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Tradizioni

La “cicolana” nella tradizione pasquale abruzzese

di Papotti C.


La Pasqua rappresenta un momento in cui le tavole italiane si arricchiscono di piatti tipici che raccontano storie antiche di territori e sapori lontani nel tempo. Nella provincia de L’Aquila, in Abruzzo, una prelibatezza locale emerge come simbolo di autenticità e storia: è la salsiccia di fegato o cicolana, un insaccato che, purtroppo, rischia di scomparire. Tuttavia, grazie alla dedizione di pochi artigiani e alla nascita di un Presidio Slow Food che vuole tutelarla, questa tradizione potrebbe ritrovare nuova linfa, tornando ad essere protagonista della tavola pasquale.


La salsiccia di fegato aquilana

Nei boschi e nelle montagne abruzzesi l’allevamento dei maiali ha da sempre rappresentato una risorsa importante per i suoi abitanti. Tradizionalmente, la macellazione dei suini avveniva tra dicembre e gennaio, sfruttando il freddo invernale che favoriva la frollatura naturale e la conservazione delle carni. Era un momento centrale della vita di comunità, sia per il consumo immediato delle carni fresche che per la preparazione di salumi che sarebbero stati gustati durante l’anno. Tra questi, la cicolana si distingue come uno degli insaccati più rappresentativi della zona, frutto di una tradizione che ha saputo valorizzare anche le parti meno nobili dell’animale. La cicolana si prepara infatti con fegato, cuore, lingua e, in alcuni casi, un po’ di carne magra e grasso di maiale. La speziatura, che varia in base alle famiglie e ai produttori, è fondamentale per esaltare il sapore delle frattaglie.

Due sono le principali varianti: piccante, arricchita con pepe, peperoncino e aglio, e dolce, più delicata, che prevede l’aggiunta di miele e una minima quantità di pepe per bilanciare la ricchezza del fegato e addolcirne il gusto.

Nel periodo che va da novembre ad aprile le salsicce vengono insaccate in budelli naturali e legate a mano con una particolare torsione che dona loro la tipica forma a ferro di cavallo. Ogni passo della preparazione, dalla scelta delle spezie alla legatura, è tramandato di generazione in generazione, rendendo ogni salsiccia un prodotto unico. L’impasto viene poi appeso ad una pertica a seccare, prima vicino ad una stufa o ad un camino per una settimana e, successivamente, per un periodo di un mese circa in ambienti freschi, nei quali la temperatura naturale permette una stagionatura ideale.

Le famiglie aquilane consumavano e consumano tuttora la cicolana la mattina di Pasqua, a colazione, insieme alla pizza pasquale, una pagnotta semidolce e le uova sode. Questo momento di condivisione è carico di significato, poiché la preparazione e il consumo della cicolana segnano il culmine di una tradizione che unisce la terra, il lavoro e la famiglia.

Oggi, la produzione è limitata a pochi artigiani che lavorano per preservarne la qualità e la tradizione, ma la sfida rimane ardua. Il Presidio Slow Food si propone di riunire i produttori locali sotto un Disciplinare rigoroso che prevede la preparazione artigianale senza conservanti né additivi, l’utilizzo di una filiera corta basata su suini allevati in Abruzzo e, ove possibile, il recupero del maiale abruzzese a pelo nero, una razza antica che sta scomparendo. L’obiettivo è quello di mantenere intatti saperi e tecniche tradizionali, permettendo a questo prodotto di nicchia di raggiungere un pubblico più vasto.

Per salumieri, produttori di salumi e ristoratori, la cicolana rappresenta un’opportunità unica, che può rispondere alla crescente domanda di alimenti genuini e autentici. Essere in grado di offrire un prodotto così ricco di storia e sapore, che si distingue per l’uso di ingredienti locali e la lavorazione artigianale, può infatti essere un punto di forza per chi opera nel settore delle carni e dei salumi, permettendo di valorizzare la qualità e la tipicità delle produzioni locali, soprattutto durante periodi festivi come la Pasqua, quando le tradizioni rivestono un’importanza speciale. I produttori e gli artigiani di oggi hanno l’importante compito di mantenere viva questa tradizione, trasmettendo alle generazioni future un sapere che non solo arricchisce il patrimonio gastronomico, ma fa anche parte di una memoria collettiva che merita di essere valorizzata e tutelata.

Chiara Papotti



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