio, la sopressata (che qui è il salume denominato altrove testa in cassetta), il lardo macinato di Cinta senese, impastato con aglio e poco pepe, ideale per condire gli arrosti. Prodotti che raccontano un territorio e stavano scomparendo.
Il rifiuto della formula della grande distribuzione organizzata, di fatto impraticabile per i Ferroni, si è rivelato provvidenziale per garantire la trasmissione della tradizione. Fenomeno ancora in parte da investigare da coloro che si occupano di tali flussi e materie.


Riccardo Lagorio


Il Ghiandaio
Località Casina Fuciano
Via San Lorenzo 1
52036 Pieve Santo Stefano (AR)
Telefono: 0575 799200
Web: www.ilghiandaio.it



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