Fin dall’antichità per i popoli del Mediterraneo il pane è base del sostentamento vitale. Gli antichi Greci, iniziando da Omero, considerano il pane sinonimo di umanità, solo i popoli civili ne hanno conoscenza e gli altri sono semplici bruti. Nella cultura italiana il pane divide il cibo in due categorie: tutto quello che non è pane è companatico, cum panaticus, qualcosa che accompagni il pane. A tavola poi si diviene compagni quando si mangia lo stesso pane, cum panis, per non parlare dei significati religiosi, dagli azzimi della cultura ebraica al pane eucaristico cristiano. Inoltre, ogni casa aveva il suo pane, per cui difficile, ma non impossibile, è oggi parlate dei pani di una regione, in un tentativo necessario di fronte al rapido scomparire di tradizioni millenarie.
Pani dell’Emilia-Romagna
L’Emilia-Romagna, una regione ripartita nella sua cultura alimentare, è ricordata per i suoi salumi e i suoi primi piatti di pasta con forme e denominazioni che variano ad ogni giornata di cammino, si evocano anche altri cibi come torte, piade, tigelle e paste fritte, ma, salvo alcune eccezioni, si trascurano i pani, che erano alla base dell’alimentazione soprattutto popolare, un cibo che ha suscitato la poesia di un grande romagnolo, Giovanni Pascoli (1855-1912): …e l’odore del pane empie la casa (…) Entra, vegliardo, antico ospite: ed ecco l’azimo antico degli eroi, che cupi sedeano all’ombra della nave in secco (…), il pane della povertà, che trovi tu, reduce aratore, esca veloce, che sol s’intrise all’apparir dei bovi: il pane dell’umanità, che cuoce in mezzo a tutti, sopra l’ara, e intorno poi si partisce in forma della croce: il pane della libertà, che il forno sdegna venale. Azimo santo e povero dei mesti agricoltori, il pane del passaggio tu sei, che s’accompagna all’erbe agresti; il pane, che, verrà tempo e nel raggio del cielo, sulla terra alma, gli umani lavoreranno nel calendimaggio. Che porranno quel di sugli altipiani le tende, e nel comune attendamento l’arte ognun ciberà delle sue mani. Ecco il gran fuoco, che s’accende al vento di primavera, ma in disparte, gravi, sulla palma le bianche onde del mento, parlano i vecchi di non sò che schiavi d’altri e di sé: ma sembrano parole sepolte, dei lontani avi degli avi. Guardano poi la prole della prole seder concorde, e, con le donne loro e i loro figli, in terra sotto il sole, frangere in pace il pane del lavoro (La Piada).
Come in tutte le regioni italiane anche in Emilia-Romagna il pane è un alimento indispensabile e usato in ogni condizione, secondo il detto pane e acqua per il carcerato, pane e vino per l’uomo libero e pane, vino, formaggio o salame per il ricco. Molti pani tradizionali sono scomparsi o stanno scomparendo, anche perché sono venuti a mancare i grani antichi e i lieviti madre che davano loro caratteristiche inimitabili, ma alcuni sono stati recuperati e meritano un breve cenno.
Bologna
Bologna aveva molti pani tipici per forma e denominazioni. In periodi molto antichi erano fatti in casa, ma da tempi a noi più vicini i pani erano preparati con grande maestria dai fornai (furner in dialetto locale) della città che, notte dopo notte, trasformano farina, acqua e lievito nel pane cosiddetto comune ma anche in forme diverse dette rosette, rondini, ragni e ragnini, spolette, barillini, crocette (che si differenziano da quelle ferraresi per il nodo centrale), nastrini, carciofini o garofanini chiamati in modo diverso nei vari quartieri, montasù, mustafà o schioppo, baffo, esse oltre al pane piuma o pane della domenica acquistato il sabato per consumarlo di domenica. Inoltre pani all’olio, al latte o al burro o con destinazioni particolari, come la rosetta destinata a contenere alcune fette di mortadella.
Un tempo il pane era preparato utilizzando la biga, un preimpasto di farina, acqua e lievito e lasciato riposare per almeno 18 ore e ora sostituito da lieviti più rapidi. Si trattava di pani inoltre un tempo cotti in forni a legna, poi sostituiti da forni con più moderni metodi di riscaldamento.
Tipico dell’Appennino bolognese è il pane montanaro, impastato con grani locali, farro, lievito madre e acqua di sorgente.
