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Turismo enogastronomico

Turismo DOP, il lato buono del viaggio

di Corona S.


Il turismo, un tempo fenomeno appannaggio delle classi più abbienti, è divenuto oggi un bene di consumo comune. Staccare la spina dal lavoro, lasciando il luogo in cui si abita, per concedersi un viaggio, è riconosciuto oggi come un bisogno e non più soltanto come un piacere. E se le ferie sono un diritto, la vacanza, piccola o breve che sia, non è più un privilegio di pochi.
Va da sé che, non essendo i portafogli tutti uguali, la domanda sia diversa in ragione di molteplici fattori, ma il mercato offre possibilità per tutte le tasche, con una proposta sempre più ampia e varia sia in termini di costo che di contenuto.
In un infinito ventaglio di proposte, i viaggi tematici si fanno prepotentemente spazio e quella che un tempo era semplicemente una vacanza, oggi diventa un’esperienza. Lo è ancor di più se riguarda tutti i sensi, gusto compreso. Ed è così che prende piede il turismo enogastronomico, guidato da molteplici fattori, palato in testa.
I dati parlano chiaro: non solo il cibo è un elemento importante per la maggior parte dei viaggiatori, ma in certi casi diventa fondamentale e, in altri ancora, è persino il fine stesso dello spostamento. L’attrattiva sono i piatti e le materie prime delle campagne locali, vini e cucina che esprimono storia, tradizione e identità di una regione e che già da soli sono un’attrattiva.
Il Rapporto sul turismo enogastronomico italiano curato dalla professoressa Roberta Garibaldi da anni fa una nitida e dettagliata fotografia sulle tendenze del settore, riportando dati e pareri su un tipo di turismo che sta regalando grandi soddisfazioni. Secondo il Rapporto, infatti, il 2023 segnerà la definitiva consacrazione del binomio viaggio/enogastronomia, che sempre più rappresenta il valore aggiunto nell’esperienza di chi visita città e località di villeggiatura, al mare e in montagna. Un connubio che, per un Paese come il nostro, aumenta in maniera significativa il vantaggio competitivo rispetto ad altri Stati, che permette di destagionalizzare e di poter contare su un’attrattiva che da sola è già vincente.
Il documento rileva che il 58% dei turisti italiani che ha compiuto almeno un viaggio nel corso dell’ultimo anno ha scelto proprio l’enogastronomia come fattore principale tra le motivazioni allo spostamento. Ben 9,6 milioni di persone hanno puntato su cibo, vino e birra, confermando una tendenza già registrata e che dal 2016 ad oggi ha mostrato un incremento del 37%.
Ma anche chi non fa dell’enogastronomia lo scopo principe del proprio viaggio ne conferma comunque la centralità nella scelta: 7 viaggiatori su 10, infatti, dichiarano di avere cercato almeno cinque volte nel corso dei propri viaggi più recenti esperienze di questo tipo.
Il questo segmento, il Turismo DOP è rappresentato da una fascia ancor più scelta di viaggiatori esigenti che ricercano esperienze e programmi, promossi attorno alle Indicazioni Geografiche o direttamente organizzate dai consorzi di tutela DOP e IGP, in sinergia e a vantaggio di una filiera che comprende operatori territoriali del settore turistico, aziende e agriturismi.
Un gruppo di operatori che ha ben compreso che le denominazioni sono attrattiva in sé e per sé e che, allo stesso tempo, i flussi turistici sono occasione impareggiabile di promozione, ma anche di vendita, sia nell’immediato, sia sul lungo termine.
La DOP Economy conta su una base produttiva da 19,1 miliardi di euro, che pesa per il 21% sull’intero settore agroalimentare e, in parte, lo deve proprio ai flussi turistici che non solo implicano un certo consumo in loco, ma sono anche volano commerciale da parte di chi, al rientro, cerca nei supermercati del proprio domicilio quanto ha conosciuto in occasione del viaggio.
Spesso i nomi dei prodotti a denominazione contengono il riferimento esplicito al territorio e questo fatto ha permesso a certe località un tempo sconosciute di acquisire un’inaspettata notorietà. La fama internazionale di alcuni prodotti a Indicazione Geografica va di pari passo con una vivacità interessantissima delle filiere DOP e IGP. Anche grazie al prezioso supporto dei Consorzi di tutela, infatti, sono nati eventi che si ripetono da decenni ininterrottamente e che sono di grande attrattiva. L’Osservatorio Qualivita ne ha registrato, solo nel 2022, oltre 230, comprendenti visite, degustazioni, festival e iniziative che intercettano la richiesta di esperienze autentiche nei territori del cibo e del vino.
Dati, questi, che vanno in linea con quanto emerge dallo studio della European Travel Commission, secondo cui le proposte a tema cibo, vino e bevande sono ormai tra le più ricercate nel Vecchio Continente, unitamente a quelle di paesaggi naturali (il 17,3% e il 17,8%, in termini assoluti circa 21,2 e 21,8 milioni di turisti per l’estate 2023). Si fanno strada dunque interessanti tendenze e nuove opportunità per operatori e territori interi.
«L’alto interesse dei turisti, l’offerta eccellente del nostro Paese, la crescita attesa per il turismo dei prossimi anni ci regalano un incredibile tris di assi per il prossimo futuro», afferma Roberta Garibaldi. «La sfida è oggi quella di trasformarlo in un poker, lavorando sui fattori per fare esplodere le potenzialità. Si evidenzia un grande gap, infatti, tra l’interesse alle esperienze e l’effettiva fruizione e tutte le regioni vantano una ricchezza che può essere ulteriormente valorizzata. È importante preservare e valorizzare il patrimonio culinario italiano, i paesaggi, le piccole botteghe e gli artigiani del gusto per garantire una crescita nel lungo periodo costante, armoniosa ed equilibrata nel rapporto tra mete più rinomate e le meno note aree interne. Il turismo enogastronomico riduce l’overtourism e gli squilibri, contribuisce a mantenere le attività tradizionali nei piccoli borghi e nelle zone rurali, porta entrate aggiuntive ai produttori, stimolandoli a tutelare attivamente il paesaggio, che è tra le principali leve di scelta del turista».