E, in una città che vanta di essere grassa, non manca certo un pane dedicato al Santo Patrono, San Petronio (4 ottobre). Il pane di San Petronio è farcito con strutto, burro o latte, oppure con prosciutto crudo e Parmigiano. Dall’impasto morbido e saporito e con molte varianti, ha una ricetta recentemente decretata dall’Accademia Italiana della Cucina di Bologna e depositata presso la Camera di Commercio cittadina.
Ferrara
Ferrara è la patria della Coppia ferrarese IGP che, assieme al Pane casereccio di Genzano IGP, al Pane di Altamura DOP, alla Pagnotta del Dittaino DOP, al Pane di Altamura DOP e al Pane di Matera IGP, ha ottenuto il riconoscimento dell’Unione Europea dell’Indicazione Geografica. La Coppia ferrarese IGP dal 2001, chiamata ciupa o ciupeta (coppietta) in dialetto, ha una forma particolare, con quattro sottili bracci arrotolati su sé stessi e uniti al centro. L’impasto è più ricco rispetto a quello classico del pane. Oltre alla farina di grano tenero, al lievito madre, all’acqua e al sale sono presenti l’olio extravergine d’oliva e lo strutto, che la rendono saporita e fragrante.
La sua forma non ha soltanto un fine estetico, ma è pensata per dar vita ad un pane che, con la sua consistenza croccante e friabile dei bracci e quella più morbida del cuore, è in grado di accompagnare sia salumi che preparazioni brodose o salse. In modo particolare questo pane ben si sposa con gli insaccati tradizionali ferraresi come la coppa di testa, la salama da sugo e la zia, un salame insaccato in un particolare budello medio-sottile e tondeggiante, legato con uno spago fine e stagionato in cantine fresche e umide per minimo di 60 giorni.
La Coppia ferrarese ha antiche e origini nobili: durante il Carnevale del 1536 alla corte degli Estensi agli ospiti viene offerto un singolare “pane ritorto” opera del cuoco di corte Cristoforo di Messisbugo. Secondo la tradizione va posta in tavola diritta, in onore alla Madonna.
La Tirotta con cipolla (Tiratta ala zivola, che a Mantova diventa il Tirotto, Tirot), nata dal connubio tra il pane ferrarese e la cipolla, è una sorta di focaccia a base di impasto di pane, fatta con farina di grano tenero, acqua, olio extravergine d’oliva, strutto di puro suino, sale, malto, lievito di birra, cipolla fresca tipo Tropea.
Il Pane di zucca, pane classico di mistura (grano e zucca) del Ferrarese, zona tipica di coltivazione delle zucche, è antichissimo e la zucca, il pane dei poveri nella Bassa Padana, si porta dietro storie di sopravvivenza, ma oggi rinasce. È un pane noto anche nel Veneto (pan co la suca), dove è tipico delle feste e fa parte della cultura tradizionale contadina da tempo immemorabile perché le origini della coltivazione della zucca sono lontanissime ed incerte, e forse furono gli Etruschi a coltivarle, o, prima ancora, i navigatori Fenici, quando approdarono alle foci dei fiumi italici.
Modena
Il Pane di Pavullo o di Verica nasce sulle colline modenesi. Questo pane a pasta dura, dopo 8 ore di lievitazione, è modellato nella forma di pagnotta rotonda o allungata e, nelle varie dimensioni, gode di una meritata fama dovuta alla consistenza e alla sua alta digeribilità. Sue caratteristiche principali sono l’utilizzo di farina di grano tenero coltivato nelle colline modenesi, la mancanza di sale, una piccola quantità di strutto e l’impiego di un lievito naturale o pasta acida rinnovato ogni 6 ore in estate, 12 in inverno.
La Tigella è un pane tipico della montagna modenese in forma di piccoli dischi. Le tigelle, infatti, prendono il loro nome dai dischi realizzati con materiale refrattario del diametro di circa 10/12 cm e due di spessore usati un tempo per la loro cottura, un termine che probabilmente deriva dal verbo latino tegere, ovvero coprire, e da qui anche la parola tegola. Questo prodotto è stato l’alimento base delle famiglie contadine del Frignano. La ricetta originale prevede un impasto di farina, bicarbonato, lievito, sale e acqua (gassata o naturale), con recenti varianti con o senza strutto, burro o zucchero. Variabile il ripieno ma tradizionale è la cunza, un trito di lardo di maiale, rosmarino e aglio.
Parma
La Micca di Parma è un pane dal sapore inconfondibile e unico, difficile da imitare. All’interno la mollica è bianca e soffice, con alveoli molto fini, la crosta leggera e croccante. Solitamente è servita con i formaggi e affettati del posto insieme a un buon bicchiere di vino frizzante.