Il Rapporto curato da Garibaldi individua più specificamente 4 principali tendenze, quali: la varietà, le esperienze a 360 gradi, poiché i turisti italiani vogliono scoprire mete nuove (63%) e diversificare l’esperienza. Tra le più gettonate compaiono le degustazioni in vigna e negli uliveti, eventi che abbinano gusto-arte-musica, workation nelle aree rurali sino ad arrivare, per 1 Italiano su 2, al foraging (un modo innovativo di cucinare, recuperando le tradizioni del passato e le materie prime selvatiche del territorio), corsi di sopravvivenza e attività ludiche come escape room e caccia al tesoro.
Cresce l’attenzione verso le esperienze in tutti i luoghi di produzione, con i caseifici in prima linea. Questi luoghi devono essere frictionless, pertanto accessibili e facilmente acquistabili. Ma il gap tra interesse ed effettiva fruizione è purtroppo ancora elevato: il viaggiatore oggi non è sempre messo nelle condizioni di poter reperire facilmente le informazioni, scegliere e prenotare le proposte disponibili. Non è quindi un caso se il 63% degli intervistati dichiari di voler prenotare le visite alle aziende di produzione on-line e solo il 43% le abbia acquistate.
La terza tipologia di tendenza oggi in atto è il Green & Social. Perché il turista italiano, e non solo italiano, si mostra sempre più attento alla sostenibilità, adottando atteggiamenti coerenti anche in viaggio: evita di sprecare cibo al ristorante (indicato dal 65%) e in vacanza ha comportamenti a tutela dell’ambiente (54%). Mostra, inoltre, un forte desiderio di stare a contatto con la comunità locale e di contribuire al benessere sociale attraverso il suo viaggio. Aumenta la destagionalizzazione dell’esperienza, come atto responsabile di risparmio e rispetto dei luoghi.
Infine la Longevity. Il viaggio enogastronomico diventa occasione per dedicarsi al proprio benessere e imparare ad adottare stili di vita più salutari: il 71% dei turisti italiani vorrebbe trovare menù con ricette che fanno bene alla salute. Ed ecco che la Dieta Mediterranea diventa un asset da valorizzare e attraverso cui connotare l’offerta.
Soddisfare queste nuove esigenze del turista non è solo commercialmente doveroso, ma potrebbe persino divenire naturale se solo si assecondasse la vocazione dei territori, recuperando e riscoprendo stili di vita, produzioni e costumi che da sempre ci hanno caratterizzato e che oggi diventano un’attrattiva.
Il turismo deve diventare una leva e uno stimolo per un’ulteriore valorizzazione del patrimonio culinario nazionale. Gli Italiani sono tra i primi viaggiatori enogastronomici del Paese e l’Italia è essa stessa una meta enogastronomica per l’estero e il fatto che ci siano ancora molte tipicità regionali poco note, rappresenta una grande opportunità per valorizzare le aree rurali e far crescere i flussi turistici.
Il turismo enogastronomico è un turismo remunerativo, di una fascia di clientela mediamente colta, con una discreta disponibilità economica e consente di destagionalizzare, garantendo redditi costanti tutto l’anno ed evitando picchi antropici e fulminei, molto dannosi da ogni punto di vista.
Secondo il The Data Appeal Company, 2023, le presenze internazionali in Italia, continuano a concentrarsi nell’1% del territorio e prevalentemente in aree molto urbanizzate, a dispetto del fatto che il Bel Paese vanti il maggior numero di siti inclusi nella lista dei patrimoni dell’umanità UNESCO (58, di cui 5 riserve naturali e 8 paesaggi culturali). Questo fatto spiega i problemi di gestione turistica di certe città – Venezia è un nome per tutti – e nel contempo l’inesorabile lento e costante abbandono delle campagne e dei piccoli borghi, che invece il turismo potrebbe contribuire a rivitalizzare. Tanto più che è proprio nelle zone meno battute che si registrano le maggiori quote nazionali di produttori o trasformatori di eccellenze a denominazione e non poteva essere diversamente. Pertanto le Indicazioni Geografiche possono innescare meccanismi virtuosi su tutti i fronti.
In questo senso sono di grande aiuto anche le aziende agrituristiche luoghi di ospitalità nel senso più ampio del termine, dove trovare un equilibrio con la natura e fruire nel contempo di servizi classici dell’ospitalità. La loro capillare distribuzione in tutto il Paese consente di rivitalizzare aree marginali escluse dalle grandi arterie del turismo nazionale e di contribuire a limitare lo spopolamento, soprattutto quello giovanile. Sono circa 13 mila le aziende agrituristiche attive nella ristorazione e più di 6.000 quelle che offrono degustazioni, in quasi tutti i casi proponendo prodotti a denominazione e PAT (Prodotti Agroalimentari Tradizionali).
Questa nuova tendenza verso un turismo sostenibile, responsabile, consapevole, amico dei territori e delle tradizioni è ciò che dunque va perseguito e incoraggiato senza scimmiottare sé stessi, ma semplicemente rispettando la propria identità, valorizzandola e facendola conoscere all’esterno. Non è difficile farlo anche attraverso il cibo, veicolo universale e impareggiabile strumento per fare amicizia, fare affari, stringere legami, condividere con gli altri e in una parola, rendersi ospitali.


Sebastiano Corona



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