La Miseria o Pane di Busseto (PR) noto anche come Pane della Misericordia è simile alla micca e se è di pezzatura superiore al mezzo chilogrammo è definita Gran Miseria. Si tratta di un pane povero di farina di grano tenero dalla forma oblunga di circa 30 cm, insaporito con strutto e sale e inciso al centro, in modo da dargli la classica forma a farfalla.
Piacenza
La Crocetta piacentina è un pane a pasta dura che deve il nome (crùsota) alla forma a stella e del quale già parlava il Cardinale Alberoni nel 1715. Ha una lunga preparazione e per questo motivo oggi è prodotta da pochi fornai. Si presenta come una piccola pagnotta croccante, diversa dagli altri pani per la bassa percentuale di umidità oltre che per la forma. Si conserva senza difficoltà anche per 48 ore e la tradizione popolare ne suggerisce il consumo il giorno successivo alla cottura.
Il Pane del bollo (o col bollo) tradizionale del Piacentino, in particolare del paese di Ponte dell’Olio, è molto noto anche fuori provincia. È un pane molto morbido con lunghi tempi di conservazione. Questo pane nasce nel Millequattrocento quando il bollo — una pallina di pasta messa al centro del pane, come fosse un sigillo —, serve per distinguere le pagnotte destinate ai pellegrini che transitano nel tratto emiliano della Via Francigena e la farina con cui è preparato è pagata dalla Chiesa.
Il Batarò o pane schiacciato tipico della Val Tidone (PC) è una piccola focaccina realizzata mescolando farine di grano e mais, a volte uva passa, usata solitamente per accompagnare salumi tipici.
La Chisola tipica della Val Tidone, e in particolare di Borgonovo, è una focaccia impastata a base di ciccioli un tempo consumata dai contadini della zona che si muovevano tra la Val Padana e l’Appennino e della quale vi erano diverse varianti (a Parma, ad esempio, è una semplice schiacciata preparata con farina, lievito e strutto, talvolta condita con cipolle o formaggio). I Chisolini invece sono piccole focacce non lievitate di varia forma, fritte nello strutto, tipiche della tradizione culinaria del borgo di Fiorenzuola d’Arda.
Reggio Emilia
Il Pane reggiano ha la fama di essere un buon pane e nel Milletrecento, in piena età comunale, quella dei Fornari è una delle 32 associazioni di mestiere della città. La leggenda narra che in origine il taglio centrale tipico di questo pane si ottenesse con un colpo di gomito su ogni forma lievitata, pronta per essere cotta. Il pane reggiano è per sua natura un pane condito, tradizionalmente ammorbidito con lo strutto, nelle classiche forme della crocetta, del cornino o del baffo (in foto). Più compatta e massiccia è la Tera montanara di Carpineti e di Marola.
Oggi si produce il Pan de Re realizzato secondo le regole della tracciabilità in modo che il consumatore possa conoscerne le origini: a partire dal luogo di coltivazione dei cereali alla molitura delle farine, alla panificazione, e fatto con farina tipo 1, meno raffinata e più ricca di nutrienti, olio extravergine di oliva, sale iodato nella misura massima dell’1,5%, lievitazione lenta e naturale.
La Stria (strega) è una focaccia secca e croccante. Pare debba le sue origini al bisogno di sfruttare i ritagli di pasta avanzati dalla panificazione e alla bassa temperatura generata nel forno dalle braci prima di esaurirsi.
Romagna
In Romagna diffusa era la Treccia pressata che deve questo nome alla sua forma. A Cattolica il Bizulà è una tipica ciambella di pane biscottato per i marinai che restavano in mare per giorni e veniva consumato al posto del pane classico dopo essere posto a bagno nell’acqua o nel vino per ammorbidirlo. Il nome di questo pane biscottato deriva dal veneziano bozolatus, a sua volta dal tardo latino bucellatum, ossia bucella o piccolo boccone, bocconcino. La preparazione prevede di impastare la farina con il lievito precedentemente sciolto in acqua tiepida, aggiungere olio e sale, impastare e realizzare degli anelli dal diametro di un braccio d’uomo. Dopo lievitazione avviene la cottura al forno.
A Maiolo, sulle colline dell’entroterra riminese, si produce il Pane di Maiolo realizzato con farine locali, metodi tradizionali e pasta madre, cotto nel forno a legna alimentato con fasci di vite e di ginestra e protagonista di una fiera organizzata a fine giugno.
Prof. Em. Giovanni Ballarini
Università degli Studi di Parma
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